Innovazione
Da Bologna al mondo, storia della piattaforma Gellify
Oltre cinquecento anni fa l’Italia era leader nell’innovazione. Città come Venezia e Firenze erano le New York e le San Francisco dell’epoca, e Milano una sorta di Shenzhen ante litteram. Oggi il Belpaese non è più l’epicentro delle grandi trasformazioni tecnologiche, giganti come la Cina, il Giappone e l’India sono i veri motori propulsori della trasformazione globale, e tuttavia il nostro paese può ancora riservare molteplici sorprese. Vicende di grande successo come Yoox, Satispay, Prima o H-Farm sono la prova che l’Italia può essere terra di unicorns, e soprattutto di grifoni in grado di volare alto.
La vicenda di Gellify è senz’altro indicativa, un case study che merita di essere raccontato in questo blogpost. Suo fondatore e CEO è Fabio Nalucci, «un economista prestato alla statistica che quasi per caso ha fatto la tesi sull’IA nel 1999» (quando molti, in Italia come negli States, non avevano idea di cosa fosse questo acronimo di 2 lettere). Nalucci ha al suo attivo 2 exits, concretizzate nella cessione di 2 business digitali a IBM e ad Accenture US. E nel più classico stile Silicon Valley, nel 2017 Nalucci ha scelto di rimettersi in gioco, fondando Gellify.
L’imprenditore bolognese spiega:
«La scelta di fondare Gellify deriva dall’aver intercettato un trend nato in Silicon Valley di specializzazione dei venture capitalist che avevano iniziato a investire non più esclusivamente in startup B2C, focalizzandosi su nuovi trend verticali. Avendo una forte competenza in prodotti software enterprise B2B, ho deciso di iniziare a investire secondo questo nuovo paradigma in questa tipologia di startup e di affiancare alle stesse una società di consulenza che aiutasse le aziende a innovare tramite processi di open innovation. Nel giro di pochi mesi siamo diventati leader in Italia sull’open innovation tramite startup B2B».
E questa è la prima lezione interessante. Anziché cercare di puntare sulle startup del B2C, alla ricerca di una mitica Google o Apple italiana, Nalucci ha voluto far leva su uno delle storiche competenze del sistema economico italiano, ossia il B2B. Senz’altro anche in Italia sono nati nel secondo Dopoguerra brand amatissimi dai consumatori di tutto il mondo (l’alimentare ne vanta decine, idem la moda), però sono le aziende B2B dell’arredo, della metalmeccanica, della ceramica, della farmaceutica, dell’aerospaziale a trainare il carrozzone della nostra economia. In altre parole, un capitalismo industriale spesso pulviscolare, sempre sotto i radar, ma straripante di forze ed energie.
Continua Nalucci:
«Gellify è la prima piattaforma di innovazione italiana che investe in startup software digital B2B e le mette in contatto con le aziende consolidate con l’obiettivo di innovare i loro processi, prodotti e modelli di business, attraverso l’Open Innovation. Facciamo crescere le startup software digital B2B dallo stadio iniziale che chiamiamo lo stato liquido, portandole allo stadio solido, grazie al nostro processo innovativo detto “Gellificazione”. Un’azienda che vuole innovarsi può collaborare con Gellify per avvalersi delle nostre competenze chiave per la trasformazione digitale: Data Science, Internet of Things, Mobile, Design Thinking, Innovation Advisory. Mettiamo in atto queste innovazioni con la nostra expertise verticale in Industry 4.0, Fintech e Foodtech».
Gellify ha sede a Bologna, che Nalucci definisce «territorio ideale per lanciare un’iniziativa di open innovation per l’industry 4.0, più di quanto lo sia Milano per esempio, più concentrata su B2C e fintech». Tuttavia la piattaforma è operativa in tutta Italia. E questa è a nostro parere senza dubbio una seconda lezione su cui gli innovatori da Aosta a Reggio Calabria dovrebbero riflettere: va bene essere radicati nella propria territorialità, ma è auspicabile, e soprattutto utile per i bilanci, guardare oltre la confort zone geografica. E questo significa in prima battuta la città di Milano, capitale italiana del digital, del fintech, della cybersecurity, del pharma: per tale cogente ragione Gellify ha aperto appunto nel capoluogo lombardo una sede.
La scelta di Nalucci è dettata dalla convinzione che il potenziale italiano sia enorme. Però anche le sfide sono di grandissima portata, e oltremodo impegnative:
«L’Italia gioca in questi 10 anni una partita fondamentale: i nostri distretti industriali, forza del nostro sistema basato sulla PMI, devono mantenere la competitività attraverso una innovazione digitale dirompente. Se così non fosse, molte delle aziende subiranno un inevitabile declino derivante dalla mancanza di competitività. Le tecnologie digitali sono un tassello indispensabile per poter competere nei mercati globali e non dimentichiamoci che la maggior parte della nostra PMI esporta la maggior parte della propria produzione».
E aggiunge:
«Credo che gli imprenditori abbiano compreso questa necessità di cambiamento e stiano imponendo un cambiamento alle proprie imprese. Siamo partiti in ritardo ma siamo partiti. E cosa c’è di meglio che essere i primi a proporre la propria offerta di innovazione a un mercato appena partito? Stiamo praticamente operando in un territorio che ha un potenziale di crescita enorme. Non dimentichiamoci che siamo pur sempre il secondo Paese manifatturiero europeo».
Una terza lezione da tesaurizzare: giusto essere realisti, dato che chi fa business non può non voler fare i conti con la realtà, ma in un momento di pessimismo quasi cosmico (dalla Brexit alle guerre commerciali Trump-Xi Jinping, dal caos in Medio Oriente alle problematiche ambientali), è bene ricordare che lo Stivale può contare su risorse uniche, come Milano con la sua forza innovativa, come l’Emilia-Romagna locomotiva d’Italia, come un Sud pieno di talenti. E si stanno siglando partnership (ad esempio con IndustrioVentures) e sviluppando nuove sedi internazionali per fare di Gellify, dice Nalucci, «una piccola multinazionale dell’innovazione».
I numeri fanno ben sperare. A oggi Gellify ha investito 10 milioni di euro in 20 diverse società che hanno fatturato complessivamente 35 milioni di euro, con una crescita media del 60% rispetto al 2017.
Realtà come la piattaforma di Nalucci, peraltro, sono la positiva dimostrazione che in Italia i player che vogliono investire in innovazione, in startup, in tecnologia digital di valore ci sono. Le istituzioni però sono chiamate a svolgere la loro parte, e lo stesso vale anche per gli imprenditori (Nalucci parla di una «“chiamata alle armi” degli imprenditori tradizionali manifatturieri che dovrebbero investire in innovazione digitale»).
In conclusione, qualche consiglio utile anche agli startupper:
«Servono determinazione, umiltà e focus sulla crescita di lungo periodo. Il percorso per far crescere un’azienda è complesso e pieno di ostacoli e farlo troppo velocemente rischia di essere un boomerang. Troppo spesso oggi vedo una euforia e un hype legati all’essere startupper che rischia nel tempo di far perdere di vista il vero motivo per cui si fa impresa. Fare impresa non è semplice e il funding NON è assolutamente una promessa di successo di mercato. Sono centinaia le startup che raccolgono soldi e poi falliscono. Chi ha fatto grande l’Italia nel mondo – gli imprenditori del primo dopoguerra – hanno costruito per il futuro, non per fare una exit dopo pochi mesi. Dobbiamo recuperare quello spirito per costruire l’Italia del domani».
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