Innovazione

Dai ragazzi, non spaccerete mica UberPop per concorrenza liberale?

10 Luglio 2015

Dai ragazzi, l’economia liberale, l’idea di libera concorrenza, sono robe troppo serie e affidate a regole serie (quando ci sono) per impiccarci a quella cagata pazzesca di UberPop come fosse l’ultimo avamposto di un mondo più giusto e senza monopoli. In un mondo, appunto, di regole, una tra le prime cose da fare è saper distinguere. Saper distinguere, per esempio, tra Uber e UberPop, che impropriamente l’azienda vorrebbe accomunare sotto lo stesso tetto d’impresa con medesimi diritti. E invece no, se è abbastanza chiaro che per Uber non sarà oggi, magari neppure domani mattina, ma già dopodomani il servizio si imporrà come libera concorrenza dei taxi nostrani, è altrettanto evidente che non si spacciano per rivoluzioni liberali iniziative totalmente abborracciate com’è UberPop. Scrive giudiziosamente Lello Naso sul Sole24Ore: «Se ci mettessimo per una volta nei panni del cittadino, non costruiremmo inutili barricate, non avremmo paura del mercato. Ci porremmo il problema di indennizzare i diritti acquisiti dei tassisti e di disciplinare con poche, chiare, norme le nuove attività di Uber. Faremmo quello che 56 Paesi nel mondo hanno già fatto».

Sui social sedicenti liberali esternano la loro stupefazione con toni da sbellicarsi da ridere. Letto su Twitter Alessandro De Nicola, avvocato e poltronizzato dal governo nel cda di Finmeccanica: «In America razzista anni ’60 alcune scuole proibivano “Il buio oltre la siepe” xkè depravava i giovani. Oggi per giudici lo fa Uber». E appena sopra aveva definito “demenziali” le motivazioni con cui il Tribunale di Milano aveva lasciato a piedi UberPop, visto che i giudici scrivono che “approfitta della fiducia dei giovani” in quanto non offrirebbe ai ragazzi che si avvicinano al servizio le opportune informazioni né “sulla persona che sarà alla guida” né “sullo stato dell’auto”.

Ma in questo caso c’è colpa grave dell’azienda, soprattutto dal punto di vista della strategia comunicativa e di marketing e qui la dottoressa Arese Lucini potrebbe darci qualche delucidazione. UberPop è davvero un servizio che si rivolge principalmente ai giovani, lo si è percepito nitidamente con un battage pubblicitario ad hoc, si è diffuso il verbo sui social più cari ai ragazzi, ne si è fatto davvero un punto distintivo aziendale? No. UberPop è entrato in modo strisciante, surrettizio, i dirigenti sapevano perfettamente che non avrebbero potuto farsene un fiore all’occhiello perché non aveva punti di forza ma solo debolezze. Anzi, paradossalmente aveva punti di forza dalla parte sbagliata, quella del lavoratore/conducente che in questo modo poteva arrotondare, ma nessun vantaggio era chiaro per l’utenza, che semmai era affidata a un perfetto estraneo che per puro caso passava dalle  tue parti in quel momento e che per una botta di culo (la sua) avrebbe fatto un pezzo del tuo stesso percorso mentre andava al lavoro. Una domanda tra le trenta/quaranta che si potrebbero fare: chi garantisce l’utente che il conducente non abbia già sulle spalle un carico di lavoro eccessivi (tra il suo lavoro e questo) e dunque rappresentare un pericolo per la nostra sicurezza?

Ma parliamoci chiaro, ragazzi di Uber: questo ai miei tempi si chiamava autostop, era una bellissima invenzione planetaria, a costo zero economico, e a costi sociali invece straordinariamente attrattivi in termini di conoscenza, parliamoci chiaro, anche femminile. E sull’autostop voi vorreste farci il business? Ecco, se volevate farci il business giovanile si doveva esser chiari sin dall’inizio e puntare al bersaglio grosso dei ragazzi così come ha fatto «Bla Bla Car». Date uno sguardo alla loro pagina «Affidabilità e sicurezza» e capirete il perché di un successo: perché si sono rivolti subito e dichiaratamente ai loro utenti, non a tutti gli utenti, giocando in modo intelligente e produttivo sull’elemento “feedback” (niente di così clamorosamente nuovo, per carità), che per i ragazzi, e non solo (vedere eBay), costituisce lo strumento di conoscenza intrecciata più diffuso e credibile. È chiaro che uno strumento di questo genere, quando i numeri cominciano a farsi discretamente corposi, diventa prezioso da ambo le parti, per l’utente che deve scegliere e per l’azienda che deve ovviamente tranquillizzare i clienti sulla qualità del “servizio”.

Quindi, ragazzi di Uber, noi vi aspettiamo, perché il progresso è inevitabile ma a voi tocca il compito delicato di non cavalcare l’onda dei liberali sciocchi di cui l’Italia purtroppo è piena. Pensate più a noi, noi clienti. E l’affare si fa.

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