Innovazione

Industria 4.0, stampanti 3D e nuovo manifatturiero

11 Agosto 2015

Nessun banchetto è eterno sotto il cielo, diceva il filosofo Confucio. Il detto non vale solo a Pechino, ma anche a Roma e Berlino. La sensazione però è che i tedeschi lo abbiano capito, mentre gli italiani ancora no. La Germania oggi è la prima potenza manifatturiera d’Europa, e una delle principali del globo con Cina, Giappone e Stati Uniti, ma se vuole conservare il suo primato è obbligata a innovare. Gli esperti, dal canto loro, ci dicono che è iniziata l’era dello smart manufacturing: le fabbriche del futuro (almeno nei paesi che contano) saranno sempre più “intelligenti” e interconnesse grazie all’internet delle cose (IoT). Saranno spazi fisico-virtuali dove macchine, sistemi e reti di nuova generazione interagiranno e risponderanno agli stimoli autonomamente, gestendo i processi di produzione.

Una sfida mica da poco, chiaro. Proprio per questo motivo è stata varata l’iniziativa “Industrie 4.0” che, come spiega il professor Henning Kagermann, “è l’iniziativa strategica tedesca per assumere un ruolo pionieristico nell’ambito della tecnologia dell’informazione industriale che sta rivoluzionando il settore. La strategia di Industrie 4.0 consentirà alla Germania di rimanere un’economia ad alti salari competitiva a livello globale”. Fabbriche più intelligenti, high-tech e… locali: se per decenni l’arma segreta degli industriali europei e nord-americani sono state le famigerate delocalizzazioni in Oriente (dalla Polonia alla Cina), oggi, con il costo del lavoro che cresce pure in Slesia e nel Guangdong, e una domanda sempre più volubile e ansiosa, le fabbriche stanno tornando a spostarsi a ovest. Il colosso SAP, multinazionale del software con base in Baden-Württemberg, lo dice chiaro e tondo: “la produzione deve essere sempre più locale, ad esempio grazie alle stampanti 3D, allo scopo di soddisfare i rapidi cambiamenti nella domanda”.

Il punto è che in Germania c’è consapevolezza, sia a livello pubblico che privato, sulle sfide immense che attendono il manifatturiero europeo. In un report di marzo 2014 della società di consulenza di Monaco RolandBerger (intitolato “Industry 4.0”), si teorizzano “fabbriche 4.0” dove i dati sono raccolti da azienda, fornitori e clienti, e vagliati prima di trovare sbocco nella produzione reale, basata su tecnologie come sensori, robot avanzati e, appunto, stampanti 3D. Queste ultime, in particolare, risulterebbero cruciali per eliminare gli scarti, consentire la mass customization, e permettere la prototipazione rapida. Le scorte di magazzino andranno riducendosi così come il time-to-market.

Tutto questo è il risultato dell’irrompere della Rivoluzione Digitale nel mondo del fare. Dopo aver cambiato per sempre il settore dei servizi, ora sta per travolgere anche il manifatturiero, e con la forza di uno tsunami. A cambiare non saranno solo le fabbriche (che per anni, a torto, sono state viste come simbolo della old economy) ma soprattutto la mentalità e la cultura di chi in fabbrica ci lavora. Tutto diventerà più veloce, efficiente e complesso. L’innovazione sarà permanente, e sarà sempre più segnata dalla contaminazione tra mondo virtuale e mondo reale, tra saperi diversi, tra produzione automatizzata e apporto creativo umano. Per citare di nuovo il report della RolandBerger, i modelli di business cambieranno radicalmente, così come le competenze necessarie per operare nel manifatturiero: si passerà infatti dal production thinking al design thinking, la formazione permanente diventerà la regola, e i confini tra discipline si annulleranno.

In Germania non solo si sono posti il problema del nuovo manifatturiero, ma stanno cercando di affrontarlo, elaborando rapporti ma anche creando commissioni ad hoc e investendo soldi (miliardi, non milioni). E l’Italia? Di recente è stato pubblicato un interessantissimo report, a cura di Confindustria servizi innovativi e tecnologici, dal titolo “Fabbrica 4.0: la rivoluzione della manifattura digitale”. Il dibattito nazionale è poi alimentato da intellettuali come l’economista Stefano Micelli, il teorico degli “artigiani digitali”, e da iniziative come quelle portate avanti dalla Fondazione Nord Est. Si tratta, in tutti i casi, di persone ed enti che conoscono bene il territorio e il tessuto produttivo italiano. Non è mica una coincidenza: un numero crescente di imprenditori sta toccando con mano le opportunità (e le insidie) legate a questa nuovo trasformazione tecnologica e produttiva. Il futuro è questo.

 

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