Innovazione
Bilancio partecipativo: perché l’esperienza di Milano deve diventare nazionale
Oggi, 28 settembre, ricorre la Giornata Internazionale del Diritto di sapere. Tra gli addetti ai lavori e gli attivisti che si occupano di diritto di accesso agli atti è il momento di una discussione, vivace anche su internet, sull’impatto reale delle nuove normative in materia. Si discute anche del loro rapporto con la Partecipazione dei cittadini al processo decisionale delle istituzioni, un altro tema particolarmente in voga e che mi sta particolarmente a cuore come Assessore alla Partecipazione, cittadinanza attiva e Open Data del Comune di Milano.
Credo che il diritto di accesso generalizzato agli atti introdotto con il Freedom of information act italiano sia in effetti un importante passo in avanti culturale per le amministrazioni pubbliche. I cittadini hanno oggi la possibilità di beneficiare in modo concreto di un diritto alla conoscenza auspicato fino all’ultimo nelle campagne di Marco Pannella, insieme al diritto ad essere correttamente informati, così importante nelle fasi più delicate di svolgimento del processo elettorale e di formazione delle opinioni.
Per quanto la partecipazione sia spesso accostata ad attività innovative e sperimentali in tema di coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale, questa comincia con il ben più comune esercizio del diritto di voto e con la quotidiana opera di controllo che la stampa e i gruppi di cittadinanza attiva svolgono sull’operato di chi gestisce la cosa pubblica: la trasparenza è oggi un loro grande alleato. Inchieste giornalistiche, battaglie legali, campagne di consenso si servono con successo della trasparenza, nelle molte forme che essa assume.
L’annullamento con sentenza delle elezioni regionali lombarde del 2010, a causa delle firme false a sostegno dell’ex Presidente Formigoni, è stato possibile per esempio solo a seguito di un accesso agli atti compiuto dai Radicali in base alla normativa vigente.
Citare la Partecipazione negli ultimi aggiornamenti di legge in materia di trasparenza è quindi importante non solo da un punto di vista di principio, ma anche perché concretamente legato all’esercizio dei diritti elettorali e decisionali. La trasparenza è propedeutica alla buona partecipazione, e non si può pensare di svolgere un processo di consultazione o decisione senza che una massima conoscibilità dei temi oggetto del dibattito sia resa possibile.
È con questo spirito che è nato a Milano l’Assessorato alla Partecipazione, cittadinanza Attiva e Open data, che guido, dove i due temi sono affrontati congiuntamente.
Bisogna ora lavorare nella stessa direzione di innovazione normativa per rinforzare anche i diritti di partecipazione dei cittadini. La partecipazione ha visto negli ultimi anni sperimentare molte nuove pratiche e svilupparsi una retorica accattivante e popolare cui spesso non ha fatto fronte una reale incidenza della voce dei cittadini nell’esito finale di questi processi. Per evitare che si generi un controproducente effetto di impotenza è urgente introdurre innovazioni alle procedure obsolete attualmente in vigore, che prevedono la produzione di montagne di carta, certificati e timbri per richiedere un referendum, proporre una legge popolare, e persino partecipare alle elezioni.
Nelle ultime previsioni di riforma della legge elettorale si richiede la cifra spropositata di 150mila firme per presentare una lista di candidati (e altrettanti certificati stampati) tutto senza che la rivoluzione digitale abbia intaccato le antiche, e costosissime procedure. Vero è che sono nel frattempo nati forum online, workshop, sondaggi consultivi svolti sui social network, esperienze di co-progettazione e sperimentazione di bilanci partecipativi, come quello del Comune di Milano, che in questi giorni si avvia alla sua seconda edizione. Ma alle spalle non hanno avuto, come è accaduto in tema di trasparenza, una innovazione normativa che rendesse omogenei e vincolanti questi nuovi istituti, concedendo ai cittadini diritti azionabili dal basso ed esiti certi e regolamentati.
Questa legislazione è oggi da promuovere a livello nazionale, per evitare che si creino disparità dovute al luogo di residenza nei diritti dei cittadini, e dovrebbe prevedere un forte ricorso al digitale, alla sburocratizzazione e al contenimento dei costi per i nuovi strumenti partecipativi. Oltre che alla loro connessione agli obblighi di trasparenza. Va in questa direzione una proposta di legge di iniziativa popolare lanciata da Radicali italiani e da un comitato che si sta consolidando per concedere più sovranità ai cittadini.
Resta infine un problema di fondo. Il successo di queste politiche è fatto certamente dalla qualità delle leggi e dalla volontà politica di metterle in pratica, ma non c’è crescita civile senza cittadinanza attiva, che conosca i propri diritti e si serva delle possibilità messe a disposizione delle leggi. I numeri degli accessi agli atti sono ancora molto limitati e riflettono forse la poca conoscenza delle modalità per ottenere risposte dalle pubbliche amministrazioni.
Con il ridimensionamento del ruolo dei partiti e del giornalismo di inchiesta in Italia il rischio è che questi strumenti rimangano in mano ai più organizzati gruppi di pressione e ai pochi professionisti che hanno ancora interessa a servirsene. Bisogna invece fare in modo che la formazione civica sia capillare e istruita, ricorrendo alle scuole, alle iniziative come la settimana del Governo Aperto messa in campo dal Ministero della Funzione Puibblica e da una presa di coscienza del tema da parte di tutti coloro che, nei diversi ruoli politici, associativi o di attivisti abbiano a cuore la qualità della democrazia e dello stato di diritto. Sembrano questioni astratte o appassionanti solo per i gli addetti ai lavori, ma hanno ricadute molto, molto concrete.
PS: domenica 8 ottobre alle ore 15 presso BASE Milano approfondiremo questi temi celebrando la giornata della trasparenza del Comune di Milano. Siete tutti invitati.
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