Innovazione

Dal free software alle principali sfide del presente alla SFScon di Bolzano

15 Novembre 2021

Sabato si è chiusa a Bolzano la ventunesima edizione di SFScon: South Tyrol Free Software Conference.

La conferenza si tiene ogni anno al NOI-Techpark dell’Alto Adige, il parco scientifico e tecnologico della Provincia Autonoma di Bolzano.
Entrando, si viene accolti dalla torre piezometrica decorata a murale dall’artista polacco Mariusz Waras. Dietro la torre, il Black Monolith, struttura centrale del Noi Techpark, dove si tengono le talk. Ognuna dura circa 15 minuti, comprese le domande: poco tempo per essere precisi, efficaci e inclusivi, in certi casi per approfondire temi molto specifici, in altri per arrivare a un pubblico più ampio.

Quest’anno, dodici percorsi tematici e un centinaio di speaker, molti presenti ma qualcuno anche da remoto. Per chi viene da fuori, rispetto a quel mondo, colpisce per prima cosa l’età media: alla cena per i relatori il giovedì sera, seduta in un tavolo qualunque, scopro che i miei commensali hanno fra i 26 e i 29 anni. Uno di loro commenta “il nostro è un mondo in cui non c’è spazio per i nostalgici. Ogni cosa nuova fra due anni potrebbe essere già vecchia”. E infatti è un mondo soprattutto di giovani, e comunque a occhio non si va oltre i cinquanta. Poche donne, anche questo si nota. Ma le chiacchiere, a tavola e nelle pause, sono fresche e contemporanee: si parla di linguaggio inclusivo, scelte alimentari consapevoli e protezione dei dati. E a proposito di lingua, fra loro le persone parlano in italiano, tedesco o inglese ma le talk sono tutte in inglese.

Venerdì mattina la Conferenza viene aperta alle 9.00 da Patrick Ohnewein, direttore dell’Unità Digital del NOI, con parole di benvenuto e ringraziamenti.
Lo segue Vincent Mauroit, direttore di Innovation & Tech Transfer, che parla di open source come chiave dell’innovazione e fa un po’ di Storia: nel 1942 Robert Merton dichiarava già che “la scienza è pubblica, non privata”; nel 1983 Richard Stallman, uno dei principali esponenti del movimento per il free software, fondava GNU, un sistema operativo composto interamente da free software; e dal 2004 si celebra il Free Software Day. Dove Free, per chi avesse dubbi, vuol dire Freedom, ha a che fare con la libertà, non con il prezzo: vuol dire che tutti possono riusare i codici, cambiarli, risolvere più velocemente i problemi.

Segue l’intervento si Davide Ricci, direttore dell’Open Source Technology Center (OSTC) di Huawei, che presenta il progetto Oniro lanciato a ottobre dalla Eclipse Foundation con l’obiettivo di costruire un nuovo ecosistema industriale di dispositivi IoT. Un progetto di grande interesse e portata, che potrebbe avere implicazioni importanti anche nel campo della protezione dei dati, come si può leggere in questa intervista.

A metà mattina cominciano anche gli altri percorsi tematici: accanto al Main Track ci sono Agri-Food & Health track, Community & Education track, Companies track, IoT & Cybersecurity track; IOTA track, Legal track, LUGBZ track, OW2 track, Public Administration & GIS track, Software track e Sustainability track, oltre all’Hackathon: una maratona di due giorni in cui programmatori e sviluppatori rispondono ad alcune sfide lanciate dalle aziende, la cui premiazione è avvenuta sabato pomeriggio e il cui vincitore quest’anno è Diego Mainacco.

In generale si racconta il free software come un valore e una visione del mondo; permette il riuso dei dati, maggior efficienza, trasparenza. La crescita stessa ha bisogno del riuso, altrimenti ognuno deve ricominciare da zero. Si oppone all’obsolescenza e alla produzione lineare, è un sistema che permette l’upcycling del software e quindi permette di dare al software una seconda vita. L’incompatibilità dei prodotti a cui siamo abituati produce insostenibilità: l’obiettivo quindi dev’essere evitare lo spreco, standardizzarli, creare inter-operatività, open standard.

Si racconta anche di come questa filosofia sia stata portata nelle scuole, dell’Alto Adige ma non solo, per proporre il software come qualcosa di cui l’utente (o studente) può ricevere gli ingredienti e “prepararselo” anziché qualcosa di già pronto, confezionato e inaccessibile: “gli studenti non devono essere turisti del software, devono poter letteralmente aprire un device e sapere cosa farci, dove mettere le mani”, racconta per esempio Paolo Dongilli del FUSS (Free Upgrade for a digitally Sustainable School). Ma si parla anche di come dall’IoT e dall’AI emergano tecnologie che possono essere applicate per esempio all’agricoltura, all’osservazione della terra, al monitoraggio ambientale oppure di come si debba passare dal concetto di “Data Privacy” (protezione dei dati) a quello di “Data Ownership” , quindi possesso dei dati da parte dei consumatori, dati che sono il “nuovo petrolio” (tanto che una recente sentenza del Tribunale di Stato italiano ha stabilito che i dati hanno effettivamente valore economico).
Il mondo dell’open software si mostra dunque in questi due giorni non come una torre d’avorio per addetti ai lavori ma come un prisma da cui si rifrangono alcune delle più importanti sfide del presente e del futuro di tutti.

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