Innovazione

La sfida di Ignazio Visco: il cambiamento comincia dalla mentalità

28 Ottobre 2014

Dunque possiamo annoverare anche il governatore della Banca d’Italia tra la schiera degli innovatori (veri o presunti) del nostro Paese? Per sostenere questa autorevole e forse sorprendente candidatura basta leggersi l’intervento di Ignazio Visco alla XXX Lettura del Mulino che cadeva nel sessantesimo anniversario della fondazione della prestigiosa rivista e casa editrice bolognese. Mentre fuori dall’aula gli antagonisti (altra categoria di changemakers?) protestavano scontrandosi con la polizia, il governatore rispondeva alla domanda sul “perché i tempi stanno cambiando”, citando un altro anniversario ovvero i cinquant’anni dall’uscita dell’omonima canzone di Bob Dylan.

Perché dunque i tempi cambiano seguendo un processo ricco di discontinuità, ma che non procede casualmente? Visco risponde guardando soprattutto all’impatto delle nuove tecnologie, a quella “seconda età delle macchine” che intitola il nuovo saggio di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, tecnologi del MIT spesso citati dal governatore e già coautori del fortunato “Race against the machine“. Secondo questa visione, l’impatto delle tecnologie dell’informazione e della conoscenza tende ad aumentare il carattere non lineare dello sviluppo e, soprattutto nei paesi avanzati, è all’origine di un “ristagno secolare” della crescita. Ciò è dovuto al ben noto effetto di sostituzione del lavoro umano con le macchine che deprime la domanda di consumi, ma anche ad altri elementi concomitanti. In primo luogo un calo di investimenti, perché una startup tecnologica costa molto meno dell’avvio di impresa in settori tradizionali. E in secondo luogo un aumento ancora limitato della produttività, probabilmente perché il potenziale di queste stesse tecnologie non è ancora a regime nei sistemi di organizzazione e di gestione della produzione.

L’effetto congiunto di queste dinamiche è l’incremento della disugualianza trainata da una crescente concentrazione della ricchezza. Serve quindi più equità distributiva che, secondo Visco, passa non solo dal rilancio, ma dalla riqualificazione della domanda. E’ necessario, in altri termini “che vi siano consumatori in grado di domandare nuovi beni e servizi”. L’Italia, da questo punto di vista, è paradossalmente avvantaggiata da vincoli allo sviluppo ormai di lungo periodo che se sciolti dalle ormai mitiche “riforme strutturali” potrebbero consentire di rimbalzare ad un nuovo assetto grazie a tecnologie che si declinano in termini di  sostenibilità e impatto sociale.

Sfida non semplice perché, al fondo, si tratta di cambiare non solo le istituzioni, ma la forma mentis, soprattutto delle nuove generazioni, puntando su creatività, dinamismo individuale, spirito adattamento. Gli ingredienti tipici di una società che è insieme altamentamente imprenditoriale e civica, rispetto alla quale si può forse contare su un nuovo, insospettabile changemaker.

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