Innovazione

Da Periferie a Ecosistemi. Un nuovo modello per l’imprenditoria italiana?

19 Marzo 2024

La mappa dell’innovazione contemporanea segue una geografia particolarmente rigida. È una geografia che tende a concentrarsi in pochi grandi spazi metropolitani come la Bay Area e Cambridge-Boston in USA, Londra in UK, Shenzhen in Cina. È un fenomeno che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi dieci anni grazie anche a due libri di grande impatto come “La nuova geografia del lavoro” di Enrico Moretti (Berkeley University) – e “Il trionfo della città” di Ed Glaser (Harvard University). Secondo la narrativa proposta dai due economisti, le grandi città sono i luoghi dove oggi si concentrano talenti, idee e finanza, ossia gli assi portanti dell’economia della conoscenza. Si formano a ridosso delle città superstar del mondo dei nuovi ecosistemi dell’innovazione, che tendono ad essere particolarmente viscosi e che generano quelle economie di agglomerazione che sono state per lungo tempo alla base del modello competitivo dei distretti industriali italiani.

Le disuguaglianze dell’economia della conoscenza

Le nuove economie di agglomerazione ci aiutano a comprendere perché l’economia contemporanea si concentra in pochi luoghi, generando di fatto una polarizzazione dell’innovazione che porta con sé un una nuova, insidiosa forma di disuguaglianza economica, quella tra le città Alpha e il resto delle città. Così, non sorprende che circa il 70% degli investimenti mondiali dei fondi di venture capital si concentri oggi nei 20 principali hub dell’innovazione mondiale; oppure, che il 75% degli investimenti privati in startup negli Stati Uniti venga assorbito da tre Stati: California, Massachusetts e New York. In Italia, Milano è oggi casa per circa il 50% delle multinazionali straniere che operano all’interno della nostra penisola.

Questa evidente e preoccupante disparità è diventata negli ultimi mesi oggetto di analisi e dibattito per molti analisti e accademici internazionali. Qualche settimana fa, il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman esprimeva attraverso un articolo sul New York Times –  la sua preoccupazione per il destino economico e sociale di un gruppo crescente di città dell’America ‘secondaria’. Lo stesso Krugman, tuttavia, ammette di non essere a conoscenza di un modello alternativo per le città oggi escluse dal circuito dei luoghi superstar. Al contempo, il dibattito politico e istituzionale attuale sembra ancora non comprendere la centralità di questo nuova forma di disuguaglianza, nonostante qualche notevole eccezione come ad esempio Brookings Institution.

Le imprese plug-in

All’interno di questo contesto economico, esistono dei casi di successo di città ‘secondarie’ che hanno saputo dar forma ad ecosistemi dell’innovazione. È un tema che abbiamo trattato ampiamente in Periferie Competitive (Il Mulino, 2023) e che, soprattutto, ha gettato le basi per un secondo percorso di ricerca. Guardando al contesto italiano, questo nuovo capitolo di ricerca si concentra sulla capacità di alcune imprese innovative di rinnovare la competitività dei territori industriali del paese, luoghi che in molti casi rappresentano delle nuove periferie nell’economia della conoscenza. Sono imprese come Rifó a Prato, MacNil a Gravina in Puglia, Azzurro Digitale a Padova e Hypert a Modena e che attraverso innovazione in prodotto, processo e business model stanno contribuendo a trasformare le periferie italiane in ecosistemi dell’innovazione. Una caratteristica comune a questo gruppo di imprese (che non si limita ai casi sopracitati ma che conta vari esempi dall’Emilia Romagna alle Marche e dalla Lombardia alla Campania) è proprio il ruolo che esercitano a cavallo tra l’innovazione tecnologica e digitale propria delle startup contemporanee e la specializzazione industriale di molteplici imprese consolidate e territori produttivi italiani. Sono imprese, in altre parole, che operano come dei “plug-in” di sistema, inserendosi in contesti industriali già avviati e contribuendo ad aggiornarne processi e modelli di business e, più in generale, lo stock di conoscenza a disposizione delle imprese.

Un nuovo capitolo per l’imprenditoria italiana

Lo studio delle imprese “plug-in” italiane può rappresentare l’inizio di un nuovo capitolo sul futuro dell’imprenditoria italiana e sull’impatto che questa può avere nelle nuove periferie dell’economia della conoscenza – di fatto la grande maggioranza delle province italiane. Sospesi a metà tra l’avanzare del ciclo di vita delle PMI manifatturiere e il difficile copia e incolla del modello delle startup a-la Silicon Valley, il tessuto imprenditoriale e industriale italiano può trovare nuovo vigore attraverso il paradigma delle “imprese plug-in”. Non si tratta solamente di aggiornare, e in parte ripensare, il modello del fare impresa in Italia ma, soprattutto, di contribuire a dare nuova centralità alle periferie manifatturiere che a lungo hanno sostenuto la competitività del nostro paese. Da periferie a ecosistemi è molto più di uno slogan, è l’embrione di un nuovo modello per l’imprenditoria italiana.

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