Innovazione

Il Fisco ha l’occhio più lungo della gittata di un satellite spaziale

17 Marzo 2020

Un satellite non registrato lanciato in mezzo al Mar della Cina da una nave che batte bandiera di Cipro poi rifugiatasi sulle coste venezuelane. Nell’avvincente seconda stagione di Jack Ryan, la serie in onda su Amazon Prime, ad indagare è la Cia, interessata a scoprire il disegno geopolitico dietro le quinte. Ma in un futuro prossimo a occuparsi della faccenda potrebbe essere l’Irs, l’Internal Revenue Service, ovvero l’omologo americano dell’Agenzia delle Entrate.
Già perché tra i rischi della conquista dello spazio c’è anche quello di dover pagare le tasse. E’ vero, infatti, che lo “spazio esterno” è considerato sin dagli anni Cinquanta “provincia dell’umanità” e dunque non colonizzabile né assoggettabile alla sovranità di alcuna nazione, ma sui proventi delle attività svolte lassù non c’è nessuna norma nei trattati. E quindi a chi toccherebbe sfruttare i diritti minerari di eventuali giacimenti galattici? E come regolare crociere spaziali che diventassero frequenti quanto quelle ai Caraibi? E di chi sarebbe la responsabilità di un veicolo orbitante che precipiti sulla terra facendo un bel po’ di danni? Come disciplinare poi prolungate attività di Ricerca & Sviluppo o di data storage?

Il tema è meno astratto di quanto appaia: un mese fa Donald Trump ha presentato la finanziaria per il 2021, portando a oltre 25 miliardi di dollari i fondi per la Nasa, 2,5 miliardi in più rispetto all’anno scorso, il 12% in più rispetto al 2020. Un colossale aumento di budget dovuto all’ultima declinazione del motto trumpiano – America First: arrivare primi su Marte. Fiore all’occhiello dell’agenzia spaziale americana è infatti il progetto “Moon to Mars: nuove missioni sulla Luna a partire dal 2024, una all’anno fino al 2030 con la costruzione di basi lunari dove vivere, fino a mettere il piede umano sul Pianeta Rosso nel 2035. Costo: 71 miliardi di dollari all’anno per il prossimo quinquennio. Coronavirus permettendo, ovviamente, dato che l’epidemia ha già fatto slittare al 2022 minimo la missione russo-europea Exomars che prevedeva di inviare su Marte un robot in cerca di tracce di vita.

I soldi in gioco, come si vede, sono molti. E il Fisco vuole la sua parte. E sta studiando come averla. La tassazione dello spazio è già dall’anno scorso oggetto della conferenza annuale dell’International Fiscal Association, il gotha mondiale dei tributaristi che annusa rapidamente l’aria. Ed è stata affrontata in articoli scientifici su International Tax Review e Financier Worldwide. Oltre che nelle prime aule di tribunale: la Corte d’Appello nigeriana nel 2019 ha ritenuto che nel caso di una rete satellitare a banda larga fornita a un’azienda di telecomunicazioni nigeriana da una società olandese, i relativi servizi vadano assoggettati a Iva in Nigeria pur se non prodotti lì (bensì nello spazio) perché non considerati esplicitamente esenti dal codice fiscale nigeriano.

Siamo solo all’inizio. Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale potrebbe rendere presto una realtà lunghi periodi di viaggio o permanenza nell’atmosfera. Si potrà considerare fiscalmente residente nello spazio una società il cui management interamente robotizzato si trovi a prendere decisioni all’interno di una capsula orbitante? E quale paese avrà diritto di tassare il reddito da lavoro dipendente di astronauti che trascorrano interi anni senza toccare la Terra? Si potranno evitare casi di doppia imposizione?

Infine, un satellite in orbita può essere equiparato a una stabile organizzazione? Finora si è detto di no poiché non si trova sul territorio di nessuno Stato. Le cose però stanno cambiando. “Grazie all’ecommerce si sta facendo strada il concetto di stabile organizzazione virtuale – spiega l’avvocato Francesco Nanetti, specializzato in diritto tributario internazionale – Oggi molti servizi sono prodotto nel cyberspazio. Una sorta di no man’s land, ma del resto per l’esistenza di una “permanent establishment” non è richiesta la presenza umana, bastano server e macchinari adatti”.

Attenzione, insomma, perché il Fisco ha l’occhio lungo. Persino più della gittata di un satellite.

 

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