Innovazione
Innovazione e Sostenibilità: ne parliamo con Marco Di Pilla, CEO di Be-boost
Viviamo un momento in cui finalmente la Sostenibilità è diventata un obiettivo fondamentale da perseguire all’interno delle aziende.
Sono ormai moltissime le Società Benefit (imprese che, oltre agli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile e sostenibile) che si impegnano in questo campo, ma non è sempre facile trovare le competenze e gli strumenti utili per ottenere realmente i frutti sperati.
Proprio per capire meglio questo settore, e per potervelo spiegare, abbiamo parlato con Marco Di Pilla, socio fondatore e CEO di Be-boost, una delle più importanti startup del settore.
Be-boost offre guida personalizzata verso la sostenibilità attraverso l’innovazione, integrando innovazione e sostenibilità nei modelli di business, per generare un impatto ESG (Environmental, Social and Governance. Indica un rating di sostenibilità che esprime l’impatto ambientale, sociale e di governance di una impresa o di una organizzazione che opera sul mercato) ed economico positivo.
Una squadra di giovani esperti che, dopo anni di solida esperienza nell’innovazione e nella trasformazione digitale di grandi aziende corporate, hanno deciso di integrare questo mondo con la sostenibilità e di contribuire ad accelerare la risoluzione delle sfide attuali.
L’intervista
Ciao Marco, raccontaci un pò chi sei e di che cosa ti occupi.
Ciao Alessandro, io sono CEO e Co-Founder di Be-boost.
Questa è la mia quarta esperienza con una startup, e una di queste quattro ha raggiunto la profittabilità nel giro di due anni. Fino a luglio dell’anno scorso ero dirigente di una multinazionale francese e ho diversi progetti imprenditoriali e da investitore, ma tutte le mie attività hanno due caratteristiche in comune: la mia passione per il digitale e per l’innovazione, e quella per la sostenibilità.
Be-boost è quindi una startup innovativa, ma si basa su anni di esperienze dei fondatori. La nostra battaglia continua è quella di fare innovazione dentro grandi contesti corporate, avendo un approccio da startup.
Come è nata Be-boost e quali sono gli obiettivi della startup?
In Be-boost vogliamo essere generatori di impatto positivo, guidando le persone e le aziende verso un futuro più equo e sostenibile. Vogliamo promuovere una cultura aziendale etica e responsabile, supportando le aziende nella creazione di nuovi modelli di business innovativi e sostenibili.
Siamo nati dall’unione tra tre professionisti: io, Nicholas Santini e Fabio Vantaggiato. Tutti e tre abbiamo in comune la passione per l’innovazione digitale e per il futuro. Il nostro obiettivo è di costruire dei sistemi per riuscire ad aiutare le persone a risolvere la sfida della sostenibilità.
Ci siamo conosciuti in Talent Garden, una delle startup più importanti nel mondo della consulenza, e all’interno di quel percorso abbiamo avuto modo di incontrare grandi professionisti come Andrea Andreoni, advisor di Be-boost, e abbiamo avuto la fortuna di lavorare con le top 100 aziende corporate in Italia, come ad esempio Eni, Poste Italiane e Snam.
Attraverso i percorsi di trasformazione digitale vogliamo creare qualcosa che abbia un impatto nella sostenibilità. La nostra visione è quella di trasformare il concetto di sostenibilità in un vero vantaggio competitivo per le aziende, al di là dell’obbligo normativo.
Entro tre anni vogliamo impattare fino a un milione di manager della sostenibilità, fornendo strumenti, pratiche e metodologie. Per questo è nata anche la nostra Open Source Academy, con cui forniamo gli strumenti che devono aiutare questi manager ad azionare un cambiamento.
Se ti chiedessi di spiegarmi la proposta di valore del vostro business come la descriveresti?
La nostra proposta di valore si riflette sull’approccio unico che integra sostenibilità e business. La nostra proposta si differenzia dal 99 % dei player che operano nel settore perché siamo completamente focalizzati sull’aspetto ESG. Lavorariamo per cambiare i processi delle aziende integrando il business non solo con la consulenza, ma con un percorso di trasformazione che permette alle aziende di adottare pratiche che coinvolgono le persone all’interno, e che impatta su servizi e prodotti.
Questo significa prendere la sostenibilità e capire come far sì che possa avere un impatto sia a livello economico, che sociale e ambientale. Il ritorno per l’azienda non è solo a livello di immagine e di strategia, ma di vantaggio competitivo che si riflette sulle nuove generazioni lavorative. Se oggi sei un Under-35 e la tua azienda non fa nulla sulla sostenibilità, difficilmente vorrai lavorarci. Alcune realtà fanno una fatica enorme nell’affrontare questa sfida.
Con quali aziende state collaborando in questo momento?
Noi siamo entrati nel mercato da gennaio 2024, e ad oggi lavoriamo già, tra gli altri, con realtà come BCC Roma e Intesa Sanpaolo. La nostra strategia commerciale è legata anche ai clienti che abbiamo avuto nelle precedenti esperienze, per i quali sviluppiamo nuovi percorsi sostenibili attraverso il prodotto digitale che stiamo sviluppando.
Quali sono i principali progetti ai quali state lavorando?
Sicuramente quello principale è con BCC Roma. In 12 ore abbiamo sviluppato quattro iniziative di sostenibilità, quattro modelli di business integrati, e coinvolto 22 direttori dell’area territoriale.
Abbiamo avuto in aula 22 persone con un’età media di 50/55 anni in grado di concentrarsi su quella che era la loro esperienza per arrivare a capire come utilizzarla per perseguire l’obiettivo della sostenibilità.
La sostenibilità oggi è un concetto “top down” e si comunica poco e male all’interno delle aziende. Il fatto di aver potuto creare un’aula dove nella prima mezz’ora la manager della sostenibilità e il direttore dell’area operativa hanno avuto modo di raccontare tutte le iniziative che la banca stava portando avanti, ha permesso di allineare la strategia con il quotidiano.
Inoltre queste persone hanno potuto presentare “bottom up” le iniziative che ogni team stava portando avanti in maniera individuale all’interno della banca. Un ottimo modo di allinearsi su tutte quelle buone pratiche utilizzate dai dipendenti, che difficilmente sono a disposizione di tutti.
Avete una collaborazione anche con l’Università Bicocca?
Si lavoriamo con la Bicocca e con la 24ore Business School, con l’obiettivo di fornire anche agli studenti gli strumenti e la metodologia che diamo ai top manager delle grandi aziende. Uno studente che frequenta questi corsi dovrà presumibilmente ricoprire un ruolo di manager della sostenibilità (o innovation manager) in azienda tra cinque/dieci anni, quindi la domanda che ci siamo posti è come potrà prendere delle decisioni che impatteranno sul business senza ragionare solo in termini economici (riduzione di costi o aumenti di fatturato).
I futuri manager dovranno pensare all’impatto sociale e ambientale e questo è quello che cerchiamo di insegnare. L’anno scorso l’abbiamo fatto per quattro edizioni e sostanzialmente in una settimana accademica abbiamo fornito tutto il nostro percorso. Gli studenti in 5 giorni hanno ridisegnato e inventato un modello di business etico in diversi ambiti.
La collaborazione con delle realtà di formazione è molto interessante. In pratica cercate di formare sia gli attuali manager che quelli del futuro. I “nativi della sostenibilità” insomma.
Esatto. Seguiamo sia la proposizione di valore nel breve termine, con gli attuali dirigenti, che quella di lungo termine, con gli studenti.
Il lavoro sul breve termine è molto più impattante, perché oggi 9 aziende su 10 non hanno un team di sostenibilità che si occupa di business, di fare innovazioni di servizio e prodotto, e se si occupano di compliance in genere hanno una sola persona responsabile che non può fare tutto.
Qual è il vostro approccio alla sostenibilità?
Per me la parola chiave non è tanto sostenibilità, ma attivare l’innovazione dentro le aziende.
Considera che il nostro approccio prima di tutto si concentra nel creare una cultura sulla sostenibilità, e un allineamento culturale interno che permette alle aziende di coinvolgere il maggior numero possibile di persone.
Se si vuole azionare un cambiamento per noi è importante coinvolgere almeno il 16% del personale. Questa idea nasce da un articolo letto qualche anno fa, che spiegava che nelle tribù africane se si riusciva a influenzare un numero superiore al 16% delle persone nel fare un gesto anche tutti gli altri, indirettamente influenzati, seguivano questo condizionamento.
Noi ci concentriamo quindi nel creare una cultura di sostenibilità all’interno delle aziende, coinvolgendo le persone e proponendo una cultura innovativa che non sia solo un obiettivo finale, ma un mezzo attraverso il quale si possa effettivamente azionare un cambiamento sul modello di business. Pensare di creare solo cultura è improduttivo perché ad oggi l’azienda deve comunque crescere e prosperare soprattutto sui profitti. Per riuscire a crescere sui profitti e legare i profitti al concetto di sostenibilità occorre creare un’esperienza pratica con degli strumenti come quelli che ricreiamo in aula.
Il vostro servizio è quindi offerto alle grandi multinazionali che hanno a che fare con la sostenibilità, ma cercate di coinvolgere anche aziende che non sono direttamente collegate all’argomento?
Assolutamente si. Noi lavoriamo con due tipi di aziende. Il primo tipo riguarda le aziende che hanno già strategie di sostenibilità avviate, per le quali studiamo la strategia e aiutiamo a raggiungere gli obiettivi preposti nel minor tempo possibile. Il secondo tipo è quello delle aziende che devono iniziare da zero.
Avete a che fare sia con lo studente che con il manager vero e proprio. L’approccio verso i temi della sostenibilità tra le vecchie generazioni e le nuove è differente? Ci sono state differenze di interesse verso certi temi tra le due generazioni?
Il manager tradizionale è più concentrato sui problemi dell’azienda e ha necessità di apprendere la metodologia, gli strumenti e un modello da seguire per ottenere gli obiettivi di fatturato, con un impatto economico strettamente legato alla sostenibilità.
Lo studente non deve essere banalmente convinto di quanto sia importante la sostenibilità, ma occorre fargli vedere come questo tipo di lavoro può essere integrato in un modello aziendale. Gli studenti non conoscono le aziende e noi gli spieghiamo che quando ricopriranno il ruolo di manager, per far accadere delle cose, dovranno avere coraggio e metodo.
Ad oggi il modello della formazione è tradizionale, con lezioni frontali e con docenti molto distanti dalle nuove generazioni. Invece i giovani hanno un approccio molto smart e hanno bisogno di lavorare, anche sbagliando, su una sfida reale. Questo è quello che facciamo nei nostri laboratori.
La sostenibilità deve essere un aspetto che l’azienda persegue non dimenticandosi chiaramente che deve fare profitto. Il manager attuale vuole capire come essere sostenibile senza perdere l’introito, che è il suo obiettivo principale. Sarebbe interessante capire se gli studenti che diventeranno dei manager riusciranno a dare minore valore al profitto (nei limiti del possibile) puntando sempre più alla sostenibilità non come qualcosa che si deve fare, ma che è giusto e si vuole fare.
Secondo me è solo il tempo ci può dare questa risposta, però i feedback che abbiamo raccolto nelle diverse esperienze con gli studenti sono tutti ottimi e vanno verso questa direzione. Tutti i progetti presentati dagli studenti, che sono “nativi sostenibili”, hanno un impatto positivo o sulle persone o sull’ambiente.
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