Industria

Fare impresa in Italia? Mission: (Im)possible

17 Giugno 2015

Una notizia buona, anzi molto buona, e una meno, anche qui molto meno buona. Partiamo da quella positiva: lo Stivale è bucherellato, ma tutto sommato vivo. Molti ragazzi, infatti, decidono ancora di lanciarsi con temeraria ostinazione nel mondo dell’impresa. Quella meno buona invece è che molte idee valide, e con esse i rispettivi portatori sani di talento, sono costrette a non crescere come vorrebbero e a rimanere sulla banchina ad aspettare un treno. Un treno che, come vuole il luogo comune, spesso arriva in ritardo. Quando arriva.

Una di queste idee si chiama Iaya Asciani, un brand di borse ed accessori di lusso lanciato da poco più di un anno dalla stilista Chiara Di Domenico. Con il suo marchio la giovane imprenditrice è passata dalle parole ai fatti e ora che c’è dentro fino al collo ammette: “le difficoltà quotidiane ci sono, ma sono comunque orgogliosa di quello che sto realizzando”.

La storia di Chiara è un percorso a zig-zag che parte dalla Brianza, e più precisamente da Biassono, dove il padre è un commerciante di tessuti e biancheria. “Sono cresciuta fra le stoffe – racconta. Ti sembrerà buffo, ma da piccola sognavo di fare la sarta”. A far sbocciare così precocemente quella passione è un episodio della sua infanzia. “Per un certo periodo ospitammo nella nostra casa la figlia di amici. Era una ragazza molto giovane, trasferita a Milano per studiare in una scuola di moda. Ero molto incuriosita dai suoi disegni, dalla sua abilità manuale, e cominciai a giocare anche io a fare la stilista – ricorda. Fu così paziente e affettuosa con me da insegnarmi a cucire per davvero”. È un primo tassello della sua storia questo, anche se lei non poteva ancora saperlo. Finito il gioco, ago e filo resteranno in un cassetto ancora per molti anni. Terminato il liceo, infatti, Chiara prenderà tutt’altra strada e frequenterà la facoltà di architettura del Politecnico di Milano.

Nel 2004 è la volta del secondo tassello del puzzle: Chiara si trasferisce a Pisa dove comincia a lavorare in uno studio di architettura. Nelle sue parole, questa esperienza è piena e gratificante. “Ho imparato moltissimo, ho fatto esperienza nei cantieri e avevo soprattutto la possibilità di progettare: a mio giudizio l’aspetto più divertente e impegnativo della professione. Devo dire che è stata una bella scuola”. La sua attività fila liscia e, nel 2012, arriva l’occasione che non ti aspetti. Allo studio, infatti, viene proposto di disegnare una linea di borse per il mercato russo. “Mi sono gettata a capo fitto in questa impresa. Ho fatto i disegni, proposto una collezione e il lavoro è piaciuto molto. Purtroppo l’iniziativa non è andata in porto, ma qualcosa in me era cambiato”. Guarda i bozzetti e non si rassegna al fatto che quei modelli, le sue borse, il frutto del suo estro creativo, sono destinati a rimanere solo su carta. Quel qualcosa è un fuoco che le brucia dentro, il suo lavoro non può rimanere rinchiuso fra due parentesi. “A quel punto – prosegue – la mia decisone è stata di portare comunque avanti il progetto e, sul momento, non ho voluto pensare alle difficoltà che avrei dovuto affrontare”. Da dove partire, dunque? “In quel momento – racconta – è successo qualcosa di straordinario. Non conoscevo nessuno in questo settore, ma ho cominciato a spargere voce, a fare rete. Pensa che – aggiunge divertita – ho conosciuto gli artigiani con cui lavoro attualmente tramite la mia parrucchiera”. Le chiedo chiarimenti. “Parlavamo del più e del meno e lei mi disse che conosceva delle persone che potevano fare al caso mio. Le contattai senza indugio: oggi possono dire che si tratta di artigiani davvero straordinari, che mi hanno dato subito fiducia”. E qui entra in gioco un aspetto fondamentale della filosofia di Iaya Asciani: “la produzione è completamente artigianale, ad opera di maestranze del comprensorio pisano del cuoio. Conosco personalmente la qualità della fattura e i materiali utilizzati. Quello che faccio, più che Made in Italy, è un prodotto Made in Tuscany”.

Ottimo, lodevole, ma quanto costa produrre ogni pezzo? “Molto, ma questo è un aspetto che non voglio negoziare. So bene che la produzione di massa mi porterebbe a realizzare una serie di economie di scala, a spuntare migliori prezzi di acquisto per i materiali – continua –, ma poi? Il prodotto perderebbe inevitabilmente in qualità”. Quando, en passant, nomino Prato fa una smorfia e non vuole neanche commentare. Poi prosegue: “ogni mio pezzo è in qualche modo unico. Gli accessori di alta gamma hanno un prezzo elevato perché l’artigiano italiano ha a sua volta degli alti costi di produzione. Anche i materiali che scelgo hanno un alto costo. Quello che posso dire è che per la vendita al pubblico ho trovato un compromesso che ti permette di acquistare un prodotto di alta qualità a un prezzo decisamente molto competitivo”. Leggo fra le righe che una grande firma, per gli stessi materiali e le stesse finiture, prevede un ricarico ben più consistente.

Digressione importante: “le imprese con le quali lavoro – dice – sono di piccole dimensione e i lavoratori sono molto spesso gli stessi fondatori. È molto difficile trovare ragazzi disposti ad operare in una conceria o in una sartoria specializzata nella lavorazione della pelle o del cuoio. È un lavoro piuttosto impegnativo, usurante”.

Il bilancio di poco più di un anno di attività in questo business così difficile? “Direi che è positivo, la collezione è piaciuta molto. Recentemente si sono interessate delle mie creazioni le fashion blogger Francesca Romana Capizzi e Martina Asch, che le ha anche presentate in occasione di un evento a Milano. Direi – conclude – che sono felice”.

Più che ai bilanci, comunque, Chiara pensa già al futuro e alla nuova collezione, concepita con l’idea della “polifunzionalità”. Se è vero, come mi dice, che le imprese si giudicano nel tempo, scommetto che sentiremo parlare di lei.  Si accettano puntate.

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