Innovazione
Benefit corporation, un nuovo modo di intendere il capitalismo?
Con l’approvazione della Legge di Stabilità 2016, l’Italia è stato il primo paese in Europa ad introdurre una sostanziale novità nel panorama economico, determinato dalle Benefit-Corporation (denominate anche come società benefit, B-Corporation o B-Corps, insomma, avete l’agio della scelta).
A tal proposito, nella giornata di ieri, l’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà ha promosso un interessante confronto sul tema dal titolo “Finanza ad impatto sociale e Benefit Corporation”.
Colgo questa occasione per dare qualche nozione a coloro che intendano approcciarsi all’argomento e perché no, magari che il mio post possa essere uno spunto per qualcuno per intraprendere un percorso di benefit corporation.
Una “definizione” di B-Corporation
Una benefit corporation è uno stato giuridico ideato per aziende profit che oltre alla massimizzazione del profitto intendano attraverso la loro attività realizzare un positive impact per il contesto in cui operano, in una concreta creazione di benessere nella comunità per le persone e per l’ambiente. Come recita ancor meglio, la Legge di stabilità, sono “società benefit, quelle che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.
La nascita delle B-Corporation
Inizialmente create in alcuni degli Stati Uniti d’America, nello specifico con un esperimento formalizzato nel Maryland dove, il pomeriggio del 3 aprile 2010, veniva approvato l’inserimento nel codice civile delle imprese for benefit, 38 stati statunitensi si sono adeguati poi a questa nuova concezione economica che inserisce attualmente ben 1619 aziende. Con l’espressione B-Corporation si tende inoltre a considerare anche la certificazione rilasciata da B-Lab, un ente non profit americano, che ha però una sostanziale differenza rispetto alle società benefit: la certificazione B Corp è emessa da un’organizzazione privata e non ha valenza di legge diversamente dallo stato giuridico di Benefit Corporation conferito invece dalla legislazione americana che varia di paese in paese.
Le differenze con un’azienda “tradizionale”
Di solito le benefit-corporation differiscono dalle aziende tradizionali in merito a obiettivi statutari, responsabilità e trasparenza.
Da un punto di vista storico, si è soliti immaginare come gli Stati Uniti d’America e la propria legislazione orientata in termini di creazione di valore per gli azionisti nel lungo termine. Un impegno a perseguire una missione sociale o ambientale può essere vista concettualmente, rapportandosi sempre con una visione meramente capitalistica, come uno svantaggio per il perseguimento dello scopo primario di un’azienda nella massimizzazione dell’utilità (e dunque del profitto).
Perfino negli Stati che hanno approvato uno statuto costitutivo, è dura comprendere dal punto di vista giuridico quando le aziende siano effettivamente autorizzate a prendere in considerazione interessi in via quasi primaria di natura sociale e/o ambientale. Ed inoltre, in considerazione di un impostazione legalistica completamente differente negli States, gli amministratori possono anche temere di possibili cause civili nel caso in cui non perseguano il tanto agognato profit.
Con le benefit corporation, si introduce invece un’espansione dei doveri fiduciari degli amministratori rispetto ad attività impattanti su stakeholder (o portatore di interesse con cui si indica genericamente un soggetto influente nei confronti di un’iniziativa economica) “non principalmente finanziari” permettendo ai manager delle aziende una protezione giuridica tale da permetter loro di perseguire una mission sociale.
L’Italia innovatrice
Nell’ottobre 2014, l’Italia ha ospitato il primo meeting internazionale di B-Corp. Inoltre, l’Italia è il primo paese ad aver proposto il Ddl sul fenomeno socio-economico a cura del senatore Mauro del Barba. In attesa del ddl convertito poi in emendamento alla legge 208/2015, in Italia sono state appena 10 le aziende ad aver superato l’attento vaglio degli standard previsti da B-Lab, l’ente non profit statunitense che rilascia la certificazione, e che meritano di essere elencate tutte per il coraggio della propria innovazione: Nativa, Equilibrium srl, Treedom, Fratelli Carli spa, D-orbit, Habitech, Little Genius International, Mondora srl, Dermophisiologique Srl, Cometech Srl.
Con la legge di Stabilità del 2016 si è introdotta la normativa che le configura a livello giuridico con l’obbligo di esprimere le finalità “di beneficio comune” nell’oggetto sociale, perseguendole mediante “una gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto”.
Indubbiamente, è dunque doveroso gioire del fatto che abbiamo, una volta tanto, il primato in Europa nell’innovazione giuridica in uno specifico settore, un settore che come abbiamo avuto modo di constatare dall’esperienza statunitense è inoltre fortemente in espansione. È altrettanto lecito osservare che se il tutto venisse accompagnato dall’approvazione del disegno di legge della riforma del terzo settore, si aprirebbero scenari decisamente più interessanti ma soprattutto definiti di un’opportuna evoluzione giuridica del mondo profit e non profit, maggiormente a passo con i tempi della società in cui viviamo.
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