Industria
Manifattura in calo del 15%. Si salva solo la farmaceutica
La pandemia colpisce duramente l’industria italiana, tanto che l’emergenza sanitaria si è trasformata presto in emergenza economica. A confermarlo è il rapporto Analisi dei settori industriali, curato dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e da Prometeia, presentato oggi nel corso di un webinar.
Il manufatturiero italiano è stato colpito sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta e ha registrato un calo dei livelli di attività che è stimato nell’ordine del 15% in media d’anno. L’unico settore in controtendenza è ovviamente la farmaceutica, in crescita attesa del 4,2% nel 2020. Gli altri settori segnano una flessione, moderata per alimentare e bevande (-4.4%) e largo consumo (-10.1%) e più intensa per il sistema moda (-18.6%), la meccanica (-18.8%), elettrodomestici (-22.1%) e autoveicoli e moto (-25.9%), penalizzati dal blocco degli acquisti di famiglie e imprese, sia nel nostro paese sia sui mercati internazionali.
A gravare sulla ripresa sono i rischi al ribasso dovuti ad eventuali fasi di stop che potrebbero prospettarsi con il ritorno di focolai del virus. Inoltre, altri rischi sono possibili sul fronte del commercio internazionale, già colpito nel 2019 dalle guerre tariffarie tra Stati Uniti e Cina, e che potrebbe registrare nuove tensioni legate alla diffusione della pandemia, considerando la prospettiva delle elezioni presidenziali americane.
Secondo il rapporto, a questa contrazione seguirà un recupero parziale nel 2021, stimato del +5.3%. Nel triennio 2022-2024 l’attività manifatturiera proseguirà lungo un percorso di graduale recupero, a ritmi di poco inferiori al 3% medio annuo. La ripresa costituirà un’opportunità di trasformazione e modernizzazione del nostro tessuto produttivo, accelerando processi di innovazione e digitalizzazione già avviati nell’ambito della transizione verso il 4.0, che andranno a rinvigorire il ciclo degli investimenti. In questo scenario anche le tecnologie green giocheranno un ruolo chiave, alla luce del percorso già avviato nell’automotive e delle indicazioni tracciate a livello comunitario.
«L’industria italiana, così come l’intera economia mondiale, sta vivendo una fase di profonda crisi economica. La gestione dell’emergenza può, e deve, essere l’occasione per accelerare i processi di trasformazione, in particolare nell’ambito della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione della nostra economia. Investimenti verso progetti e produzioni a basso impatto ambientale rappresentano un fattore competitivo e di sviluppo per l’economia», commenta Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo.
Investimenti, consumi ed esportazioni risentono degli urti della crisi globale. Il ciclo degli investimenti si avvia verso un calo marcato. La componente macchinari e mezzi di trasporto risulta particolarmente penalizzata. Segnali positivi emergono, invece, dalle componenti a maggior contenuto tecnologico, come quelle legate allo sviluppo dei servizi digitali, che hanno ricevuto nuovi impulsi durante la fase più acuta dell’emergenza. Il blocco delle attività economiche ha inoltre interrotto anche la fase espansiva degli investimenti in costruzioni, con un andamento più negativo del comparto nuove abitazioni. Il recupero con la riapertura dei cantieri si farà più intenso nel 2021, grazie al traino delle opere pubbliche e del pacchetto di incentivi alle ristrutturazioni, cui si è aggiunto l’ecobonus.
Infine, le famiglie hanno posticipato l’acquisto di beni durevoli. I consumi di servizi registrano il calo più rilevante; si pensi per esempio al turismo legato alla mobilità e alla paura del contagio. Fanno però eccezione alcune voci di spesa, in aumento dallo scoppio della crisi, come gli alimentari, la detergenza casa/persona, i farmaci.
Le nostre esportazioni di beni manufatti, inoltre, sono stimate in flessione del 13.5% (a prezzi costanti), percentuale decisamente inferiore al calo registrato nel 2009 (-20%). Se infatti, in una prima fase, saranno penalizzate dalla forte esposizione verso i paesi e i settori più colpiti dalla crisi, potranno in seguito beneficiare di un recupero più rapido, che andrà intensificandosi nel 2021.
Guardando più nel dettaglio ai singoli settori industriali, la famarceutica (con una crescita attesa del +4,2%), come preannunciato è l’unico settore in controtendenza con il resto del manifatturiero. Del resto, ricopre un ruolo importante nell’emergenza in atto, ha un’industria nazionale solida e si posiziona nelle filiere produttive globali. La farmaceutica è l’unico settore con prospettive di export in crescita, sia nel 2020 sia nel 2021, quando gli altri settori saranno impegnati in una fase di recupero di quanto perso durante la crisi.
Il settore alimentare e bevande e largo consumo registrano prospettive di calo moderato dei livelli di attività 2020, rispettivamente al -4.4% e al -10.1%. Sono settori che non sono stati toccati dal fermo produttivo e possono beneficiare del traino parziale dei consumi (alimentari e detergenza casa/persona, rispettivamente). I comparti legati al turismo e al canale Ho.re.ca, nel caso dell’alimentare e bevande, e la cosmesi nel caso del largo consumo, appiano più penalizzati e influenzeranno negativamente anche le esportazioni.
Prospettive meno negative emergono anche per gli altri intermedi (-11.8%), sostenuti dall’aumento di domanda di prodotti in plastica e carta (legato all’emergenza sanitaria e ai provvedimenti di sicurezza messi in campo per fronteggiarla), per l’elettronica (-13.4%), che trarrà sostegno dalla spinta agli investimenti in digitalizzazione e, in parte, dai consumi domestici (beni e servizi Ict) e per i settori legati al ciclo edilizio, prodotti e materiali da costruzione (-13.7% nel 2020) ed elettrotecnica (-14%).
L’edilizia trainerà alcuni comparti dei prodotti in metallo (-16%) e della metallurgia (-16.7%). I due settori, tuttavia, nel loro complesso, sconteranno maggiormente gli effetti della crisi, per via del legame intenso con la meccanica e, soprattutto, con il mondo automotive, che con il suo rallentamento influenzerà pesantemente anche gli intermedi chimici (-15%).
La meccanica (-18.8%) si troverà a fronteggiare una marcata contrazione della domanda mondiale in corso d’anno, con effetti negativi sulle nostre esportazioni, e la battuta d’arresto del ciclo degli investimenti. Il settore autoveicoli e moto (-25.9%) sperimenterà il calo dei livelli di attività più significativo del quadro manifatturiero, scontando effetti combinati del lockdown e della crisi, dal lato della domanda (posticipo acquisto beni durevoli) e dal lato dell’offerta (il fermo impianti lungo tutta la filiera comporterà un ritardo nella messa a disposizione dei nuovi modelli).
Il settore mobili (-15.4%), il sistema moda (- 18.6%) e il settore elettrodomestici (-22.1%) saranno penalizzati sul fronte dei consumi interni e delle esportazioni.
Le nostre esportazioni potrebbero trarre beneficio dalla regionalizzazione delle catene globali del valore. La domanda mondiale mostrerà un profilo di progressivo miglioramento che, secondo le stime di Intesa Sanpaolo e Prometeia, nel 2024 porterà a superare dell’8,7% i livelli pre-Covid a prezzi costanti.
Farmaceutica, largo consumo, alimentare e bevande ed elettrotecnica, secondo il rapporto, al 2024 mostreranno livelli di attività in crescita rispetto al pre-Covid. Altri settori quali meccanica, altri intermedi ed elettronica si posizioneranno, inoltre, poco al di sotto dei livelli 2019. I settori più colpiti dalla fase recessiva oggi sono elettrodomestici, sistema moda e autoveicoli e moto e si dimostreranno più lenti anche in fase di ripresa nel medio termine.
«A maggior ragione dopo questa emergenza sanitaria, che ha permesso di verificare i vantaggi delle nuove tecnologie (dal controllo non tradizionale delle fabbriche, alle vendite online, allo smart working), occorre accelerare sul fronte della digitalizzazione con uno sforzo congiunto delle imprese, anche quelle di minori dimensioni, e delle istituzioni, per aumentare gli investimenti (infrastrutture, processi produttivi, software) ma anche le competenze, su cui l’Italia sconta un gap non più sostenibile», conclude De Felice.
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