Innovazione
La proprietà estera delle Imprese Digitali italiane
La presenza di soci esteri nella proprietà delle imprese digitali italiane è sotto il 4% e quando c’è detiene il controllo in oltre due casi su tre. Queste imprese da sole generano oltre il 20% del valore complessivo della produzione. È un buon segnale per il Paese?
A fine 2022, nel nostro Paese c’erano 63.548 Imprese Digitali costituite in forma di società di capitali e tra queste 2.088 avevano un socio estero persona giuridica nell’assetto proprietario (3,3%). Queste imprese da sole coprivano il 21,3% del valore della produzione di tutto il sistema (21,9 su 102,9 miliardi di euro).
Nello stesso anno, il fatturato medio delle Imprese Digitali con un socio estero persona giuridica era di 8,9 milioni, mentre quelle con proprietà tutta italiana si fermavano a 1,3 milioni.
A metà 2024, la presenza di un socio straniero nelle Imprese Digitali era passata a 2.465 unità (3,6%), di cui per oltre due terzi (1.715) con quote di controllo.
Questi numeri, presentati a Palazzo Madama lo scorso 18 ottobre nell’ambito del Digitalmeet 2024, sono passati sotto silenzio.
Ci sta, non c’è da biasimare nessuno e ci sono tre ragioni per non stupirsi.
La prima è che le Imprese Digitali costituite in forma di società di capitali sono ancora saldamente in mano nazionale e se aggiungiamo le società di persone e le ditte individuali allora l’identità italiana diventa di fatto totalitaria.
La seconda è che, a dire il vero, la crescita della presenza di soci esteri si mantiene sullo zerovirgola: era il 3,3% nel 2020, è il 3,6% nel 2024. Ci sta che non venga rilevata dai sensori della politica e dell’analisi socio-imprenditoriale.
La terza è che queste imprese intercettano un segmento del mercato del lavoro ad elevato qualificazione, con una spiccata propensione alla mobilità territoriale, che può svolgere la propria attività da remoto e che è poco incline a farsi sentire e, in caso di situazioni di crisi, ha più opportunità di trovare rapidamente un nuovo impiego nei luoghi di residenza o altrove.
Ci sta anche, però, che questi numeri vengano analizzati e discussi.
È evidente che i capitali stranieri contano.
Potrebbero essere il boost che abilita percorsi di crescita dimensionale. Potrebbero saper intercettare le imprese con maggiore potenziale di crescita. Potrebbero, più semplicemente, comprare le realtà che hanno superato la fase di start-up e sono alla ricerca di risorse per lo scale-up. Qualunque sia la spiegazione, dove i soci esteri sono presenti o hanno il controllo si verificano fenomeni di crescita che altrove non succedono.
La polarizzazione dimensionale, anche collegata all’identità della proprietà, è una storia già vista.
È successo in alcuni settori manifatturieri, dove i soci esteri hanno comprato imprese italiane, per poi farle crescere o portarle tutte sotto il proprio brand ombrello.
Sappiamo già che il fenomeno si accompagna ad alcuni cambiamenti organizzativi interni, come ad esempio l’adozione di pratiche di gestione del capitale umano più raffinate. Queste imprese offriranno occasioni di impiego più ricche di contenuto e con migliori prospettive di carriera, riusciranno ad attrarre e trattenere persone con profili di competenze più qualificate e con maggiore propensione all’innovazione e al rischio.
Quando la quota di Imprese Digitali in mano a soci esteri arriverà alle due cifre o il loro tasso di crescita supererà la soglia dello zerovirgola, i sensori della politica e dell’analisi socio-imprenditoriale ne rileveranno la presenza, perché in quel momento si sentiranno le voci delle piccole Imprese Digitali che, complice lo skill shortage già visibile da tempo e che non accenna a diminuire, non riusciranno più a trovare le persone di cui necessitano e verosimilmente non riusciranno a competere sul mercato del lavoro con adeguate strategie di employer branding.
Non ci possiamo permettere questa fatale disattenzione.
Nota sulla Ricerca
La ricerca è stata condotta da un team composto da Paolo Gubitta (responsabile scientifico), professore ordinario di Organizzazione aziendale, Università di Padova; Domenico Tarantino, responsabile struttura organizzativa di analisi evoluta del dato, Infocamere; Serafino Pitingaro, senior data researcher, Infocamere; Niccolò Stamboglis, data scientist, Infocamere; Giovanna De Vincenzo, data scientist, Infocamere.
Lo studio ha analizzato la struttura proprietaria delle imprese appartenenti ai settori di attività dell’area dell’economia digitale: e-commerce (Ateco 47.91.1), servizi internet (Ateco 61.9), elaborazione dati (Ateco 63.1), produzione software (62), edizione di altri software (Ateco 58.29): genere, età e nazionalità delle persone fisiche e di nazionalità delle persone giuridiche che possiedono quote.
Sono state considerate solo le imprese iscritte al Registro Imprese nel 2024 e costituite in forma di società di capitali, escludendo quindi le società di persone e le ditte individuali.
La ricerca è stata presentata il 18 ottobre 2024 in Sala Caduti di Nassirya, Palazzo Madama, Senato della Repubblica, alla presenza del senatore Antonio De Poli, nell’ambito del Digitalmeet 2024.
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