Benessere
Dimmi cosa non hai fatto e ti dirò chi sei
In questo primo maggio, festa dei lavoratori, voglio scrivere un post su una cosa bella che, in queste ore, sta girando con una certa viralità sui social.
È la storia di un professore di Princeton, Johannes Haushofer, un economista che ha pubblicato sulla sua pagina web, all’interno della prestigiosa università, il cv dei fallimenti.
Che cos’è un cv dei fallimenti? È un’idea bellissima che, a dire il vero, non è nemmeno di Haushofer, come lui onestamente dice anche nelle poche righe di accompagnamento: la prima volta, infatti, il cv dei fallimenti è stato pubblicato da Melanie Stefan, addirittura su Nature. La ricercatrice, allora, aveva appena ricevuto notizia di non essere stata accettata per una posizione in università e, forte di questa occasione, aveva deciso di celebrare o, più sobriamente, di elencare tutti i risultati non raggiunti nel corso della sua carriera accademica.
Ecco dunque che anche il cv di Haushofer è una sfilza, salutare per l’anima, di insuccessi: il Phd non fatto alla Stockolm School of Economics, le posizioni perse ad Harvard, MIT, Berkeley. I premi non vinti e, in bella mostra, la montagna di rejections ottenute dalle più brillanti riviste accademiche.
Consiglio di leggere questo curriculum a tutti, in un karma della serenità che rende giustizia all’onestà intellettuale. La carriera accademica ma, a ben guardare, la storia lavorativa di tutti noi, è costellata di tanti, ma proprio tanti, insuccessi. E questi insuccessi dicono di noi non tanto ciò che non siamo (quello lo lasciamo ai poeti), ma la natura più profonda, invece, di quel che vogliamo e di quel per cui, ogni giorno, ci sbattiamo convintamente. Questo cv restituisce dignità all’errore, agli improperi e ai bestemmioni rimasti dietro le quinte tra i nostri ricordi e che, invece, ci descrivono più e meglio di quanto pensiamo.
Nella terra dei santi, dei navigatori e dei narcisi, scriventi inclusi, questa iniezione salutare di onestà intellettuale vale più di mille ricostituenti.
E la vale ancora di più questo TED.
Sono pochi minuti di discorso di Astro Teller, che parla dei laboratori di Google X, quelli dove vengono seguiti i progetti più visionari (portare la connessione Internet in giro per il mondo con una mongolfiera; sviluppare colture verticali che consentano di utilizzare meno intensivamente la terra; aumentare l’aspettativa di vita a 100 anni). Sono progetti ad altissimo rischio di fallimento. Anzi, in pieno spirito popperiano, a chi lavora nel lab interessa proprio fare di tutto per dimostrare che un progetto NON può funzionare, al punto che un bonus viene riconosciuto proprio quando si abbandona un’idea.
Questo approccio si chiama metodo scientifico.
Fate vedere l’intervento di Astro Teller a managers o dirigenti.
Questa logica, come quella del cv, non promuove tanto una cultura del fallimento.
Essa, piuttosto, sdogana l’idea del successo da una retorica dell’inevitabilità.
Insomma, non me ne voglia il presidente del consiglio, ma è la profonda differenza che passa tra l’Edison di “Non ho fallito. Ho soltanto provato 10 mila metodi che non hanno funzionato” e uno stuolo di yestwitters che, passivamente, si digita addosso l’ennesimo hashtag entusiasta, testimone di una staffetta fatta soltanto di sorrisi e infallibilità.
Lo ripeto ancora: è il succo dell’onestà intellettuale versus la spocchia di chi pensa che il successo sia un destino.
A me vien da pensare al binomio fantastico di Rodari, quel duello di parole fatto per mettere in moto pensieri e immagini. E quindi idee.
Buon primo maggio dei lavoratori, a tutti i lavoratori che fanno ciò che fanno con passione. A tutti i lavoratori che sbagliano, criticano e non lasciano niente di intentato. A tutti i lavoratori che ci credono, proprio quando sembra che nulla giri per il verso giusto.
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