Industria
Ecco la startup italiana che fa le T-Shirt con i robot
Storicamente la Toscana è sempre stata all’avanguardia dell’innovazione manifatturiera, e specialmente nell’industria tessile, gloria e vanto di questa terra così decisiva per la storia non solo italiana ma mondiale. Già ottocento anni fa i magnifici panni di lana prodotti a Firenze e Prato venivano esportati in tutta Europa, ed erano venduti a caro prezzo nelle Fiandre come a Londra.
Negli anni ’70 Prato era la capitale del tessile europeo, con aziende grandi e piccole che prosperavano vendendo i loro prodotti di eccellenza in Germania, Stati Uniti, Giappone, Sudafrica… e persino oltrecortina: nella plumbea Mosca di Bréžnev indossare una camicia o un maglione italiano – spesso provenienti proprio dalla Toscana – era il non plus ultra dello chic per molti professionisti e funzionari di partito, un segno di distinzione nel tetro grigiore del socialismo reale.
Ma negli anni ’90 la globalizzazione, e la selvaggia concorrenza al ribasso dei paesi del Far East e del Sudest asiatico, hanno inflitto un colpo devastante al tessile italiano, e in particolare alla produzione di abbigliamento, come ben sanno non solo gli imprenditori toscani ma anche del Triveneto e del Comasco. Uno tsunami di prodotti a basso, bassissimo costo (spesso a causa dello sfruttamento della manodopera) ha travolto questo pilastro del Made in Italy. Ancora oggi molti, a Prato così come in Lombardia, si leccano le ferite, rimpiangendo i bei tempi andati.
Ma c’è uno startupper – di Prato – che non si è arreso e vuole cambiare le cose. Si chiama Damiano Bonacchi, ed è il fondatore di Clobot, startup che fa robot per fare T-Shirt a velocità record, e che dopo un percorso di accelerazione nel Regno Unito è tornata nel nostro paese.
La vicenda di Bonacchi è emblematica, e forse può essere fonte di ispirazione per tanti imprenditori della Pianura padana che, di fronte alla competizione forsennata da fuori Europa, non sanno più dove sbattere la testa.
La tenace nonna di Bonacchi, la signora Assunta, quasi novant’anni fa, diede inizio a un’attività di produzione di maglie che divenne un’impresa di successo, e che negli anni del boom, sotto la guida di Loriano, padre di Damiano Bonacchi, si trasformò in una piccola ma floridissima realtà da 50 dipendenti con clienti in tutta Italia, nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e in Sudafrica. Ma dagli anni ’90 l’attività iniziò a subire la pressione della concorrenza asiatica e, dopo una fase di internazionalizzazione in Bangladesh, nel 2017 Damiano Bonacchi pensò che la mossa migliore fosse liquidare l’attività e ripartire con un’impresa completamente nuova, ad alta intensità tecnologica, in grado di valorizzare i punti di forza italiani. Bonacchi, che è un fiume in piena, racconta:
Per venticinque anni mi sono occupato di produzione di abbigliamento tra Italia, Bangladesh, Cina e Turchia. Questi anni di lavoro all’estero mi hanno fatto maturare l’idea di innovare i processi di produzione attraverso l’automazione. Ecco perché nel 2018 ho fondato Clobot, startup con la quale abbiamo brevettato il primo sistema robotizzato al mondo per produrre T-Shirts in maniera automatica.
Pezzo forte della Clobot è il T-Bot, un robot autonomo che produce 16 stili differenti di T-Shirt e può produrre 10.000 capi al giorno con un solo operaio specializzato. Numeri da capogiro a parte, i vantaggi sembrano essere vari: da un lato si restituisce competitività all’industria italiana della produzione di abbigliamento, dall’altro si genera occupazione di qualità, perché un operaio specializzato riceve, anche nel nostro paese, un buon stipendio. Last but not least ci guadagna anche l’ambiente, perché un conto è trasportare un carico di magliette da qualche remota località del Sudest asiatico al porto di Genova, o a quello di Rotterdam, un altro è produrre una T-Shirt in una fabbrica robotizzata a Prato e farla arrivare in una boutique di Milano o di Monaco.
Per Bonacchi la robotica è la via italiana per ridare competitività all’industria della produzione di abbigliamento. Spiega:
L’Italia negli ultimi decenni ha perso molto terreno in questo settore, è vero, ma lo può recuperare rapidamente proprio puntando sull’innovazione tecnologica e sul capitale umano. E l’automazione può senz’altro aiutare a stabilire un rapporto paritetico di costi di produzione tra un fabbricante che si trova, ad esempio, nell’Asia meridionale e un altro che si trova in Toscana o in Lombardia.
E aggiunge con decisione:
L’Occidente non può permettersi di aumentare i prezzi dell’abbigliamento per il mass market, sarebbe un disastro sociale; ma non può neanche più permettersi eticamente di calmierare i prezzi grazie alle produzioni a basso o bassissimo costo di manodopera dai paesi emergenti e in via di sviluppo. La soluzione è quella che noi consideriamo una tecnologia etica, in grado sia di cogliere le opportunità dell’Industria 4.0, sia di rilanciare i nostri territori. L’industria della produzione dell’abbigliamento è l’ultima industria mondiale a non aver ancora sfruttato l’automazione per evolvere e migliorare: è basata ancora sul lavoro manuale con gli stessi metodi usati nell’ottocento. La verità è che mancava la tecnologia per fare il salto; noi stiamo proponendo la giusta soluzione high tech nel giusto momento storico.
Uno potrebbe obiettare che è ben strano far fare a un robot T-Shirt. Non sarebbe stato meglio fargli fare camicie o pantaloni? Ma Bonacchi, da vero toscano, ha la risposta pronta:
La T-Shirt è il capo di abbigliamento più venduto e amato al mondo; inoltre è quello che genera in assoluto più revenues nel settore della produzione di abbigliamento. Le basti sapere che nel mondo vengono prodotte ogni anno 15 miliardi di T-Shirts: circa due per ogni essere umano.
Bonacchi ostenta fede nei numeri (sarà per gli anni di studio in California?), ma ripone grande fiducia nell’Italia, e ciò senz’altro è una bella cosa, perché in un paese dove fare attività di impresa spesso sfiora l’eroismo, trovare chi si rimette in gioco puntando sull’innovazione spinta e assumendo talenti altamente qualificati (il team di Clobot è fatto da giovani ingegneri molto agguerriti) non è da poco. Aggiunge:
Noi italiani abbiamo il know-how e una storia plurisecolare in questo settore. Fino a qualche decennio fa l’industria tessile era la terza o quarta industria nazionale. Purtroppo molto è stato spazzato via dalla concorrenza extraeuropea. Tuttavia la robotica può ridare slancio e nuova linfa a un settore dal grandissimo potenziale, facendoci recuperare competitività nel medio periodo.
Da buon pratese spera che, anche grazie ai suoi robot, l’industria della sua provincia possa tornare ai fasti degli anni ’70. Un rinascimento tecnologico, che però può sembrare futuristico e anche remoto in questi mesi durissimi di pandemia e crisi economica. Ma lui insiste:
Prato vanta una splendida tradizione, imprenditori capaci, un serbatoio di creatività, competenze e maestranze importantissimo. Tuttavia dobbiamo innovare, e cogliere le opportunità offerte dell’Industria 4.0.
Speriamo abbia ragione.
La foto della copertina di questo post è tratta dal sito di Clobot: http://clobot.uk/
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