Industria
la rivoluzione del digital manufacturing accelera… e l’automotive è alla guida
Cos’hanno in comune l’invenzione della stampa a caratteri mobili, la scoperta dell’elettricità e lo sviluppo dell’informatica? In tutti e tre i casi, si è trattato di rivoluzioni tecnologiche che hanno innescato cambiamenti significativi in svariati aspetti della vita umana. Sia chiaro, pure invenzioni come la polvere da sparo e il motore a scoppio sono state cruciali; queste però hanno rivoluzionato soprattutto un singolo settore: nel primo caso il principale ambito di applicazione è stato il settore bellico, nel secondo i trasporti.
Invece la trasformazione innescata da stampa, elettricità e informatica è stata molto ampia e pervasiva. Quando il tedesco Johannes Gutenberg, nel 1455, finì di stampare la Bibbia in 180 copie, non poteva immaginare che la sua invenzione avrebbe rivoluzionato non solo il mondo della cultura, ma l’istruzione, la ricerca scientifica, la politica, il diritto e l’amministrazione dello Stato.
Non è una coincidenza se lo storico britannico Niall Ferguson (tornato alla ribalta proprio in questi giorni) abbia definito la stampa come “la maggior innovazione tecnologica del periodo precedente alla Rivoluzione industriale”. La stampa rivoluzionava il modo con cui trasmettere il sapere e l’informazione. Rendeva più facile agli scienziati diffondere le loro scoperte, dava la possibilità a molti più giovani di studiare senza indebitarsi (nel Medio Evo i libri costavano un occhio della testa: la stessa biblioteca di Dante era limitata), permetteva a re e principi di pubblicare i propri editti in modo molto più facile ed economico.
O prendiamo il caso dell’elettricità. Da quando Volta inventò la pila, nel 1799, ne è passata di acqua attraverso le turbine. L’elettricità illumina le nostre case e città, fa funzionare treni e telefonini, manda avanti fabbriche, ospedali e cinema. “Il regno vittorioso dell’Elettricità” a cui futuristi come Francesco Pratella inneggiavano ha rivoluzionato tutto, dai trasporti alle comunicazioni, dall’intrattenimento collettivo all’abitare.
Last but not least, l’informatica. Gli antenati dei computer apparvero negli anni Quaranta, con scopi militari. Nel giro di appena settant’anni, però, l’informatica ha mutato profondamente quasi ogni aspetto della nostra vita: smartphone e PC a parte, l’informatica ormai è nei sistemi di gestione del traffico, nelle catene di montaggio, nelle case, negli ospedali ecc…
E così come l’invenzione della stampa è stata probabilmente la condizione essenziale per la rivoluzione industriale, e l’elettrificazione ha reso possibile la rivoluzione informatica, oggi dalla rivoluzione informatica sta nascendo la rivoluzione del digital manufacturing. Essa non non riguarderà un solo settore, ma sarà pervasiva, e innerverà tutto il “mondo del fare” (intendendo con questa espressione le attività umane con una dimensione industriale, artigianale o almeno manuale). Avrà un impatto sull’industrial design e sulle protesi di nuova generazione, sull’ingegneria edilizia e sul fai-da-te.
A cambiare sarà prima di tutto l’industria manifatturiera, pilastro di economie avanzate come la Germania, il Giappone o l’Italia. In un post precedente mi sono già soffermato su Industrie 4.0, ossia “l’iniziativa strategica tedesca per assumere un ruolo pionieristico nell’ambito della tecnologia dell’informazione industriale che sta rivoluzionando il settore”. Anche in Italia ci si sta dando da fare, e il report (a cura di Confindustria servizi innovativi e tecnologici) dal titolo “Fabbrica 4.0: la rivoluzione della manifattura digitale” prova che c’è una crescente attenzione al tema.
Pure in Nord America, dove hanno sede attori del 3D printing come Stratasys e 3D Systems, c’è grande effervescenza. Non a caso gli Stati Uniti sono uno dei principali motori di questa rivoluzione, tanto è vero che i media hanno persino parlato di Rinascimento del manifatturiero americano. Ma in generale in tutto il mondo si sta pian piano realizzando la portata di questa trasformazione. Secondo un recente report, a livello globale l’industria del gas e del petrolio sta emergendo come uno dei nuovi utilizzatori delle tecnologie additive, seguita dall’industria aerospaziale.
In ogni caso uno dei settori manifatturieri che cambierà di più a causa della rivoluzione del digital manufacturing sarà quello dell’automotive, da molti visto (a torto) come una roccaforte del conservatorismo tecnologico. In realtà quest’industria, che ogni giorno si confronta con mercati ultracompetitivi, normative di grande complessità e consumatori (giustamente) molto esigenti, ha capito prima di altre le potenzialità dirompenti della stampa 3D.
Le auto one-off e le show car, ossia le auto a tiratura limitatissima e quelle da esposizione, sono state tra le prime a beneficiare delle tecnologie additive. Ad esempio la BMW acquisì la prima macchina per stereolitografia nel 1989, l’anno in cui il Muro di Berlino cadeva tanto per intenderci. All’inizio la stampa 3D fu utilizzata per le concept car del brand, ma si rivelò presto una tecnologia così duttile da essere impiegata anche in altre attività, come i test e le validazioni.
Oggi, dopo 26 anni, al Rapid Technologies Center del Centro Innovazione e Ricerca di BMW (il FIZ, cuore tecnologico dell’azienda) si sfornano ogni anno quasi 100mila componenti, e si lavora su circa 25mila prototipi. Oltre alla stereolitografia (la più vecchia tra le tecnologie additive), si utilizza la sinterizzazione laser selettiva (SLS), la modellazione a deposizione fusa e la stampa PolyJet. Con la stampa 3D si fanno, secondo media europei e americani, le pompe dell’acqua delle macchine usate nel Deutsche Tourenwagen Masters, ricambi per auto d’epoca, guanti speciali per gli operai in catena di montaggio e persino le sedute delle sedie a rotelle del team paraolimpico britannico.
La BMW è in buona compagnia. Alla Opel, per esempio, si utilizzano attrezzi su misura fatti con stampanti 3D della Stratasys, e questo non solo migliora la performance degli operai ma fa risparmiare tempo e denaro. Oltreoceano la Local Motors, azienda dell’Arizona, ha annunciato l’imminente lancio sul mercato della LM3D, la prima auto a essere realizzata per il 75% con tecnologie additive. Si tratta di una vettura fatta per l’80% in plastica e il resto in carbonio, a un costo di circa 50mila dollari. Naturalmente è ancora presto per gridare al miracolo, come invece hanno fatto i media americani. Tuttavia il sogno del CEO dell’azienda è quello di realizzare con le stampanti 3D auto per le masse. Un grande sogno.
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