Industria
L’importanza della formazione per la fabbrica duttile
Ci sono poche cose, nella vita, più importanti dell’istruzione. Purché si tratti di un’istruzione al passo con i tempi, e capace di affrontare le sfide del futuro. Oggi più che mai si discute in Italia di rilanciare l’istruzione tecnico-professionale, per anni trascurata. Pensatoi di assoluta rilevanza come la Fondazione Nord-Est, esperti e media attenti al mondo produttivo come Gli Stati Generali hanno affrontato la questione, per non parlare del Governo, che ha varato una riforma della scuola che sembra andare in questa direzione.
Da imprenditore, ammetto subito la mia ignoranza nel campo della formazione, anche se mia moglie, che di mestiere fa proprio l’insegnante in una scuola pubblica, negli anni mi ha fatto conoscere un po’ meglio questo mondo. Sempre da imprenditore, però, posso dire che se il nostro paese è la seconda economia industriale d’Europa, e una delle principali del mondo, lo deve anche ai suoi luoghi della formazione. A differenza degli Stati Uniti, dell’Inghilterra patria della Rivoluzione industriale o della stessa Germania, l’Italia infatti è poverissima di materie prime. Niente carbone, niente ferro, niente gas e petrolio.
Quello che l’Italia ha… sono gli italiani. Con le loro capacità, competenze e saperi. Talenti mica si nasce, si diventa. Può sembrare retorica, ma non lo è affatto. È dal Rinascimento, dai tempi gloriosi di Filippo Brunelleschi e Leon Battisti Alberti, che abbiamo capito che l’arma segreta di questo Paese è l’ingegno, nella testa e nelle mani (e lo hanno capito anche gli altri: non è una coincidenza se il MIT, forse il centro di istruzione superiore più rivoluzionario del mondo, ha come motto la frase latina mens et manus). Certo, Brunelleschi e Alberti erano dei geni, noi semplici esseri umani, tuttavia la loro lezione è più attuale che mai.
Dall’Unità d’Italia sono sempre stati tre i luoghi della formazione: la scuola, l’università e l’azienda (sotto forma di bottega, studio, fabbrica, officina e così via). Che tutti e tre abbiano uno storico di grande successo è a mio parere indiscutibile: non siamo arrivati a un PIL di 1,3 trilioni di euro in forza di un intrinseco “genio italico” o alla mera arte di arrangiarsi, ma appunto grazie a capacità, competenze e saperi che scuola, università e mondo produttivo hanno saputo “costruire”. Negli ultimi anni, tuttavia, ciascuno dei tre luoghi della formazione è andato un po’ per conto suo. E questo a mio parere ha indebolito tanto la scuola e l’università che le aziende.
Una scuola senza un saldo collegamento con l’università e con il mondo produttivo rischia di non formare studenti all’altezza delle sfide che li attendono dopo il diploma. Un’università poco collegata con il mondo produttivo può trasformarsi in una “torre d’avorio” dominata dai baroni universitari. E aziende poco inclini al dialogo con scuole e università corrono il serio pericolo di cadere in una specie di soggettivismo culturale, e perdere importanti opportunità di trasferimento tecnologico e innovazione.
Sia chiaro: ci sono, in ogni angolo del paese, molti esempi di dialogo tra scuole, università e aziende. La mia azienda ha sede in Trentino, e posso dire che questo territorio vanta tante belle storie in tal senso, pur non mancando ostacoli e difficoltà. E d’altro canto le colpe non sono tutte da una parte o dall’altra, ma vanno distribuite anche alla luce del vecchio proverbio “errare è umano”. Detto questo, penso sia cruciale rilanciare con forza la formazione tecnico-professionale, e far ripartire con forza il dialogo tra scuola, azienda e università.
A imporcelo è il vincolo più pressante e ineludibile, quello della realtà. In un mondo sempre più globalizzato, dove emergono (o sono già emersi) nuovi protagonisti industriali (dalla Cina alla Corea del Sud, dal Brasile al Marocco), il manifatturiero italiano ha bisogno di una forza-lavoro sempre più preparata, in grado di accompagnare e sostenere le imprese nelle sfide del XXI secolo.
Lo scrivevo negli ultimi post: per molte PMI italiane il domani potrebbe chiamarsi “fabbrica duttile”, ossia quell’azienda che sa trasformare il suo profilo adattandosi alle forze, sempre più imperiose, di una globalizzazione che nessuno riesce più a controllare, e alle più svariate sollecitazioni esterne; un’azienda polivalente insomma, dotata di un’intelligenza multiforme e rapida ad apprendere, multi-specializzata ma lontana anni-luce dalla “tuttologia”, perché la duttilità deve sempre coniugarsi alla concretezza, e alla concentrazione. Un’azienda, ancora, capace di unire «competenze tecniche e manuali di natura artigiana con un forte know-how tecnologico», e con un approccio che «oltre a essere, appunto, flessibile, è multidisciplinare, contaminante, e perciò intrinsecamente incline all’innovazione».
Il sentiero è questo, ne sono convinto. Ma per farcela ha bisogno di talenti adeguati, perché la fabbrica duttile esiste solo nella misura in cui esiste un personale multidisciplinare e incline all’innovazione. Lo dico da sempre, e qui lo ripeto: la fabbrica duttile ha bisogno soprattutto di giovani, perché il mondo del digital manufacturing (che è una cifra fondamentale di questo nuovo modo di fare business) appartiene appunto ai nativi digitali. Se togliete l’elettricità alla mia azienda, quella smette di funzionare; ma anche se togliete internet è un bel guaio!
La fabbrica duttile però ha una doppia anima, artigiana e digitale. Alle competenze di natura informatica, e digitale in senso amplio, vanno sommate quelle più eminentemente tecniche e manuali. Perché tra il prodotto così come si disegna e desidera, e come esce dalla macchina, c’è uno scarto che possono colmare solo loro, i maestri-artigiani, che armati di strumenti del mestiere vecchi a volte secoli, perfezionano, aggiustano e adattano. Ecco perché l’azienda (sia essa la bottega, officina, o fabbrica) è destinata a essere, domani ancora più di oggi, uno dei luoghi fondamentali della formazione italiana: ai saperi-base che si apprendono sui banchi di scuola, e alle competenze sofisticate universitarie, è infatti necessario affiancare i saper-fare concreti che si imparano solo sul banco… da lavoro.
E infatti da noi la formazione permanente è un must. Organizziamo periodicamente sessioni di studio e workshop, inviamo i dipendenti a corsi di specializzazione all’Italia e all’estero, e con una scuola interna (la nostra academy) formiamo tutti i membri del lab artigiano. Mi rendo conto che è una piccola cosa, considerando le dimensioni della nostra azienda, ma credo che sia la mossa giusta.
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