Industria

I segreti del manifatturiero lombardo (che corre verso l’Industria 4.0)

31 Marzo 2018

In Lombardia operano oltre 100mila aziende manifatturiere: un quinto del totale nazionale. Un motore economico e occupazionale che, dopo i durissimi anni della crisi, ha ripreso a girare a pieno ritmo. Nel 2017 la produzione industriale è cresciuta del 3,7%, con una ripresa di quasi tutti i settori: dalla siderurgia al comparto legno-arredo, dalla gomma-plastica alla carta. E se altre regioni industriali d’Europa arrancano (come la Catalogna, che però sta scontando una situazione politica particolare), la Lombardia è quasi tornata ai livelli produttivi del 2008: solo il Baden-Württemberg fa meglio.

Tanti i fattori che concorrono alla ripresa. Ad esempio la vitalità di distretti industriali come quello della gomma e della plastica nel bergamasco: la “Rubber Valley”, che inizia ad Adrara San Rocco e arriva fino a Castelli Calepio, lambendo anche il bresciano, e per la precisione Paratico, nella Franciacorta. O il distretto della meccanica strumentale in provincia di Varese. O quello delle calzature e delle macchine per la concia della pelle nel pavese, con fulcro il comune di Vigevano (che alla calzatura ha pure dedicato un museo internazionale).

Sintetizza a Gli Stati Generali Gianluigi Viscardi, presidente del Digital Innovation Hub Lombardia: «la Lombardia continua a svolgere un ruolo trainante nel sistema economico nazionale, e non solo nazionale, direi. La capacità di eccellere del nostro sistema di imprese è dovuta a molti fattori, a cominciare dai processi di internazionalizzazione: le imprese lombarde sono fortemente orientate all’esportazione. Fondamentale è anche l’abitudine di trovare sui mercati internazionali le tecnologie, e se necessario anche le competenze… fare, in sostanza, scouting tecnologico».

Altri fattori importanti, osserva Viscardi, sono «la capacità di saper interpretare le esigenze di nuovi mercati, adattando continuamente prodotti e servizi in funzione dei clienti, e avendo il coraggio di affrontare mercati di nicchia. E infine il tema, a me molto caro, dell’innovazione. Innovazione sia in termini di prodotto, che (specialmente negli ultimi anni) di processo. In questo senso, un altro elemento distintivo del sistema lombardo è che spesso l’innovazione è gestita internamente».

Innovazione. Viscardi si riferisce non solo alle grandi aziende (che in Lombardia sono più che nel resto d’Italia), ma anche alle tante PMI «che hanno ottime idee e che investono per realizzarle». In effetti le aziende manifatturiere lombarde mostrano una crescente propensione all’innovazione, soprattutto digitale. Non a caso molti piccoli e piccolissimi imprenditori sentiti da Gli Stati Generali lamentano la difficoltà a trovare «programmatori, scienziati dei dati, esperti di CAE». L’Industria 4.0, qui, è un orizzonte concretissimo, grazie anche alle politiche nazionali degli ultimi anni (su tutti il Piano Calenda), e a un substratum fertile: la regione è leader nazionale per numero di brevetti; la provincia di Milano non conosce rivali, con buona pace delle pur dinamiche province di Roma, Torino e Bologna; e l’arcipelago di università, acceleratori e centri di ricerca del territorio attira competenze e talenti da tutta Italia.

Un altro indicatore positivo è il numero di startup innovative manifatturiere. Un quinto del totale nazionale ha sede in Lombardia, soprattutto nel milanese. Che del resto genera, da solo, quasi un terzo del valore aggiunto industriale di tutta la regione. Secondo Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup e investitore dell’innovazione, il successo di Milano poggia su due pilastri: «l’esistenza di un ecosistema fatto di istituzioni, università, imprese, professionisti e finanza, e la massa critica in (quasi) tutte le sue dimensioni». Bicocchi Pichi cita alcune delle iniziative che hanno rafforzato Milano: per esempio il piano “Far volare Milano”, con progetti come Startup Town, e l’adesione di Assolombarda proprio a Italia Startup.

Certo, l’ecosistema dell’innovazione milanese-lombardo sconta la debolezza di un paese che non brilla per capacità di innovare (nella graduatoria Global Innovation Index l’Italia è solo al ventinovesimo posto). Ma c’è un rovescio della medaglia: i migliori talenti di una nazione di 60 milioni di persone passano, prima o poi, tutti da Milano, e l’Italia rimane un serbatoio di opportunità e competenze uniche. Basta farsi un giro per i vari acceleratori e incubatori di startup in Lombardia per captare accenti pugliesi, veneti, siciliani, lucani.

Purtroppo Milano resta una piazza VC piccola: non la superano soltanto capitali della finanza globale come Londra, Parigi e Mosca, o centri rilevanti come Berlino o Stoccolma, ma anche realtà quali Dublino, Helsinki, Bristol, Karlsruhe (si veda il paper Rise of the Global Startup City del Martin Prosperity Institute). Dice da parte sua Bicocchi Pichi: «La dimensione di investimenti ed exit è molto debole nel confronto internazionale. Le statistiche domestiche hanno poco significato in un mercato globale. I ranking degli hub europei e mondiali hanno certamente dei limiti, come tutte le classifiche di questo tipo, però una cosa è competere per il podio, un’altra è essere decimi (parlo della classifica EU-Startups 2017), o non entrare proprio in classifica, come accade nel caso del Global Startup Ecosystem Report». Ancora una volta però, si tratta della manifestazione locale di un problema nazionale.

Ma non sono solo le startup innovative a posizionarsi alla frontiera dell’hi-tech. Un esempio positivo in tal senso sono le PMI attive in settori cruciali per l’Industria 4.0 come la costruzione di macchine utensili, sistemi di automazione, robot e affini. Lo conferma Massimo Carboniero, presidente dell’associazione UCIMU – Sistemi per produrre: «Il giudizio è senza dubbio positivo. Attualmente, in un momento favorevole per l’economia italiana, la Lombardia dimostra grande vitalità. D’altra parte, negli anni della crisi, il tessuto industriale locale ha dimostrato di saper “tenere” meglio di altre aree del paese».

I bracci meccanici, le presse e le fresatrici che le aziende del settore sfornano, esportandole in tutto il mondo, sono la cartina di tornasole di un manifatturiero tricolore sempre più hi-tech (e del resto l’Italia vanta il sesto parco robot installati). E la Lombardia fa la parte del leone. «Rispetto al settore, che conta 400 imprese, 32mila addetti e un fatturato che nel 2017 ha superato gli 8 miliardi di euro, la Lombardia detiene il primato per tutti i principali indicatori economici: numero di aziende, di addetti, produzione ed export».

Secondo una ricerca a campione condotta dal Centro studi dell’UCIMU, in Lombardia ha sede il 43% delle imprese del settore, contro il 24% del Centro-nord, il 19% del Triveneto e il 13% del Nord-ovest (e circa l’1% del Sud). «Nel dettaglio, l’area intorno a Milano, insieme alla Brianza, è quella a più alta concentrazione di aziende costruttrici di robot e macchine utensili. Anche Brescia ospita numerose imprese del comparto, mentre sono più distanziate le provincie di Bergamo e Varese».

Quasi il 40% delle macchine utensili e dei robot made in Italy è prodotto in Lombardia, e il 37% di tutto l’export tricolore è “quota lombarda”, spiega Carboniero. Con numeri come questi, sul manifatturiero lombardo ci sono ragioni per essere ottimisti. Certo, per arrivare ai livelli del Baden-Württemberg c’è ancora parecchia strada da fare. Ma i presupposti sembrano esserci.

 

 

 

Foto in copertina: Pixabay

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