Innovazione

Innovare per includere. Ripensiamo insieme le politiche di sviluppo

25 Marzo 2016

‘In. Innovare per includere’ esiste. E’ un’associazione. In altri termini è uno spazio di partecipazione, aperto a soci e attivisti per condividere pensieri, pratiche e politiche di sviluppo e sostegno all’occupazione. Abbiamo fondato un’associazione, non una società di consulenza, non una corrente di partito, non una rivista di opinione. Abbiamo creato un’associazione per mobilitare le risorse di tempo e intelligenza di chi vuole condividere con noi riflessioni e azioni.

Questa associazione è assai importante per me. Per tanto tempo ho sofferto che le menti più brillanti della mia generazione fossero così disattente alle politiche a sostegno dell’impresa e dell’occupazione. La stessa idea di politiche industriali era in buona misura scomparsa dal linguaggio degli attivisti e dei militanti della mia generazione. La riflessione sul lavoro era diventata una diatriba sulla regolazione del mercato del lavoro, sulle forme contrattuali, con tante fratture e tante occasioni di conflitto. Nell’insieme si era perso di vista il cuore della questione: come si crea lavoro? Come si sostengono le imprese perché creino valore aggiunto e offrano opportunità di lavoro e carriera?

Poi è arrivata la crisi. Durissima. Governare dentro la crisi, in una fase di dura austerità, in cui gli stati hanno tagliato le risorse ai comuni, e imposto vincoli molto precisi al bilancio e all’indebitamento degli enti locali, è diventata una sfida impressionante.

A quel punto, però, tante cose hanno preso senso, e si sono rivelate di un’importanza cruciale. L’azione collettiva, il coordinamento: fare impresa con. Lavorare con. Condividere. Cercare risorse non utilizzate nei territori. Usare al meglio le competenze e il saper fare. Creare luoghi, infrastrutture, informazioni e beni collettivi a sostegno dei progetti imprenditoriali. Capire cosa permette di attivare risorse infrastrutturali, culturali, ambientali e scientifiche inutilizzate. Certificare le competenze. Valorizzare le formazioni professionali di qualità. Guardare ai giovani come risorse per la creazione di valore. Non perdere la fiducia in nessuno. Guardare a ogni zona periferica, anche la più difficile come a un potenziale di creazione di valore e occupazione.

Abbiamo iniziato a ragionare sulla demografia e la sociologia dei neet. Sulle condizioni giovanili, sulla responsabilità a cui ci richiamano. Sui settori in cui si possono sostenere imprese competitive. E sugli strumenti. Perché per fare politiche pubbliche efficaci occorre prestare grande attenzione agli strumenti che si usano, al modo con cui si bilanciano incentivi e regole.

La crisi forse inizia a scemare per intensità. C’è ancora più bisogno di pensiero, pratiche e politiche. Certamente non si può sprecare nemmeno una risorsa. Tuttavia l’onestà non basta. Servono idee di politica pubblica, competenze nel metterle in atto e valutarle, capacità politiche per legittimarle e comporre fonti di finanziamento per andare a fondo e ottenere effetti duraturi. Non ci accontentiamo in nessun modo né di testimonianze, né di denunce. Vogliamo ottenere cambiamenti reali, e aprire piste che portino a opportunità reali per fare impresa e trovare lavoro.

Abbiamo aperto questa associazione consapevoli di avere la maggior parte dei soci fondatori provenienti da Milano, ma abbiamo tolto dal nome dell’associazione il riferimento a Milano. Siamo tutte persone che hanno più radici, e abbiamo tutti nel cuore (e in famiglia, e nelle nostre provenienze, e nelle nostre frequentazioni) l’Italia tutta, Mezzogiorno incluso. L’associazione c’è, è aperta, non è una vicenda solo meneghina, o ripiegata sulla politica dentro la metropoli milanese. E’ un luogo di partecipazione per quanti vogliono tornare ai fondamentali: condizione giovanile, mercato del lavoro, opportunità occupazionali, formazione, artigianato, commercio, settori e politiche industriali. Pensando strumenti nuovi ed efficaci. Non siamo né smanettoni, né irenici idealisti con il sorriso stampato. Siamo preoccupati, inquieti. Guardiamo numeri e statistiche. Abbiamo un forte senso dell’urgenza.

Ed è ovvio che, a fronte delle sfide, siamo inadeguati. Non siamo certo i primi della classe. Altrimenti non avremmo fatto un’associazione, ma dei volantini con ricette, o un manuale di formule magiche. Invece abbiamo aperto un’associazione, in cui competenze multiple di professionisti, politici, amministratori e ricercatori possano trovare la giusta alchimia. Siamo ignoranti noi stessi, e vogliamo capire meglio cosa si può fare, e come utilizzare meglio le risorse che le politiche possono mobilitare. Pragmatici, siamo fallible learners, gente che sbaglia ma vuole imparare, prende sul serio la valutazione e i ritorni di realtà che numeri ed evidenze possono offrire. Sappiamo che le idee non bastano, e che non si può essere arroganti con la pubblica amministrazione. Amministrare e dare continuità e imparzialità a sistemi di incentivi e sostegno alle imprese e al lavoro, non è questione facile. Puntiamo alla formazione congiunta con la “burocrazia”, non alla lamentela populista. In nessun modo pensiamo che l’impresa sia il mondo dell’innovazione e l’amministrazione il mondo delle conservazione. Amministrare è difficile, è una sfida competitiva, come una sfida competitiva è fare impresa e sostenerla nel tempo. E anche alle amministrazioni servono innovazioni capaci di includere.

Vogliamo imparare dalle città, e da quello che fanno per rilanciare l’occupazione. In particolare quando cercano di tenere sotto controllo il valore fondiario di stabili e immobili, per ridurre i costi per imprese piccole e medie, e favorire il loro radicamento. Possiamo imparare molto dalle città quando si rivolgono ai giovani, e pluralizzano le loro strategie per l’occupazione e la formazione. Tanto abbiamo imparato dal Comune di Milano, e dalle sue politiche per l’occupazione in questi cinque anni. Ma tanto impariamo anche dalle solidarietà inclusive fra città. Sono molto colpito, ad esempio, come nell’attuale impasse dell’Europa degli Stati di fronte alla crisi migratoria, le solidarietà fra città siano così efficaci e innovative. Pensiamo a ciò che ha fatto di recente Barcellona: ha cercato e stretto un accordo di collaborazione con Lesbo e Lampedusa, due piccole città in cui arrivano grandi quantità di profughi. Non una solidarietà simbolica, o un obolo economico. Ada Colau, sindaco di Barcellona, Giuseppina Nicolini, sindaco di Lampedusa e Spyros Galinos, sindaco di Lesbo, si scambieranno informazioni e condivideranno competenze « per tutti gli aspetti tecnici, logistici e di appoggio sociale e ambientale che queste città possono richiedere per gestire il forte impatto sul territorio e la popolazione rappresentato dall’arrivo in massa di persone che cercano rifugio in Europa ».

Così scopriamo che la città di Lesbo chiede aiuto tecnico e consulenza per formare nuove figure professionali e un (piccolo) settore industriale legato allo smaltimento di rifiuti. Questione che la piccola città non ha mai affrontato, ovviamente, e per cui non sono certo le competenze di Frontex o delle forze dell’ordine che possono aiutare. Eppure, « l’afflusso di masse di persone che arrivano in barca ha portato all’abbandono sulla costa di enormi quantità di materiale in gomma e giubbotti di salvataggio, provocando un forte impatto ambientale in un territorio che non è pronto ad affrontare e risolvere il problema ». Barcellona, come ogni città metropolitana, ha competenze per dare consulenza e aiutare a strutturare un modello economico per lo smaltimento dei rifiuti che sia vantaggioso e non foriero di passività: « L’accordo comprende anche la possibilità di avviare programmi di promozione economica per aiutare i Comuni a generare occasioni di rilancio dell’economia interna, danneggiata dalla situazione e dall’abbandono da parte dell’Unione Europea.  Il Comune di Barcellona ha anche avviato colloqui per mettere in contatto questi due piccoli municipi europei con altri attori della città che hanno espresso la volontà di collaborare davanti alla crisi dei rifugiati, come il Fùtbol Club Barcelona, l’Area Metropolitana e la Deputazione… ». Niente male! Fa venire idee. Ispira solidarietà e motiva a coinvolgersi. E’ un’innovazione inclusiva. E infatti: Atene, Helsinki, Amsterdam e Berlino si sono interessate a questo accordo, e hanno già manifestato interesse a entrare nella rete, immaginare circolazioni di esperienze per strutturare progetti e aiutare a rendere economicamente più sostenibile la situazione delle città più esposte alle emergenze. Diversi cittadini, e anche università e studenti hanno guardato a questo accordo fra città come a un segno di speranza, e hanno mobilitato tempo, stage e tecnologie per mettere in relazione, prendere responsabilità, ascoltare e imparare (ma senza pietismi o turismo della sfiga).

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