Innovazione
Da Milano il tecnodesign si sposta nella provincia lombarda
COMO – Il cielo è bigio, sopra il lago di Como, minaccia di piovere. In giro si vedono pochi turisti: un gruppetto di pensionati spagnoli (“Dalla Murcia” precisano), alcuni russi accigliati, una coppia di asiatici. Percorrendo il Chilometro della Conoscenza, si resta incantati dalle ville aristocratiche e dall’eleganza dei cigni, che navigano seriosi nell’acqua. In Italia, e nel mondo, Como è sinonimo di turismo, visitatori da Hollywood, tessuti. Dici Como e pensi all’omonimo lago, ad Alessandro Volta, a Plinio il Giovane, che era nato da queste parti. Eppure ci sono più startup innovative – 57, per la precisione – in questa città di 84mila abitanti che in molte città ben più grandi del centro e del sud.
Una di queste città si chiama Caracol Studio. Sono giovani tecnodesigner, hanno il loro quartier generale nel parco scientifico e tecnologico ComoNExT, in quel di Lomazzo, borgo di 10mila abitanti popolato sin dalla preistoria. Una volta Caracol Studio aveva sede a Milano, ma da un po’ di tempo hanno traslocato nel comasco. Segno che l’innovazione, in Lombardia, non la si fa solo nel capoluogo. «Essere all’interno di questo parco scientifico offre indubbiamente tanti vantaggi – spiega a Gli Stati Generali Giovanni Avallone, tra i fondatori dello studio –. In primo luogo ci permette di instaurare rapporti ravvicinati (anche geograficamente) con altre aziende che svolgono attività complementari alla nostra. Questo si traduce in accelerazione esponenziale dei processi di ricerca e sviluppo».
Puntano sull’additive manufacturing, i tecnodesigner di Caracol Studio. Quello che i comuni mortali chiamano stampa 3D. Lavorano on demand, non hanno paura di sperimentare nuovi materiali e soluzioni innovative, ad esempio nell’ambito della robotica. Hanno il vantaggio di operare nell’operosa quiete comasca, ma a nemmeno un’ora da Milano, una delle capitali europee dell’innovazione. «Essere vicino a Milano può essere un’arma a doppio taglio – nota Avallone –. Da un lato abbiamo la fortuna di essere bombardati da stimoli sempre nuovi, possiamo seguire con attenzione i massimi esponenti del design internazionale e calibrare le nostre mosse di conseguenza; dall’altro va mantenuta la guardia sempre alta, la concorrenza e il livello di soluzioni proposte sono molto alti».
Sicuramente, conclude, «Milano richiede più energie di altre città ma allo stesso modo offre più occasioni, tutto sommato siamo felici di far parte del suo effervescente substrato». È un rapporto complicato, quello tra la ricca provincia lombarda e la metropoli che sogna l’EMA, e magari qualche dorato posto di lavoro della finanza londinese post-Brexit. Lo spiega bene un imprenditore tecnologico residente in Brianza, ma originario del Centro Italia. «Milano dà, Milano toglie, come una madre capricciosa. Ti permette di spiccare il volo, ti offre opportunità che nel resto del paese ti sogni, però è una piazza tosta. Trovi il meglio dell’Italia, a Milano, e competere con il meglio dell’Italia è difficile».
Si consideri il design, cavallo di battaglia della città ambrosiana. Gli Stati Generali hanno parlato con tecnodesigner dalla Puglia, da Roma, dall’Alto Adige, e tutti dicono più o meno la stessa cosa: se vuoi avere successo vero, devi aprire uno studio a Milano. Persino la Capitale, che pure ha dalla sua più asset di quanto non sembri, va stretta a chi sogna di conquistare il fashion o il forniture (l’inglese è d’obbligo) mondiali. E del resto Milano attira eccellenze non soltanto dall’Italia, ma dall’intera Europa. Per esempio Elizabeth Lombardi, britannica di Manchester sposata con un italiano e trapiantata nel capoluogo lombardo.
Laurea a Londra nel Fashion Management, un apprendistato presso i maestri della pelle veneti e poi come modellista in una delle più note maison milanesi, Lombardi sta per lanciare il suo brand di lusso. Realizzerà artigianalmente, come spiega nel suo sito, “borse di pelli esotiche di alta gamma”. «Voglio creare oggetti di alta qualità partendo dalla materia prima allo stato grezzo. E mettere in ogni borsa le competenze che ho acquisito in Italia». E ha scelto Milano come base per fare la sua impresa.
Si parla tanto di Made in Italy e di saper fare italiano. La Lombardia, regione di antichissima industrializzazione che vanta trentamila aziende con oltre mezzo secolo di vita (in pratica, un terzo di tutte quelle d’Italia), è uno dei serbatoi di questa nostra “civiltà materiale”, per citare lo storico Fernand Braudel. E qui si torna a Como: che punta sulle startup, ma anche sul suo tessile e sul suo secolare saper fare di qualità (nell’arredo di design, nel legno…). Spiega Gianluca Brenna, vice-presidente di Unindustria Como e titolare della Stamperia di Lipomo, azienda con una novantina di dipendenti, su piazza da oltre 40 anni: «La nostra è una provincia di manifattura tessile ma, ricordiamocelo, di tradizione serica. E la seta, in quanto fibra nobile, di lusso, non ha mai avuto come mercato di sbocco l’Italia. Infatti gli imprenditori comaschi sono sempre stati dei grandi esportatori».
Esportare significa pure saper innovare. Specialmente quando i clienti stanno in paesi avanzati come la Francia (roccaforte del lusso europeo), la Spagna, la Germania, gli USA… «Questa crisi ha ridotto il nostro distretto, ma non lo ha devastato. E gli imprenditori comaschi l’hanno saputa affrontare con le chiavi di lettura giuste, grazie alla loro propensione per l’export» continua Brenna. Tanta la spinta verso l’innovazione, che ha coinvolto in primis le aziende della stampa tessile. «In neanche un decennio si è passati dall’essere un distretto con una tecnologia serigrafica di vecchio stampa a una stampa totalmente digitale. Questo ha prodotto un forte impatto sulla struttura produttiva del distretto, le aziende che ci hanno creduto sono riuscite a crescere».
A una settantina di chilometri da Como, c’è Bergamo. Quasi centosettanta le startup con sede nella bergamasca, multinazionali tascabili vitalissime (ad esempio la Cosberg, specializzata in automazione, macchine di assemblaggio e robotica in quel di Terno d’Isola), una cultura di imprenditorialità leggendaria: già nel XVI secolo i bergamaschi erano gli uomini di fatica, gli artigiani e i mercanti d’Europa, e alcuni di loro accumulavano immense fortune, come un certo Giovanni Battista Valvasor, nato a Telgate ma emigrato in Carniola, dove trovò la sua America.
A Bergamo c’è il famoso Kilometro Rosso, che aggrega oltre cinquanta aziende ed enti, e più di 1.600 persone. Qui si predica la contaminazione, l’open innovation, l’interdisciplinarietà. In effetti, i numeri del campus sono interessanti: quasi 83mila metri quadri di laboratori e uffici, 3 chilometri di anello in fibra ottica, 48 brevetti depositati solo nel 2016. Tra i cosiddetti “resident partners”, ci si imbatte in un colosso come Italcementi, nella piccola azienda Virgilio (specializzata nell’uso creativo dei residui delle lavorazioni in legno – non a caso si definiscono artigiani dell’innovazione), nel Centro per il Trasferimento Tecnologico Italia-Cina, nell’Università degli Studi di Bergamo, in Brembo naturalmente. Da un osservatorio del genere si ha senz’altro una prospettiva positiva della locomotiva d’Italia, quella che è sempre più solida.
«La Lombardia è certamente uno dei territori d’Italia in cui il sistema dell’innovazione è più densamente popolato – spiega a Gli Stati Generali –. Oltre ad una concentrazione di imprese che esprimono tra le produttività più alte d’Europa, è su questo territorio che si trovano tra le migliori università d’Italia, gli incubatori, i centri di aggregazione come i parchi scientifici e, non da ultimo, il sistema finanziario più efficiente e capiente che abbiamo nel paese». Certo, tanti punti di forza ma anche qualche debolezza: «In questo quadro l’elemento che più di ogni altro andrebbe rafforzato è la capacità di fare sistema: assistiamo al proliferare di associazioni ed organismi che hanno il compito di coordinare aziende ed enti di ricerca e che troppo spesso risultano etichette prive di un piano attuativo, di obiettivi misurabili, e finiscono con il creare una stratificazione poco leggibile che disorienta le imprese». Ma fare sistema, in Lombardia come in Sicilia, non è mai stato il nostro cavallo di battaglia.
Immagine in copertina: gentile concessione di Kilometro Rosso
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