Asia

Sette ecosistemi asiatici dell’innovazione da conoscere

26 Aprile 2019

Quali sono gli ecosistemi dell’innovazione più interessanti dell’Asia? È una domanda più che legittima, perché è qui, in questo immenso continente, che ci possiamo imbattere in molte tra le economie più dinamiche, e potenti, del pianeta. Il XXI secolo, piaccia o meno, sarà il secolo asiatico: Cina e India, naturalmente, ma anche Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Bangladesh, Vietnam, Thailandia, Malesia (e l’anglosassone Australia, sempre più legata, a livello commerciale e finanziario, all’Asia). I media occidentali menzionano spesso Alibaba e Huawei, e i brand nipponici e sudcoreani fanno ormai parte del nostro abituale paesaggio di consumatori. Tuttavia meritano la massima attenzione anche colossi high-tech come Tencent, Tata, Infosys, China Mobile ecc.

Il 40% del valore degli unicorns di tutto il mondo è prodotto in Asia. Mirabile dictu, la sola Cina, nel 2018, ha sfornato uno unicorn ogni quattro giorni! Ed entro il 2024 il solo Sudest asiatico (Singapore, Malesia, Indonesia ecc.) dovrebbe generare altri dieci unicorns. Ecco la ragione per la quale gli innovatori italiani dovrebbero sì tenere un occhio sulla Silicon Valley, ma non dovrebbero esimersi dal rivolgere l’altro al continente più popoloso del globo. In questo post, sette ecosistemi dell’innovazione made in Asia assolutamente da conoscere, destinati a incidere in modo profondo sulle vicende economiche e tecnologiche dei prossimi decenni.

 

Bangalore, India

Bangalore (che in realtà si chiama, in kannada, Bengaluru) non è solo la capitale dello stato del Karnataka, e una metropoli di oltre dieci milioni di abitanti. È anche la “Silicon Valley dell’India”, altrimenti definita dai media “Bangalore Valley”. Una definizione resa evidente dalla selva di grattacieli proiettati verso il cielo australe, ma anche dal gran numero di alberi e parchi, che ricordano più un rilassato centro urbano californiano che una metropoli indiana (il contrasto con il polo finanziario di Mumbai è stridente). Anche se in India stanno crescendo altri poli high-tech, ad esempio la “Millenium City” Gurgaon, e meritano alta considerazione le dinamiche Chennai e Delhi, Bangalore è l’eldorado di ogni startupper. Qui hanno sede, oltre a multinazionali del calibro della già citata Infosys, quasi ottomila startup (in Italia, giusto per fare una comparazione, ne abbiamo sì e no diecimila), forti in settori come l’IoT, l’intelligenza artificiale (IA), i big data, la robotica e la blockchain.

Fukuoka, Giappone

Questa metropoli di 1,5 milioni di abitanti (non troppi, per gli standard nipponici: Tokyo ne ha ben 37 milioni) è forse l’ecosistema dell’innovazione del Giappone più dinamico. Grazie a una pubblica amministrazione molto proattiva, a un costo della vita sensibilmente più basso che a Tokyo o ad Osaka, a una fiscalità di vantaggio e a una dozzina di università e centri di ricerca prestigiosi, Fukuoka è divenuta un magnete per grandi aziende high-tech dalla capitale, che qui decidono di aprire una succursale. Grazie anche alla sua eccellente qualità della vita (la cucina locale è, a detta di molti, formidabile), Fukuoka è un eldorado per gli startupper e i talenti di tutto l’arcipelago, specie se attivi nel machine learning, nell’IoT e nei big data.

Seul, Corea del Sud

È stata definita la città più felice del mondo. Effettivamente la capitale sudcoreana è un centro urbano molto vivace, che sa coniugare qualità della vita, efficienza, dinamismo, sicurezza e una scena culturale spumeggiante. Si perdoni l’ardire, ma questa metropoli di dieci milioni di abitanti è come il kimchi: il gustosissimo cavolo fermentato (vanto della gastronomia locale) che fa bene, è colorato, versatile, e non stufa mai. A Seul hanno la loro sede i quartier generali di alcuni tra i conglomerati sudcoreani più innovativi (compresi Samsung e Hyundai), centri di ricerca e università di assoluto rilievo, acceleratori, parchi tecnologici, finanziatori pubblici e privati, e soprattutto oltre ventimila startup. Una peculiarità di Seul è che qui non operano solo aziende biotech, ICT o nanotech, ma anche startup della cultura, dell’intrattenimento e delle arti, grazie alle quali la capitale sudcoreana si è trasformata, probabilmente, nel maggior centro tecno-creativo d’Asia.

Shenzhen, Cina

Questa metropoli di oltre dodici milioni di persone, motore economico della provincia cinese del Guangdong (che da sola fa un PIL di oltre un trilione e mezzo di dollari), è il cuore di una grande megalopoli che parte a Hong Kong, e continua a nord a Dongguan e Huizhou: la cd megalopoli del Delta del Fiume delle Perle. Qui hanno sede decine di università, laboratori e scuole, e grazie a infrastrutture di altissimo livello (l’aeroporto internazionale di Shenzhen è uno dei più importanti della Cina) la metropoli è tra i principali hub del continente, e una smart city efficiente. Superata solo da Pechino per il numero di imprese high-tech che ospita (il colosso Tencent, tanto per fare un solo nome, ha il suo quartier generale qui), e dalla contigua Hong Kong (e da Shanghai) come piazza finanziaria, Shenzhen rappresenta un formidabile magnete per costruttori di droni, produttori di smartphone, imprese del new automotive. Una sorta di paradiso per gli innovatori hardware, che a Shenzhen trovano capitali, acceleratori, intelligenze di prim’ordine e un mercato perfetto per testare i loro prodotti.

Singapore

La città-stato simbolo della riscossa del Sudest asiatico è un hub finanziario, commerciale e tecno-scientifico di peso internazionale. Nel 2016 il governo ha destinato oltre 13 miliardi di dollari a un piano quinquennale finalizzato a rafforzare l’R&D nazionale. Intanto, alcune tra le startup più interessanti dell’Asia sono nate qui, attirate anche dal fatto che Singapore (con le sue quattro lingue ufficiali, e il suo reddito pro capite alto) può fungere da testbed per chi vuole poi proporre servizi o prodotti in Cina, nel resto del Sudest o persino nella West Coast. Ancora, qui sta davvero prendendo corpo una smart city efficiente in grado di semplificare la vita al cittadino, e rendere più competitive le aziende che vorranno scegliere Singapore come loro piattaforma. Peraltro la città-stato è quinta nell’indice Global Innovation 2018, e secondo varie graduatorie è una delle città migliori dove aprire una startup. Particolarmente consigliata per chi punta sul fintech, Singapore ospita i laboratori e gli uffici di giganti della knowledge economy come IBM e Google.

Melbourne, Australia

Se negli USA c’è la Silicon Valley, in Australia c’è la Silicon Yarra. Che si trova a Melbourne, la vice-capitale economica dell’Oceania. Questa metropoli di cinque milioni di abitanti, nota per la sua altissima qualità della vita, è la sede di alcune tra le maggiori aziende australiane (dai colossi minerari alle banche), e costituisce uno dei venti centri finanziari più rilevanti del mondo (per la precisione, è quindicesima; Parigi, tanto per dire, è ventisettesima). Ed è chiaro che quando circolano molti dollari (australiani) è più probabile che lo startupper valente trovi un VC per finanziare il suo progetto in grado stile e tradurlo in una realtà di amplio respiro. Polo biotech di grande rilevanza, Melbourne vanta centri di ricerca prestigiosi, ottime università, ed è riuscita ad attirare talenti da tutta l’area del Pacifico: ciò accade anche grazie all’abbondanza di spazi di co-working, e all’atmosfera “californiana”. Qui alcune delle realtà ICT più importanti dell’Oceania hanno i loro uffici (o addirittura i loro quartier generali, come nel caso di Seek, piattaforma per cercare lavoro attiva in tre continenti).

Pechino, Cina

Per chi pensa davvero in grande, e ha orizzonti transcontinentali, non c’è che una megalopoli, in Asia: Pechino. La capitale del paese più popoloso del mondo (e della prima economia, a PPP) è il paradiso di ogni startupper dalle ambizioni napoleoniche. Qui sono nati ben 66 dei 151 unicorns cinesi [il dato è aggiornato al marzo 2018], e sempre qui hanno sede i loro quartier generali colossi dell’innovazione come Baidu, nona azienda digitale del mondo, e Xiaomi, leader nell’elettronica di consumo. Tale è il livello delle exit, e la quantità di VC in loco, che gli esperti parlano già di Pechino come della Silicon Valley del XXI secolo. Dal biotech all’agritech, dal deep learning al greentech, non esiste settore tecno-scientifico dove Pechino non possa dire la sua. Ciò è il risultato di una politica lungimirante, che ha investito enormi risorse nell’istruzione superiore: sono almeno una settantina le università e i centri di formazione avanzata, una cifra tra le più alte del pianeta.

 

 

La foto in cover è tratta da questo sito.

 

 

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