Industria

Robot e automazione, in Cina e Usa l’export italiano vola

2 Marzo 2019

A luglio il primo ministro cinese Li Keqiang lo aveva detto, e anche in modo piuttosto esplicito: di fronte alla prospettiva di una guerra commerciale prolungata con gli USA, la Repubblica popolare Cinese auspicava un rafforzamento dei rapporti commerciali con l’Europa. Un mese dopo il think tank di Bruxelles Bruegel osservava: «L’Europa potrebbe in una certa misura sostituire gli Stati Uniti e la Cina nei rispettivi mercati».

Certo, le tensioni tra Pechino e Washington potrebbero danneggiare anche l’economia europea: Cina e Stati Uniti sono i due principali motori della crescita globale, e se si inceppassero potrebbero essere guai seri per tutti. Ciononostante, sembra che alcuni settori dell’economia italiana – i più dinamici e innovativi – non solo stiano sfuggendo alle conseguenze del braccio di ferro tra i due colossi, ma stiano addirittura riuscendo a conquistare nuove fette di mercato.

La cosa non deve stupire, nota Giulio Sapelli, ordinario di economia storica all’Università Statale di Milano: «Dal momento che in Cina le esportazioni statunitensi perderanno spazio, i cinesi acquisteranno senz’altro di più dagli italiani, che in alcuni settori ad alta intensità tecnologica hanno compiuto degli importanti passi in avanti». E questo, dice il professore, «è anche il frutto della flessibilità operativa delle nostre aziende. Con buona pace di chi ritiene che le piccole dimensioni delle imprese italiane siano una debolezza per l’export ad alto valore tecnologico».

Un settore che va è quello delle macchine utensili, dei sistemi per l’automazione e dei robot. Secondo i dati UCIMU-Sistemi per produrre, nel 2018 le esportazioni di macchine utensili verso Cina e USA hanno registrato un aumento rispettivamente del 2% e del 9% rispetto al 2017, per un totale che sfiora il mezzo miliardo di euro. A Gli Stati Generali Alfredo Mariotti, direttore generale di UCIMU, tiene a precisare che tutto ciò «si spiega con la forte propensione a investire dei due paesi, impegnati in programmi di industrializzazione egualmente imponenti. È di questa situazione che i costruttori italiani, praticamente unici al mondo nel fornire macchine utensili super-customizzate, beneficiano; non certo dello scontro diretto tra le due potenze».

Peraltro proprio la grande capacità di customizzazione dell’automazione made in Italy può essere decisiva in un settore in cui la corsa all’innovazione è serrata, e la concorrenza durissima. «Da molti anni ormai la Cina sta investendo nei settori ad alta intensità tecnologica, con l’obiettivo di essere indipendente e leader mondiale – sottolinea Paolo Buonanno, professore di economia presso il dipartimento di scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi dell’Università di Bergamo –. Basti pensare agli investimenti intrapresi da Pechino nel sistema universitario o nelle tecnologie ad alta innovazione».

La prontezza delle aziende italiane esportatrici di macchine utensili e robotica è rinomata. Il paese è il quarto produttore e il terzo esportatore a livello mondiale. Nel 2017 in questo comparto erano attive 400 aziende, per un totale di 32mila addetti e un giro d’affari superiore agli 8 miliardi di euro. «La qualità è la parola che descrive meglio le produzioni manifatturiere avanzate italiane – dice a Gli Stati Generali un manager di una PMI veneta che preferisce non rendere noto il suo nome –. Anche i cinesi stanno iniziando a capire che la nostra tecnologia costa sì più della loro, ma spesso è migliore. Molto migliore».

Per Buonanno, l’industria italiana è sempre stata molto attenta alle evoluzioni tecnologiche e agli sviluppi nel campo dell’automazione, ma un ruolo importante lo giocano anche l’università e la ricerca. «La qualità del nostro sistema universitario è altissima dal punto di vista della formazione, e nel corso degli ultimi anni la ricerca volta alla creazione di hub tecnologici ha favorito lo sviluppo di “massa critica” e di economie di scala. Si tratta di fattori indispensabili nel garantire competitività e capacità di innovare».

Le aziende manifatturiere italiane hanno fatto i compiti a casa, in questi anni durissimi. La crisi ha compiuto selezioni spietate, costringendole a innovare, ad aprire succursali in Texas e nell’Henan, a re-inventarsi. Lo conferma anche l’analisi realizzata da EY sul settore delle macchine utensili, citata a fine gennaio dal Sole 24 Ore, basata sui bilanci 2008-2017 di 166 aziende. Analisi che vede nella consolidata competitività a livello internazionale la salvezza del settore, che ha potuto compensare con l’export il crollo del mercato interno. Altro fattore dirimente, secondo l’indagine, sono stati gli strumenti messi in campo dal piano Industria 4.0 (poi ribattezzato Impresa 4.0), di cui questo giornale si è occupato varie volte in passato.

Un piano che è riuscito a rivitalizzare persino la domanda interna. Tanto che, nel 2018, il consumo di macchine utensili, robot e automazione ha registrato un balzo di quasi il 26%, attestandosi sui 5,6 miliardi di euro. Le performance variano, naturalmente, da regione a regione. La Lombardia, ad esempio, rappresenta il 20% del valore complessivo delle esportazioni di macchinari e apparecchi, che sono anche la prima tipologia di prodotto esportata dalla regione (dati Unioncamere Lombardia). Si distinguono poi l’Emilia-Romagna e il Veneto. I tre vertici di quel “nuovo triangolo industriale” che sembra poter offrire all’Italia un modello economico vincente anche in questi tempi di tensioni globali.

 

 

Immagine in copertina: Pixabay

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