Innovazione

Avvocati: formazione, informazione e cultura

9 Dicembre 2020

Sono convinto che all’avvocato non basti la cultura del diritto, perché per esercitare del buon diritto serve una cultura più ampia, intesa alla stregua di conoscenza dei fatti umani e delle loro dinamiche.

Una buona giustizia nasce da una ibridazione intelligente tra il sapere giuridico e ciò che si sa delle realtà della vita: chi si occupa di diritto minorile deve sapere cos’è una crisi familiare; chi esercita il diritto commerciale deve avere idea di cosa significhi, in concreto, gestire un’impresa; chi si appassiona al diritto penale deve conoscere i principi della criminologia, non solo dal punto di vista strettamente legale.

Bisogna, in definitiva, aprirsi ad una cultura non strettamente allacciata al diritto, perché formarsi come giuristi, come buoni giuristi, è tutt’altro che semplice.

Prendo in prestito le parole di Antonio Padoa Schioppa, che non sarei in grado di replicare in modo altrettanto efficace:

«Occorre preparare una generazione di giuristi che siano in grado di interpretare, anzi, di creare il diritto nuovo, che certamente si sta creando in modo un po’ confuso e che è dettato in parte dall’economia e dalla finanza, in parte dalla politica, in parte dal caso, in parte dalla forza, in parte dai cosiddetti poteri forti. In questo contesto multiforme l’universalità dei giuristi e per i giuristi deve proporsi un compito fondamentale: sapendo già che una parte della normativa che viene insegnata oggi risulterà superata entro un breve arco di anni, bisognerà insegnare non solo e non tanto dei contenuti, quanto delle “abilità”».

Se queste “abilità” rappresentano il bagaglio che ogni avvocato deve aver cura di acquisire per ambire al dignitoso esercizio della sua professione, è lecito domandarsi a chi spetti il compito di tramandarne la conoscenza. A chi, in definitiva, competa l’onere di produrre cultura.

Il mio parere è che si tratti di una responsabilità collettiva che grava, pur con diverse sfumature, sull’intera categoria.

Nel proprio studio, ogni avvocato ha il dovere di tramandare le proprie “abilità” ai suoi collaboratori, perché la legge professionale in primis definisce il tirocinio come “l’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante avvocato finalizzato a fargli conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e rispettare i principi etici e le regole deontologiche” (art. 41, L. 247/2012) .

«La speranza è che l’avvocato possa ritrovare l’identità della sua funzione, la coscienza che lo pone al servizio degli altri per la tutela dei diritti e la realizzazione della giustizia. Questo è l’obiettivo, pur nelle molte contraddizioni nelle quali l’avvocato si è trovato e si trova, nella necessità di continuare a scrivere la propria storia, nei tempi favorevoli o nei giorni perduti».

Più in generale, l’onere formativo ricade sui Consigli dell’Ordine territoriali che, secondo quanto previsto dall’art. 9 del Regolamento per la Formazione Continua emanato dal CNF il 16 luglio 2014 “sovraintendono e coordinano nelle proprie circoscrizioni l’attività di formazione continua, vigilando sull’assolvimento dell’obbligo da parte degli iscritti”.

Fin qui i modelli per così dire tradizionali.

La modernità, tuttavia, tende a concentrare gli studi legali verso fenomeni aggregativi, sul modello delle law firm americane, sicché oggi non è inusuale imbattersi in realtà articolate, complesse e multidisciplinari, che non si limitano ad esercitare, ma che ambiscono a produrre diritto.

Basta navigare sui siti internet di alcuni grandi brand dell’avvocatura nazionale ed internazionale, per acquisire note a sentenze, raccolte di commenti alle norme, pareri giuridici, seminari e convegni di ogni tipo.

Si tratta di attività che non sempre raggiungono un livello qualitativo apprezzabile ma, d’altra parte, non è sempre di pregevole fattura l’insegnamento ricevuto dal praticante presso lo studio del suo dominus, e non è sempre meritevole la formazione istruita dai Consigli dell’Ordine territoriali.

Per il bene della categoria, questa è la mia convinzione, si dovrebbe trovare il modo di “sistematizzare” questo genere di iniziative, oggi per lo più affidate alla buona volontà dei singoli, spesso addirittura ostacolate da chi vuole intravedervi una furbesca promozione delle attività dei rispettivi studi.

Anche se così fosse – e così certamente è – porre un freno ad un possibile bene collettivo al solo fine di impedire il perseguimento di un (peraltro legittimo) interesse privato, sarebbe miope, oltre che semplicemente ingiusto.

Proprio in quest’ottica, insieme all’amico e collega Guido Sola, ho voluto dare vita ad un ciclo di incontri che metta l’avvocatura del domani al centro del dibattito, e che non abbia timore di volgere il proprio sguardo oltre alcuni steccati che sono convinto debbano essere superati.

Sono nati, quindi, i “Dialoghi: diritto, economia e istituzioni a confronto”, che si svilupperanno tramite la piattaforma Gestiolex (www.gestiolex.it) venerdì 11 e 18 dicembre, oltre che il 15 gennaio  del nuovo anno.

Si parlerà di organizzazione aziendale, di dati personali e discriminazioni di genere, insieme ad alti esponenti delle istituzioni, alle Università di Modena e Reggio Emilia, di Roma Tre e di Salerno, oltre che alla Fondazione Universitaria “Marco Biagi” e al Centro di Ricerca Interdipartimentale sulle Discriminazioni (CRID).

Concludo queste brevi riflessioni ricordando un altro indiscusso maestro dei nostri tempi, Remo Danovi:

«La speranza è che l’avvocato possa ritrovare l’identità della sua funzione, la coscienza che lo pone al servizio degli altri per la tutela dei diritti e la realizzazione della giustizia. Questo è l’obiettivo, pur nelle molte contraddizioni nelle quali l’avvocato si è trovato e si trova, nella necessità di continuare a scrivere la propria storia, nei tempi favorevoli o nei giorni perduti».

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