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Nostalgia canaglia: perché l’Italia deve tenersi l’euro e cambiare euristica
Al primo posto nelle cose da rottamare, dovrebbe esserci la nostalgia. Nonostante la narrazione unica del rinnovamento ad ogni costo, l’Italia è sempre bloccata lì, nel solito sentimento di fondo, irresistibile e immutabile per definizione.
La nostalgia si respira ovunque, nelle piccole faccende e nelle questioni capitali.
C’è nostalgia dei cartoni animati. Un’intera generazione passa il tempo a ricordare gli eroi della propria infanzia, inondando i social network di immagini, video, link, spesso con la pretesa assurda di imporli ai propri figli a colpi di dvd e puntate in streaming, condannandoli ad un immaginario di seconda mano che non appartiene al loro presente.
C’è nostalgia a Sanremo, dove con l’ottimo Carlo Conti torna il bravo presentatore di rito baudiano che incorona tre giovani variazioni sul clone a la Bocelli, mentre sul palco si rivedono Albano e Romina, la coppia nazional popolare per eccellenza, in nome dell’amore che fu e della nostalgia, ovviamente canaglia. Un lungo, immutabile e nostalgico presente, per citare Malika Ayane.
C’è nostalgia nel calcio. L’impoverimento imbarazzante del nostro campionato è sotto gli occhi di tutti. I Van Basten, Maradona e Zidane di oggi vanno cercati altrove. A questa melanconia di fondo, si aggiungono le tristi uscite della massime cariche del sistema calcio come Carlo Tavecchio, presidente della FIGC, o di vere e proprie glorie sportive come Arrigo Sacchi. Anche il maestro di Fusignano, l’ultimo mito calcistico della nostra infanzia milanista, ha sentito il bisogno di ricordarci che “vedere così tanti giocatori di colore, vedere così tanti stranieri è un’offesa per il calcio italiano”. Colpisce innanzitutto il razzismo più o meno inconsapevole, sdoganato con cadenza romagnola come fosse niente. Ma colpisce anche la nostalgia per i bei tempi andati, quando si vincevano le Coppe dei Campioni magari proprio grazie a Gullit e Rijkaard che ovviamente, quando segnavano gol decisivi alla Steaua Bucarest o al Benfica, non offendevano nessuno.
C’è nostalgia nel mondo dell’impresa. Anche quando l’Italia prova ad immaginare il futuro e azzarda, arriva sempre il momento in cui si volta all’indietro e pesca nel passato. Così quando si è trattato di nominare il presidente del comitato promotore dei Giochi Olimpici di Roma 2024, la scelta è caduta su Luca Cordero di Montezemolo, già alla guida del comitato organizzatore dei mondiali di calcio del ’90. Giochi di potere ma anche nostalgia per le notti magiche in cui eravamo tutti più giovani e belli.
Anche se si tratta di celebrare degnamente figure fondamentali della storia d’impresa, capitani d’industria come Adriano Olivetti o Michele Ferrero, l’Italia resta sempre impantanata nella nostalgia. Le ottime pagine lette in questi giorni sul patron della Nutella, ad esempio, hanno spesso quel retrogusto un po’ più dolciastro del dovuto, che sconfina regolarmente nel rimpianto dei bei tempi che furono, quando la vita era più facile e si potevano inventare anche prodotti eccezionali che oggi in Italia nessun fa più. Tanto per evitare, per l’ennesima volta, di domandarsi seriamente il perchè.
C’è poi la nostalgia per eccellenza, quella della lira. Per molti ormai l’euro è il simbolo di ogni male. Non serve provare a discutere, cercando di distinguere tra il mezzo e l’uso che se ne fa, tra moneta unica e politiche monetarie, tra i vantaggi oggettivi dell’euro e la fallacia delle politiche economiche europee. Ormai conta solo la percezione. La cara e vecchia lira rimanda all’Italia di vent’anni fa. Non importa se la correlazione è debole perché, per chi oggi va per i quaranta, quell’Italia è il paese dei propri vent’anni. Nessun discorso razionale potrà mai prevalere contro la nostalgia per i bei tempi andati. Non c’è quantitative easing al mondo che tenga.
La verità è che la nostalgia fa un cattivo servizio al nostro passato. Lo banalizza per adattarlo alle domande di oggi e, senza che ce ne accorgiamo, lo distrugge poco a poco. Dovrebbe impararlo chi pretende di imporre alle generazioni future l’armamentario con cui è cresciuto, che si tratti di cartoni animati o di ideologie religiose e politiche.
Ma soprattutto la nostalgia ha un pessimo valore euristico. Per dirla con Marx, il peggior oppio che ci potesse capitare. In dosi eccessive, ostacola l’innovazione e inibisce il cambiamento. Un tarlo a prova di razionalità che purtroppo l’Italia di oggi, impantanata in mille privilegi intoccabili, ingiustizie profonde e rendite di posizione, non può più permettersi.
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