Innovazione

Un anno di innovare x includere: appunti sparsi sulle trasformazioni in corso

17 Maggio 2017

INnovare X INcludere compie (poco più di) un anno. E ci sembra giusto festeggiare, regalarci uno spazio di riflessione e confronto, ricordare ciò che ci unisce e rilanciare il nostro impegno alla luce di un contesto che, rispetto al 2016, pare incredibilmente cambiato. L’associazione, nata per ragionare di traiettorie di sviluppo ed analizzare la relazione tra innovazione e inclusione, per promuovere le esperienze e le politiche che stanno contribuendo a cambiare in meglio territori e comunità tematiche, continua ad indagare nuove possibili strade per far fronte ai problemi più pressanti  della nostra società: disoccupazione, povertà, disuguaglianze, mancata integrazione, inquinamento, perdita di competitività e qualità della vita.

Ci siamo concentrati sulle relazioni tra pensieri, pratiche e politiche pubbliche, con l’ambizione di essere una piattaforma utile per concepire sperimentazioni concrete. Siamo partiti da Milano, il territorio che conosciamo meglio. Ma da subito abbiamo guardato con curiosità a ciò che di simile accade in altre città italiane ed europee. Ora sentiamo il bisogno di un cambio di passo. Per questo, puntando a contribuire a creare una rete di esperienze sempre più affini, abbiamo deciso di condividere le nostre risorse per dare vita ad una due giorni di stimoli e riflessioni collettive.

L’appuntamento è per il pomeriggio del 10  Giugno. All’interno di un contesto super stimolante (SMART Weekend, il festival open air firmato Elita Enjoy Living Italy e La scheggia associazione culturale) organizzeremo una serie di incontri e workshop pensati per promuovere connessioni e reti, supportare processi di abilitazione di attori sociali emergenti, elaborare e consolidare collettivamente strategie e metodi di costruzione di politiche pubbliche innovative.

Saremo ospiti di East River, lungo il Naviglio Martesana: un posto in trasformazione, una ex carrozzeria che è diventata un luogo verde per la comunità. Abbiamo a disposizione spazi per tutte le esigenze e tanta voglia di entrare in contatto con chi condivide sforzi e orizzonti simili ai nostri.  Questo incontro vuole essere per noi un’occasione per dedicarci del tempo e per ragionare sul senso dei nostri sforzi quotidiani, in un contesto fatto di relazioni umane, musica, cinema, spazi di ristoro, aree verdi e possibilità di fare sport. In uno spazio, insomma, pensato per favorire lo ‘’stare insieme’’.Il tutto a partire da una serie di ragionamenti culturali e politici che si vanno stratificando, giungono a maturazione e fanno emergere contraddizioni. Pensieri che vorremmo condividere ed affinare insieme a chi si sente vicino al nostro percorso, per rafforzare le nostre azioni e fare un salto di scala in termini di impatto.

  • Non sono le priorità e le teorie quel che ci manca
  • Siamo pieni di sperimentazioni locali che indicano una direzione, ma tutto questo “fermento” rischia di essere utile solo fino ad un certo punto se se non riusciamo a metterlo in rete e ad incidere sulle politiche nazionali
  • La politica nazionale è ad oggi sostanzialmente impermeabile a tutti questi ragionamenti
  • Possiamo introdurre qualche elemento di speranza

 

Non sono le priorità e le teorie quel che ci manca

 

La direzione di marcia è ormai chiara. O quanto meno sono chiare quali sono le sfide che avremo di fronte nei prossimi anni. Sappiamo che il modello di sviluppo che è stato alla base degli ultimi 50 anni non è sostenibile (a livello economico, sociale e ambientale). E che in ogni caso non vi sono le condizioni per ripercorrere la stessa strada. Sappiamo che a qualsiasi livello lo si guardi (locale, nazionale, globale), il tema delle diseguaglianze è un nodo cruciale da affrontare. Sappiamo che, a livello globale, tra i principali “perdenti” (in termini relativi) della globalizzazione c’è quella che una volta avremmo chiamato classe media occidentale (ovvero, noi), un motore di sviluppo senza il quale è difficile immaginare lotta alle disuguaglianze ed inclusione sociale. Tocchiamo con mano tutti i giorni i benefici dei progressi tecnologici, ma sappiamo che proprio questi passi in avanti rischiano di togliere valore al lavoro del futuro. Dobbiamo per questo analizzare meglio i meccanismi che stanno alla base di produzione e distribuzione del valore, rendendo la vita più facile a chi questo valore riesce a generarlo e a tutti quei meccanismi che consentono di valorizzare al meglio risorse sotto utilizzate. Desideriamo una società aperta, diritti ed opportunità che si espandono per tutti, ma la realtà  ci fornisce risposte contrastanti. Sappiamo che per anni i nostri sistemi di welfare si sono retti su meccanismi ed equilibri non più sostenibili, grazie a dualismi non più accettabili. Sappiamo che senza il coraggio di intervenire su queste grandi questioni saremo destinati ad un costante declino, in uno scenario in cui (forse) si salva solo chi è già dotato di risorse e strumenti o chi prospera nell’illegalità. Sappiamo che la prospettiva di cambiare senza grandi certezze genera ansie e paure, ma crediamo anche che tutte le altre alternative siano peggiori. Sappiamo che generare consenso attorno a scelte nel breve periodo impopolari non è per nulla facile, ma crediamo che l’unico modo per uscire da questo guado sia coinvolgere strati sempre più ampi della popolazione in percorsi di sviluppo. Sappiamo che in un mondo interconnesso l’asticella si è alzata per molti di noi, mettendo in difficoltà, in prospettiva, chi è più avverso ai mutamenti. Ma siamo convinti che gli investimenti in educazione siano la migliore assicurazione per il futuro. Sappiamo che lo Stato, il Pubblico, deve giocare un ruolo chiave nel guidare tutti questi passaggi delicati. E sappiamo che qualsiasi risultato potrà essere raggiunto solo coinvolgendo ed abilitando gli sforzi di imprese, università, associazioni di volontariato, comunità locali, famiglie, singoli individui, movimenti civici ed espressioni della cittadinanza attiva.

 

Siamo pieni di sperimentazioni locali che indicano una direzione, ma tutto questo “fermento” rischia di essere poco utile se non riusciamo ad incidere sulle politiche nazionali

 

Se l’agenda delle questioni da affrontare e delle risorse da valorizzare è sufficientemente chiara (questo articolo di Geoff Mulgan – Thesis, antithesis and synthesis: A constructive direction for politics and policy after Brexit and Trump – è un buon riassunto di tante di queste discussioni), non possiamo dire che vi siano ad oggi ricadute pratiche altrettanto rilevanti. O meglio, viviamo all’interno di un paradosso. Le grandi metropoli e le aree interne si stanno rilevando terreno fertile per esperienze che mostrano una possibile direzione di marcia in grado di tenere insieme innovazione e inclusione. Ma a livello di politiche nazionali nessuno sembra essersene più di tanto accorto. Per cui le risorse e l’attenzione del dibattito pubblico si concentrano ancora su soluzioni, dinamiche ed attori non più al passo con i tempi.

Con Innovare X Includere ci siamo sforzati di dare spazio a queste “prospettive” che funzionano. Nel corso di questo anno di attività  abbiamo cercato di portare a maturazione le riflessioni che derivano da più di un quinquennio di sperimentazioni in materia di pratiche di innovazione sociale, politiche per il lavoro, nuove economie urbane, economia circolare. Abbiamo sottolineato l’importanza di riuscire ad includere “i nuovi” (giovani, donne, migranti), abbiamo descritto le caratteristiche di quegli “innovatori diffusi” che stanno cambiando le nostre città. Abbiamo collaborato, con Fondazione Feltrinelli, alla pubblicazione dell’ebook “Agenda Milano. Ricerche e pratiche per una città inclusiva”, che insieme al “Libro Bianco di Milano sull’Innovazione Sociale” curato da Fondazione Brodolini contribuisce a mettere a sistema quanto accaduto in città negli ultimi anni.

In questo lavoro di ricerca e riflessione siamo in ottima compagnia. Ce lo dimostrano gli appuntamenti “tematici” che danno voce a queste esperienze (da Sharitaly a Experiment Days, da Espresso Coworking a CNA Next, passando per Le Giornate di Bertinoro, il Festival delle Comunità del Cambiamento, il Workshop sull’Impresa Sociale di Riva del Garda, fino alla mostra New Craft, ArtLab, il Festival della Partecipazione, il Festival della Crescita e tanti altri).

Lo raccontano benissimo i tanti articoli pubblicati su Che Fare, le ricerche e rassegne condotte dalle università milanesi (la rassegna “Qualità della Vita e Innovazione Sociale” organizzato dal Dipartimento di Sociologia della Bicocca, gli appuntamenti di Meet Me Tonight,  il Salone della CSR e Innovazione sociale ospitato in Bocconi, i tanti convegni organizzati in Cattolica), le mappature di Ashoka e Italia Che Cambia, i finalisti ai concorsi, premi e percorsi di accelerazione organizzati da Che Fare, Culturability/Fondazione Unipolis, Axa, EdisonAvanzi e Make a Cube, Impact Hub, Fabriq, Fondazione Cariplo/Innovazione Culturale), le pubblicazioni di ANCI, Cittalia, Ifel, Ang (L’innovazione sociale e i Comuni, istruzioni per l’uso), il nuovo palinsesto culturale di Fondazione Feltrinelli, convegni come quello organizzato dal Mibact il prossimo 8 Giugno (Futuro Periferie, la cultura rigenera) e le tante storie che regalano speranza che si trovano su Startupitalia, Vita e Nova.

Bologna, Torino, Lecce, Palermo, Napoli. San Vito dei Normanni, Favara. Amsterdam, Barcellona, Lisbona, Parigi, Berlino. La geografia dell’innovazione sociale è in costante espansione. Ma fatica ad avere un impatto sistemico. Le sperimentazioni dal basso sono e restano, per l’appunto, sperimentazioni. Prototipi promettenti che indicano direzioni di marcia ma che ancora faticano a generare impatti significativi a livello quantitativo. Ed è normale che sia così. Siamo ancora all’inizio di quello che si prospetta essere un lungo viaggio.

Il problema, che tocchiamo ogni giorno con mano, è che queste forme di innovazione finiscono per essere caricate di enormi aspettative. I media, la politica e il sistema in cui sono inserite tendono a dipingerle meglio di quel che sono, un po’ perché servono messaggi di speranza, un po’ perché le energie si densificano anche attraverso profezie che si auto avverano.

Sappiamo che in realtà però la situazione è molto più complicata. Perchè il valore “assoluto” di molte di queste azioni è tutto da quantificare. Sappiamo che quel che c’è funziona, ma che ancora non è abbastanza. Proprio per questo motivo è adesso che servono più attenzione, più risorse, più competenze. E invece mancano visioni e priorità politiche nazionali chiare. Il “Rapporto Giovani” dell’Istituto Toniolo è diventato una specie di bollettino di guerra annuale, inascoltato. Ci parla delle condizioni disastrose che il nostro Paese offre ad intere generazioni. A fronte di una tale emergenza, tanto per fare alcuni esempi, le risorse a favore di MISE, Agenzia Nazionale Giovani, Anci, Anpal e programmi come Garanzia Giovani e Alternanza Scuola Lavoro andrebbero moltiplicate, sensibilmente.  E invece assistiamo inermi ad un lento declino di una serie di istituzioni che andrebbero completamente ripensate. Alle forme di innovazione sociale ed economica, così come agli interventi nelle periferie, vengono dedicate solo risorse marginali, economie “straordinarie”, palliativi. Servono invece cambiamenti sistemici ed una inversione delle priorità. In questo contesto, anche quello che è ben congegnato (le policy a favore delle startup innovative, le riforme del terzo settore, il piano manifattura 4.0, l’alternanza scuola lavoro e il piano scuola digitale), finisce per diventare oggetto di critiche, generando cortocircuiti.

Tutto questo accade perchégli interventi risultano essere troppo isolati e troppo lenti, perché si inseriscono in un contesto resto della PA non riesce a “leggere” e valorizzare questi nuovi fenomeni, lasciando il mondo dell’innovazione – o più banalmente i freelance – alla mercè di sistemi fiscali, regole e processi pensati per un’economia e degli standard che semplicemente non costituiscono più “la norma” per fette sempre più rilevanti della popolazione.

Occorre dirlo chiaramente: senza ricostruire quadri di riferimento normativi in grado di rispondere alle esigenze di questo secolo, rischiamo di lasciare in mezzo al guado proprio coloro che si mettono in gioco per dare forma ad equilibri nuovi. A sostenere gli sforzi, quasi eroici, di chi prova ad innovare la società è in questo contesto di fatto è prevalentemente soltanto l’Europa. E’ da lì che arrivano gli stimoli a cambiare e le risorse per finanziare trasformazioni economiche e sociali. Fondi che arrivano agli operatori in modo diretto (attraverso progetti e bandi europei, molto più meritocratici di quelli nazionali) ed in modo indiretto (attraverso i Programmi Operativi Nazionali e Regionali che danno ossigeno ai bilanci delle Città e Regioni capaci di spenderli meglio). Fondi vincolati, difficili da utilizzare. Risorse in qualche caso iper regolamentate, ma che premiano chi osa e rischia (anche all’interno della PA). Pure qui, è inutile dirlo servirebbero un cambio di passo (come richiede sempre Mulgan, tracciando il bilancio degli ultimi 10 anni di innovazione sociale in EU) e la capacità di attirare sempre più risorse e investimenti privati, per generare impatti molto più concreti. Anche questi cambiamenti però non avvengono per caso, anzi. Sono strettamente collegati all’emergere di nuove classi dirigenti.

 

La politica nazionale è ad oggi sostanzialmente impermeabile a tutti questi ragionamenti

 

E’ realistico pensare che queste istanze vengano ascoltate e accolte? E realistico pensare che il valore del lavoro, il futuro di giovani, donne e dei sempre più numerosi “nuovi cittadini” diventino priorità per la politica italiana? Tutto il “fermento” di cui stiamo parlando non ha ad oggi riferimenti politici precisi e chiare ricadute a livello nazionale.

Gli sforzi fatti in questi anni per far dialogare questi “portatori di senso” con il mondo politico ha prodotto sicuramente nuovi interlocutori ma non ancora nuovi protagonisti.

Vi sono certo molti amministratori locali che hanno maturato competenze rilevanti e pratiche amministrative che potrebbero facilmente essere messe a fattor comune e “scalate” a livello nazionale. Ma stiamo parlando di esperienze locali che molto raramente riescono ad essere pienamente comprese e valorizzate da un sistema politico nazionale che attraversa da ormai troppo tempo una crisi sistemica.

Il connubio tra passaggio da un sistema bipolare ad uno tripolare e l’emergere di nuove “fratture politiche” (politica/antipolitica; rappresentanza/disintermediazione; sistema/anti sistema, leaderismo/comunitarismo, sistema/anti sistema; insider/outsider; apertura/chiusura; europa/nazionalismi) ha messo tutti i soggetti “tradizionali” in grande difficoltà.

Anche  le scomposizioni e ricomposizioni in atto all’interno del centrosinistra, sembrano in questo momento servire a tutelare l’esistenza di quel che c’è invece che  ad accogliere, includere e valorizzare elementi di innovazione ed espressioni di quelle fasce di popolazione che non hanno interessi o rendite da difendere.

Un gioco per ora a somma minore di zero da cui, in cui troppo spesso vince chi sa muoversi all’interno di un sistema malsano che genera piccoli vantaggi per chi detiene informazioni e relazioni.

Con una perdita di credibilità, efficacia ed efficienza di un sistema politico che ormai non riesce più a coinvolgere porzioni sempre più rilevanti della società italiana (e che coltiva l’illusione di poter sopravvivere proprio per questo).

 

Possiamo introdurre qualche elemento di speranza

 

O quanto meno sentiamo il dovere di provarci. Il contesto in cui ci muoviamo non è facile. Ma sappiamo che per fortuna esistono, in ogni ambito, degli “enzimi trasformativi”. Persone che provano a confrontarsi con forze della conservazione che si rivelano purtroppo sempre più rilevanti (le “forze della conservazione”, sia chiaro, non sempre sono in malafede, anzi; per lo più semplicemente non “vedendo” vie d’uscita tendono ad ancorarsi a schemi e slogan del recente passato che non sono in questa fase né attuali né efficaci, ma rassicuranti).

Il nostro problema è che questi “enzimi”, anche quando teoricamente facili da identificare, risultano nella pratica difficili da coinvolgere ed attivare. Quello che serve ora è un percorso collettivo in cui ci si sfidi a sporcarsi le mani, prendere posizione, bilanciare interessi, ricercare soluzioni, aggregare monadi disperse del passato, curare le solitudini politiche, riformare i partiti per ridare senso a partecipazione e militanza, per valorizzare capacità, competenze, sensibilità e preoccupazioni individuali che possono integrarsi solo all’interno di un progetto più grande.

Farlo significa riuscire a canalizzare sforzi e consenso verso alcuni obiettivi comuni, mettendo a frutto capacità di generare senso e partecipazione, creare relazioni, raccogliere risorse e scaricare a terra progettualità concrete. Capacità che nel mondo politico “tradizionale” sono sempre più scarse. E che dovrebbero iniziare ad essere utilizzate molto più strategicamente e consapevolmente da chi le ha.

 

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