Governo
Pd sull’orlo di una crisi di nervi. Renzi, basta balle. Serve un progetto
“Vorrei essere il Sindaco di tutti gli italiani non il Premier”. Basta una frase per riassumere il flop elettorale del Pd, anche se sarebbe più corretto dire del Sindaco d’Italia Renzi. Il Premier non è un Sindaco. Con tutto il rispetto. E se avrete pazienza di leggere cercherò di spiegarmi.
Faccio un piccolo passo indietro necessario per lo svolgimento nel mio pensiero. E’ stato poco credibile (per non dire altro) aver sostenuto che le amministrative non fossero un test nazionale dopo aver associato la figura del primo cittadino di una qualsiasi città a quella del presidente del Consiglio. Ma soprattutto non è possibile accettare che il Nostro decida di volta in volta cosa sia “test di governo” e cosa non lo sia a seconda della convenienza. Ma che, si pensa che gli italiani abbiano l’anello al naso? Tanto inaccettabile fu il subire la sublimazione del voto alle Europee come legittimazione popolare di un premier non votato, quanto lo è oggi sentire derubricare le amministrative a qualcosa di esogeno alla vita politica tutta del Paese. Ma di questo si è già detto.
Eppure non penso che questo stop di consensi sia dipeso da questo, penso invece che gli italiani siano semplicemente stufi delle balle. Oggi con un telefonino chiunque può avere accesso ad informazioni che un tempo erano appannaggio di pochi e chiunque può farsi una propria idea, più consapevole. Di balle negli ultimi 2 anni ne sono state dette fin troppe. Gramellini ieri sera a DiMarterdì ha ricordato un suo articolo, di qualche tempo fa, nel quale sosteneva che “più che il Berlusconismo temo un secondo berlusconismo senza Berlusconi”. Penso abbia colto nel segno. Ma credo che ci sia una sostanziale differenza tra i “ristoranti pieni” di Berlusconi e il “tutto va bene Madama la Marchesa” di Renzi. Berlusconi era quanto meno empatico, o lo si odiava o lo sia amava. Chi lo amava lo adorava come una reliquia. Ma anche chi lo odiava non poteva non provare un senso di malcelata simpatia, sotto sotto, per quella sua verve da animatore di crociere. Renzi invece è un arrogantello, è lo zio d’America venuto male, quello che ha fatto i soldi e te lo fa pesare; un Marchese del Grillo del “io so’ io” ma che proprio per questo, sotto sotto, sta un po’ sui maroni a tutti; uno che gigioneggia ad ogni occasione; uno che può stare simpatico sul momento ma per non più di una settimana. Poi speri che ritorni nella sua America a dire che tutto va bene e quanto è bello vivere nel mondo del tutto è possibile mentre a te, povero italiano, invece sembra tutto impossibile.
Di balle ne abbiamo sentite dal primo momento, “Una riforma al mese” esordì il Bomba nel 2013. A parte lavoro e Pa (parzialmente) di riforme compiute ne abbiamo viste ben poche. Beninteso, i processi di riforma sono lunghi e perigliosi, nessuno sperava in tanta celerità. Ma se lo affermi poi devi rispondere delle panzane che dici. Vale per tutti, vale a maggior ragione per il Sindaco d’Italia.
Di balle ne abbiamo sentite sulla riforma del lavoro che non sta dando i risultati annunciati. Ci sono segnali di inversione di tendenza, senza dubbio e ci mancherebbe anche, dopo 8 anni di crisi nera. Ma la riduzione della decontribuzione in vigore da inizio anno sui nuovi contratti è coincisa con un rallentamento delle dinamiche viste lo scorso anno. Con dati Istat ballerini che risentono di molte variabili, dagli inoccupati, agli scoraggiati, a quelli che cercano, a quelli che non cercano più… Una conferma ulteriore del fatto che non è in corso una vera e propria “ripresa”. So per conoscenza diretta di aziende in profonda crisi tutt’ora che hanno assunto alcuni dipendenti con contratti a tempo indeterminato. Bene no? Certo, ma lo stato di crisi di queste aziende c’è e non è migliorato affatto. Cosi come non può dirsi migliorata la condizione degli assunti che sono determinatamente indeterminati. Il Jobs act di cui tanto ci si pavoneggia oggi è solo un farmaco di migliore qualità, forse, ma che non guarisce affatto, al massimo lenisce il dolore. Ma sulla ripresa torneremo tra poco.
Di balle ce ne sono state raccontate sulla riforma della Costituzione, su cui il Sindaco ha deciso di giocare una partita di poker “hands up”, che cela l’ennesima balla quando si parla di “abolizione” del Senato, laddove di abolizione non c’è nemmeno l’ombra e lascia in bocca la sensazione di “cambiare tutto per non cambiare niente”. Anzi mi permetto di dire che questa riforma crea il più mastodontico ente inutile d’Italia, il Senato 2.0, il più costoso di sempre per giunta senza funzioni essenziali per la vita democratica del Paese. Nel complesso ci sono alcune cose buone (abolizione dei senatori a vita, semplificazione dell’iter legislativo, introduzione del referendum propositivo etc) ma certo non parliamo di una rivoluzione e di rottamazione, quella vera, neanche l’ombra.
Altre balle ci sono state raccontate sull’Italicum che, semmai, mi sembra il vero passo falso del Sindaco. E’ una legge elettorale a rischio incostituzionalità. Se è vero come è vero che la Camera diventerà il centro politico e legislativo del Paese, il combinato disposto di “premio di maggioranza” e di “listini bloccati” creerà un parlamento che da un minimo del 55% ad un massimo del 70% sarà di non scelti. Il porcellum a confronto era acqua fresca. Non esattamente in linea con l’intero impianto costituzionale in materia di rappresentanza.
Altre balle ci sono state raccontate sul fisco. Dal pasticciaccio recentissimo sugli 80 euro che, ormai è appurato, non hanno comunque mosso di un centimetro i consumi (ma va?), all’abolizione dell’Imu e Tasi e poco altro, ebbene nulla è cambiato concretamente. Tempo fa parlando con un noto commentatore economico in trasmissione convenimmo sul fatto che fosse necessario un solo intervento, massiccio, che fosse sull’Irpef, sull’Irap, su mio nonno in carriola ma massiccio e unico. Diversamente si avrebbe avuto un effetto “pioggia” inutile. Così è stato. Anche perché, senza annoiare con cifre e percentuali, l’abolizione di Imu e Tasi è stata (e verrà) compensata con una impennata delle tasse locali che, ricordo, negli ultimi 20 anni, sono cresciute del 300% (+45% solo nel periodo 2010-2015). Insomma, si è dato un cioccolatino ad un cavallo convinti che potesse sfamarlo.
Balle, apocalittiche queste sì, sulla ripresa economica. Quella “robetta” che abbiamo visto lo scorso anno, per essere chiari, non è ripresa. È, per usate una metafora automobilistica, la spinta di una auto a secco verso il primo distributore. Si muove ma non ha ripreso a camminare. Esultare per un risultato così misero è da sciocchi.
Del resto le condizioni per una ripresa solida non ci sono per un semplice motivo algebrico, imparato a scuola: invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Il debito pubblico prosegue inesorabile nella sua crescita e non c’è, allo studio, nulla di sistemico per prevederne un suo abbattimento benché sul tema ci siano diverse proposte quanto meno valutabili come il “tagliadebito”. La pressione fiscale è quella che abbiamo descritto. E poi c’è la produttività, fattore troppo spesso dimenticato forse perché di difficile lettura (me compreso), che non è in linea con i partner europei. A fronte di un sensibile calo dei salari dal 2007 ad oggi (che avrebbe dovuto rendere il made in Italy più competitivo) c’è stata una flessione di quasi il 5% della produttività che, mi si consenta la semplificazione, ha del tutto azzerato il vantaggio salariale. E non v’è chi non veda che per aumentare la produttività due sono le strade: ridurre ancora i salari (per abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto) oppure aumentare la disoccupazione così da avere meno addetti per un determinato quantitativo di prodotto. Tertium non datur. In assenza di una scossa, di una poderosa ripresa mondiale (che in questo momento non si vede) o di qualsiasi altro fattore esogeno in grado di aumentare in modo sensibile la domanda, le dinamiche in esame non possono che seguire una movimento laterale, e ci vorranno decenni per riassorbire i milioni di posti di lavoro persi.
Ma c’è un ultimo aspetto che mi pare corretto sollevare, la balla della balle, secondo il principio per cui le balle più grosse sono quelle non dette, i problemi non affrontati per evidente incapacità. Al Sindaco e ai suoi sodali manca totalmente una visione industriale d’insieme. L’Italia è un paese vulnerabile. Tempo fa ho sentito il Sindaco dire “prima quando l’Italia non attraeva capitali esteri non andava bene, adesso che molti stranieri arrivano in Italia non va bene, amici miei, dovete fare un po’ di chiarezza”. Esatto, chiarezza. Una cosa è essere una Paese percepito come luogo dove investire, erigendo aziende e così via, altra cosa è essere diventati un discount dove venire a comprarsi i nostri gioielli di famiglia, come diceva l’Avvocato, “per un tozzo di pane”. Un tempo le straordinarie capacità manifatturiere erano la nostra àncora di salvezza, per evidente incapacità dei concorrenti. Oggi il mondo è cambiato, la buona manifattura non è più solo nostra prerogativa, la digitalizzazione e la tecnologia appiattiscono poi i valori in campo. La colonizzazione straniera in terra italica sta portando sì, nel breve termine, risorse e capitali, ma nel lungo porterà ad un detrimento sensibile dei nostri decennali know how.
Le domande cui un governo di illuminati, come vogliono farci credere, devono essere poste sono queste: cos’è l’Italia oggi? Su cosa può giocare partite vincenti da qui al 2050? Cosa si deve fare per permettere a imprenditori e lavoratori di essere competitivi sul mercato mondiale? (Ma ancora, cosa fare per i 5 milioni di concittadini che vivono sulla soglia della povertà? Certamente più di quanto fatto fino ad oggi se è vero come è vero che il Pd ha perso molto consenso in quelle periferie che un tempo erano porti sicuri). Io di tutto questo non sento parlare, colpa anche di una opinione pubblica, mass media e giornalisti che non elevano mai queste tematiche al centro del dibattito. La Cina ci fa capire molte cose. I recenti investimenti in Milan e Inter nascono con un preciso obiettivo: imparare il calcio per arrivare, nel 2050, ad avere una nazionale in grado di vincere un Mondiale. Capita l’antifona?
Siamo un Paese straordinario destinato all’oblio e alla colonizzazione economica per colpa di politici che non hanno la capacità di avere una visione. Ed è scoraggiante che nemmeno questo esecutivo se ne stia occupando, con un ex ministro allo sviluppo economico più impegnato a Whatsappare col fidanzato che a pensare in grande. Questo è l’aspetto più preoccupante. Può un Governo non governare le clamorose evoluzioni demografiche in corso, pasticciando ad esempio, sulle pensioni? Può un esecutivo non avere al primo posto della sua agenda il tema del risparmio privato? 3-4 mila miliardi su cui occorre fare educazione finanziaria per far sì che non finiscano in obbligazioni bancarie o in fondi che investono in aziende dall’altra parte del mondo ma vengano a finanziare, correttamente remunerati, le imprese nostrane.
Queste mie riflessioni vogliono essere solo uno sprone. Perché non possiamo stare dalla parte del 50% degli italiani che non è andato a votare. Dobbiamo cercare, ognuno coi propri mezzi, di elevare l’attenzione su questi temi. Perché l’Italia è di tutti, non solo del primo cittadino.
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