Innovazione
Perché comprare una catapecchia è meglio che investire in una startup
«Le startup sono una perdita di tempo. Il futuro è nella ristorazione, nelle taverne e soprattutto nel vecchio, caro mattone, specie in un paese come il nostro, dove la gente non fa figli e non si vogliono gli immigrati». Con queste parole lungimiranti il presidente dell’Associazione dei Costruttori della Smangubria Oskar Mihiyluv ha accolto il nuovo decreto legge del governo della Smangubria, minuscolo stato balcanico incastrato tra la Bulgaria e la Macedonia del Nord.
Il decreto legge, tra le altre cose, riduce drasticamente i finanziamenti pubblici alle startup innovative, che i precedenti governi (e in particolare quello del conte Tarakovskij) avevano cercato di sostenere, anche con la costituzione di un apposito fondo ad hoc, Smangubria Tech.
Pure la Gilda dei Notai e degli Amanuensi ha lodato il decreto legge, e il coraggio del governo guidato dall’ex banchiere internazionale Franu Mihiyluv (nessuna parentela con il già citato Oskar Mihiyluv). La Gilda dei Notai e degli Amanuensi, in attività da prima dell’Anno Mille, ha apprezzato in particolar modo il paragrafo XI del decreto legge, dove si stabilisce che ogni società di capitali costituita in Smangubria dovrà versare a un notaio-amanuense non solo il ricco obolo previsto ogni volta che si costituisce una società, anche la più micragnosa, ma pure un extra-obolo pari al 57% del capitale sociale.
«Da sempre i notai, che redigono gli atti in rime baciate, e gli amanuensi, che li ricopiano a mano in bella grafia su pergamene di difficile conservazione, sono uno dei pilastri della nostra economia – si può leggere in un comunicato stampa della Gilda –. Se l’obbiettivo è innovare la Smangubria, e renderla più competitiva e dinamica a livello europeo e internazionale, non si può prescindere dal contributo dei notai e degli amanuensi, che dall’anno 997 sono il punto di riferimento obbligato per chi fa business».
La verità è che da quando c’è il nuovo governo, in Smangubria è tornato di moda ostacolare le startup e chi innova, come da tradizione del piccolo stato: basti pensare al rogo, nel 1856, di Flaviu Agaponuv, matematico reo di aver tradotto Copernico e Newton in smangubro; o al linciaggio, nel 1967, dell’imprenditore Franu Kapaijnuv, che con la sua aziende Olvenijt stava modernizzando sin troppo l’economia smangubra, mettendo a rischio le sacrosante rendite di posizione di latifondisti, tavernieri, contrabbandieri, osti e costruttori edili.
I costruttori, in particolare, non hanno mai apprezzato l’idea che i risparmi degli smangubri potessero essere investiti non nella costruzione di nuove bicocche per il popolo, ma in startup del biotech o dei big data. Anzi, trovavano la cosa scandalosa, perché i prezzi delle bicocche rischierebbero di calare senza le continue iniezioni di capitali pubblici e privati (e i quattrini delle bande brigantesche delle contrade del sud, che da decenni riciclano al nord i proventi del loro malaffare). Il nuovo governo, piano piano, sta rimettendo le cose a posto: prima reintroducendo l’istituto della schiavitù, poi abolendo la scuola pubblica, e ora rendendo più difficile la vita agli startupper.
Gli economisti della prestigiosa Università privata Liviu Mihiyluv hanno dichiarato, con il consueto gusto per la provocazione molto apprezzato dalla stampa smangubra, che «comprare una catapecchia è meglio che investire in una startup; in Smangubria le startup non hanno futuro, mentre chi ha anche solo una baracca potrà, almeno nel breve periodo, affittarla a qualche turista, o a una coppia di giovani precari. Nel medio-lungo periodo la situazione potrebbe effettivamente cambiare, per esempio a causa del tracollo demografico in corso, o del cosiddetto cambiamento climatico, che potrebbe rendere la Smangubria troppo calda per i turisti del Nord Europa».
Gli autorevoli economisti hanno ricordato che «il turismo è il vero petrolio della Smangubria, almeno nel breve periodo, dato che consente alla classe dirigente del paese di produrre forti redditi in modo facile e sicuro (possibilmente da reinvestire all’estero, in paesi più orientati al medio-lungo periodo) e genera posti di lavoro alla portata di una popolazione scarsamente istruita». È stato poi sottolineato come «per molti cittadini ad alto o altissimo reddito sia difficile anche solo capire cosa sia una startup, o cosa significhino concetti quali microRNA, nanotech, IoT, machine learning, equity crowdfunding; infatti i potenziali investitori sono spesso soggetti in età avanzata, con un basso o comunque inadeguato livello di istruzione, che ha scarsa familiarità con le nuove tecnologie. Per loro è molto più facile investire in un ristorante, in un’osteria o in una palazzina, dato che invece gli è chiarissimo cosa sia una lasagna, un bicchiere di vino, un balcone».
In Smangubria si guarda con crescente interesse a paesi dinamici come la Grecia e le Maldive, che sanno valorizzare molto bene il loro potenziale turistico, e puntano poco su industria e tecnologia. Il venir meno del favore del governo verso startup e innovatori fa del resto il paio con l’ostentata indifferenza per la crisi della filiera automobilistica smangubra, nonché con i propositi di abolire la tassazione pure sulle terze, quarte, quinte e seste case.
«Le startup in Smangubria non danno lavoro a operai, geometri e schiavi, invece l’edilizia sì – ha giustamente ricordato il presidente dell’Associazione dei Costruttori della Smangubria Oskar Mihiyluv –. Perché dunque tassare qualcosa che genera benessere? Se il governo deve proprio tassare qualcosa, che tassi le startup, le imprese, il lavoro. Ma non le magioni dei ricchi e le bicocche del popolo, che sono il vero petrolio della nostra gloriosa economia».
L’immagina è elargita con generosità estrema da Pixabay, che usano tutti in Italia. Tutti i diritti sono riservati a Hector G. Theron, inclusa la proprietà intellettuale della nazione immaginaria della Smangubria (gli smangubri sono d’accordo).
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