Industria

Ecco come aiutare il manifatturiero innovativo a far ripartire l’Italia

16 Febbraio 2021

Il 2020 è stato un anno molto duro per tutti. Per alcuni, è stato terribile. Da cittadino, prima ancora che da imprenditore manifatturiero, posso dire che in quasi settant’anni di vita non avevo mai assistito a niente del genere. Certe sere della scorsa primavera, quando il telegiornale forniva il triste bollettino dei nuovi positivi e delle vittime, mi capitava di ripensare ai racconti dei miei genitori e dei parenti più anziani sulla guerra, sui morti, sulle asprezze quotidiane di quei tempi.

Un proverbio balcanico dice che a ogni generazione tocca una guerra: ai nostri nonni toccò in sorte l’abisso della trincea, ai nostri padri i bombardamenti e l’occupazione nazista, a noi baby boomers, figli del benessere, è toccata questa, e ringraziamo il Cielo che forse iniziamo a vedere una luce in fondo al tunnel, grazie all’arsenale di vaccini che la scienza medica sta approntando per noi. Ma la strada da percorrere è ancora molto lunga, impervia e faticosa, come ci viene ricordato ogni giorno, e non bisogna abbassare la guardia

Lo sanno bene le imprese italiane. Per molte il 2020 doveva essere l’anno della ripresa, o in taluni casi persino della svolta. Il 2018 aveva infatti visto un forte rallentamento rispetto a un 2017 nel complesso positivo, e il 2019 era stato segnato dalla stagnazione. Tutti (incluso il sottoscritto) nutrivano grandi aspettative verso il 2020, ma l’irrompere imprevedibile del Covid-19 non solo ha avuto un impatto – catastrofico – sulla vita, sulla salute e sulla serenità di milioni di italiani, ma ha paralizzato la nostra economia e quella globale, gettando nella recessione tutti i paesi sviluppati, a partire dai nostri principali partner commerciali.

Secondo le stime più recenti, la contrazione del PIL italiano nel 2020 ha superato il 9%. La disoccupazione è cresciuta, sfiorando il 12%, mentre il calo degli investimenti ha toccato il 14%. Sono numeri molto duri, ma che diventano agghiaccianti se declinati nella concretezza della realtà. Il 12% di disoccupazione è una tragedia per moltissime famiglie, specie a reddito basso e medio-basso, e il calo degli investimenti costituisce sempre un bruttissimo segnale; basti pensare che nel 2020 le imprese della Lombardia, il motore industriale del paese, hanno tagliato gli investimenti più che nel 2009 o nel 2013, anni com’è noto non proprio facili.

Il 2021 dovrebbe essere migliore. Si attende con trepidazione il famoso “rimbalzo”, un’ondata di nuove assunzioni e la ripresa dell’export, che dovrebbe crescere di oltre il 10%. E sia il mondo produttivo che le famiglie auspicano il miglior utilizzo possibile del Recovery Fund: un’opportunità straordinaria da parte dell’Unione Europea che smentisce definitivamente i presupposti stessi dell’euroscetticismo di casa nostra; un’occasione eccezionale che la nostra classe politica non può e non deve per nessuna ragione sciupare.

Da imprenditore me ne intendo poco di macroeconomia, e ancor meno di politica. Tuttavia so una cosa: il pilastro dell’economia italiana è il manifatturiero, e lo è ancora di più dopo il durissimo colpo inflitto dalla pandemia al nostro settore turistico. Il manifatturiero è cruciale per il nostro export, come dimostra il fatto che macchinari e apparecchiature rappresentano la prima voce delle nostre esportazioni, e che l’export di mezzi di trasporto è la terza voce (dati 2018). I prodotti manifatturieri, nel complesso, rappresentano circa i quattro quinti di tutte le esportazioni italiane, compresi i servizi.

In Italia il manifatturiero dà lavoro a quasi 4 milioni di persone (dati 2018). E ancora, la nostra innovazione è trainata proprio dal manifatturiero, e ne è una prova il fatto che i tre settori con maggior percentuale di spesa in R&D intra muros sono la fabbricazione di macchinari e apparecchiature, la fabbricazione di autoveicoli, e la fabbricazione di altri mezzi di trasporto. Non a caso l’Italia conta qualcosa in Europa proprio grazie al suo manifatturiero, che ne fa la seconda potenza industriale del Vecchio Continente (almeno per valore aggiunto).

Questo per dire che bisogna puntare sul manifatturiero per far ripartire l’economia italiana. Il Recovery Plan e tutte le altre iniziative economiche che questo governo e i suoi successori prenderanno dovrebbero tenere nella massima considerazione le necessità e le difficoltà di un settore così essenziale per il benessere di milioni di cittadini, e per il futuro dell’intero paese.

Ma che cosa fare in concreto? Da imprenditore, ho in mente vari interventi a costo zero, da attuare immediatamente, prima della stesura definitiva del Recovery Plan.

Prima di tutto, è da ricordare che ci sono state pochissime iniziative a supporto delle PMI, e tutte focalizzate sulle PMI “tradizionali”. Il Covid-19 ha avuto un impatto sulle vendite, cioè sul fatturato, e quindi sui flussi di cassa e sui margini. I “ristori” sono stati espressi in termini di CIG. Purtroppo molte aziende manifatturiere innovative sono digitalizzate, e quindi atipiche rispetto alle PMI che abbiamo conosciuto per decenni: erogano prodotti e servizi allo stesso tempo, e non lavorano per il magazzino, ma in real-time per il cliente; la CIG, per queste nuove PMI ad alta intensità di digitalizzazione, è malamente e scarsamente usufruibile. Anche quest’ultime tuttavia incontrano enormi difficoltà, ma per loro non ci sono “ristori” adeguati; i bilanci ne soffrono in misura straordinaria ma non ci sono compensazioni “straordinarie”.

In verità nel cd Decreto Agosto era prevista una misura utile: concedere lo slittamento di un anno degli ammortamenti materiali ed immateriali (su base volontaria). Era una buona idea. Purtroppo recentemente sono uscite le norme di attuazione, che limitano questa ipotesi con paletti di vario tipo: ancora una volta lo sguardo dei regolatori non riesce ad andare oltre la visione novecentesca di industria pesante; c’è però ancora tempo per migliorare queste norme.

Da fondatore e amministratore di una piccola impresa manifatturiera high-tech, nel corso degli anni ho avuto la possibilità di lavorare con imprenditori, manager e professionisti di diversi settori industriali, e ho notato come spesso manchi alle nostre PMI manifatturiere – che sono, è bene ricordarlo, la spina dorsale del settore – un adeguato supporto tecnologico, finanziario e industriale da parte dello Stato centrale, e delle regioni. Supporto che presso i nostri competitor industriali, invece, non difetta (e non mi riferisco solo a grandi paesi come gli Stati Uniti, la Cina o il Regno Unito; anche in paesi come l’Austria o la Polonia c’è molta attenzione per le loro PMI, in particolare high-tech).

Per esempio sarebbe fondamentale aiutare le imprese manifatturiere a dialogare in modo più efficace con il mondo della ricerca. La “terza missione” dell’università, per esempio, spesso coinvolge soprattutto attori di alto livello, come le grandi aziende e le organizzazioni. La cosa è più che comprensibile, ma in un paese polverizzato come l’Italia non si possono ragionare con le medesime logiche degli Stati Uniti o della Francia. Occorre una maggior attenzione alla base produttiva del territorio, e alle piccole imprese: che hanno sì dimensioni e fatturati limitati, ma offrono un contributo decisivo a livello economico e occupazionale, e talvolta sono – nelle loro nicchie o micro-nicchie – dei campioni o almeno dei campioncini.

Il capitale umano. In Italia non ci sono abbastanza tecnici specializzati, e questo è un problema soprattutto per le PMI, dato che le grandi aziende possono offrire benefit e opportunità di carriera ben più cospicui. Bisogna da un lato supportare un nuovo tipo di formazione, che tenga conto anche dei nuovi scenari tecnologici e industriali; dall’altro aiutare i manager delle PMI a cambiare il mindset interno, e a trovare nuovi spazi e opportunità per una forza-lavoro che giustamente è ambiziosa e sa cogliere le opportunità ovunque esse siano.

Sarebbe urgente un maggior supporto finanziario alle PMI manifatturiere, soprattutto a quelle che innovano, attive nei segmenti con maggior valore aggiunto, capacità di export e potenziale di crescita e occupazione; eventualmente con meccanismi di valutazione diversi da quelli oggi in uso. In un momento complesso come questo, che fa tabula rasa di molti schemi e paradigmi consolidati, una cosa come una “banca per il manifatturiero innovativo” potrebbe essere una soluzione da prendere in considerazione. Per le sfide di sopravvivenza di oggi, e quelle della cosiddetta Industria 4.0 di domani.

Tale ipotetica banca sarebbe ancora più utile se coadiuvata – per alcuni segmenti chiave del nostro manifatturiero – da agenzie ad acta, con personale giovane e altamente specializzato, in grado di supportare da un punto di vista tecnico gli enti territoriali e i ministeri: perché un conto è occuparsi di interventi contro, che so, il dissesto idrogeologico (piaga che da sempre affligge il nostro paese); un altro, ad esempio, di microfluidica in ambito industriale. E tale supporto potrebbe tradursi anche nella messa in cantiere di progetti e micro-progetti ad alta intensità di innovazione secondo logiche di partnership pubblico-privato.

Lo ribadisco: le mie sono soltanto idee di un imprenditore manifatturiero che ne sa ben poco di macroeconomia, pubblica amministrazione o economia dell’innovazione. Tuttavia è a dir poco urgente fare di tutto per salvaguardare lo straordinario patrimonio produttivo e tecnico del manifatturiero italiano, evitando fallimenti a catena e grandi drammi umani. Perché ogni PMI manifatturiera è un tesoro di know-how, macchinari, brevetti, reputazione e rapporti prezioso ma fragile, specie di fronte a una prova di tali proporzioni.

Storicamente l’Italia ha saputo dare il meglio di sé nei momenti di crisi, e soprattutto in quelli immediatamente successivi alle crisi. Dopo le disfatte del 1848 e del 1849 ci fu il 1861. Dopo Adua e il massacro del 1898 a Milano arrivò il riformismo giolittiano. L’immane catastrofe della Seconda Guerra Mondiale fu seguita dal boom. Dopo la tragedia della pandemia perché non sperare dunque in una rinascita, morale e sociale prima ancora che economica? Sono sicuro che il manifatturiero – fucina di rigore, impegno, dedizione e creatività – può offrire al paese, ancora una volta, un grandissimo contributo.

 

La copertina del post contiene quest’immagine tratta da Pixabay.

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