Industria
Confindustria Lombardia: Giuseppe Pasini al Governo delle fabbriche lombarde nel rilancio della crescita UE
Giuseppe Pasini, presidente di Feralpi Group, grande gruppo europeo dell’acciaio e del ferro è al vertice di Confindustria Lombardia, ossia della più potente associazione industriale europea e che guida la seconda manifattura continentale
Giuseppe Pasini, presidente di Feralpi Group, grande gruppo europeo dell’acciaio e del ferro è al vertice della più potente associazione industriale europea e che guida la seconda manifattura continentale. E’ un’ottima notizia, perchè è un uomo competente e gentile, un leader integro e visionario forse ultimo di quella “generazione olivettiana” che ha saputo valorizzare il sistema Italia (e Brescia in particolare) in Europa e nel mondo. Che ha realizzato mettendo a valore la propria rappresentazione della modernità sociale della fabbrica nella sua “anima olivettiana” come bio-macchina sociale dove il razionalismo “freddo” di metallurgia siderurgica, meccanica, ingegneria ed elettronica si accoppiano con i fluidi caldi, emotivi e creativi dell’umano e delle sue organizzazioni. Una moderna espressione di azienda come istituto con un cuore manifatturiero che pur trasformato dalle onde digitali e dalla globalizzazione è rimasto incardinato nelle profonde qualità umane e sociali di una fabbrica al servizio della comunità e del benessere delle persone nel senso che fu di Adriano Olivetti e più di recente da accademici del calibro di Henry Mintzberg dell’INSEAD come connettore adattativo evolutivo tra l’organizzazione interna e l’ambiente esterno per una Governance condivisa e inclusiva.
Un connettore integrato di una fabbrica guidata da una leadership collettiva di una “squadra” – dice Pasini in alcune sue interviste anche su queste pagine – che mette in comune competenze e valori innanzitutto di impegno e responsabilità a sostegno di strategie di sostenibilità nell’interesse di tutti gli stakeholders (interni ed esterni) per la creazione di valore nel medio-lungo termine e dove il profitto è un mezzo per realizzare questo obiettivo comune. Quella sostenibilità fatta di investimenti sofisticati per recuperare quell’energia fondamentale per le fabbriche dell’acciaio (ma non solo) in un “modello circolare” che non solo consuma energia ma la produce recuperando fumi, polveri, vapore e calore mettendoli a disposizione della comunità e/o reinserendoli nel ciclo produttivo provando a contenere le emissioni di Co2, oltre che naturalmente valorizzando in modo crescente la componente primaria dei rottami sulle costose materie prime. Rendendo in questo modo compatibile una fabbrica energivora e ad alte emissioni per definizione con un capitalismo competitivo avanzato e partecipato, con sistemi urbani diffusi e densi, con i diritti di una democrazia matura. Dunque contribuendo a trattenere queste fabbriche all’interno di un perimetro europeo in competizione con quelle cinesi o indiane a bassi costi del lavoro e con meno vincoli ambientali. Fabbriche-comunità dunque come palestre di alte competenze trasformative in un contesto di solidale capacità di produrre e distribuire ricchezza con lavoro intelligente (inteso come capacità condivisa nel senso del Nobel Amartja Sen) attraendo giovani e talenti generativi di innovazione sociale e nella riduzione del gender gap. Dunque tali da essere accolte e sviluppate in un perimetro di internazionalizzazione europeo nonostante le sfide di un costo energetico 8-10 volte superiore per esempio a quello americano. Un modello di internazionalizzazione condotto dal Presidente Pasini per il Gruppo Feralpi che dovrebbe essere un modello europeo e suggerire alla Commissione UE – da qui la sua Agenda di politica industriale – una maggiore flessibilità nell’accoppiare crescita e protezione ambientale lungo traiettorie di pluralismo energetico adottando schemi pragmatici (e potremmo dire anche realistici) innervati sui binari della “neutralità tecnologica” e nella salvaguardia del welfare europeo. Perché è lungo questi binari che si potrà rimettere al centro della crescita europea nei suoi cluster diffusi di fabbriche manifatturiere quel valore intrecciato nel DNA profondo del suo capitale umano, sociale e semantico (nel senso di Floridi). Tanto più rilevante oggi di fronte alle sfide digitali e dell’AI, perché questa fabbrica manifatturiera (anche del reshoring dalle rilocalizzazioni cinesi) ci tiene incardinati all’umano, al fare e ad un “fare insieme” con regole condivise come nelle botteghe artigianali del ‘400 dove l’Italia (e poi l’Europa nascente trascritta a dorso di mulo dei benedettini tra le reti dei monasteri lungo la Grande Croce tra Baltico, Atlantico e Mediterraneo) hanno forgiato le idee dell’era industriale iniettate nel crogiuolo del Rinascimento e dell’Illuminismo. Da cui sbocceranno capitalismo commerciale prima e rivoluzioni industriali poi con la fabbrica di spilli di Adam Smith del 1771 fino alla gemmazione pochi anni più tardi della Rivoluzione Francese del 1789 e l’avvio delle democrazie costituzionali con consolidamento dei diritti della persona e della libertà e dunque l’avvio del lavoro libero e del capitalismo competitivo. Dopo che il ciclo tragico dello schiavismo prima e del colonialismo poi avevano terminato la loro terribile traiettoria storica, sociale e umana anche con la tragica coda finale del razzismo armato nazi-fascista tra le due Grandi Guerre. E’ dunque a quelle antiche radici del “fare insieme” che sembra rifarsi Giuseppe Pasini aggiornandolo nel formidabile salto di conoscenze e competenze tecnologiche che negli ultimi 50 anni hanno separato le mani dal tornio e dalla fresa (o dai forni di fusione) con i processi del digital manufacturing e ancora più negli ultimi 20 con la forza dei digital twins e del cloud computing. Separazione che non ha però reso meno umana e meno sociale quella fabbrica nonostante la diffusa robotizzazione perché – come insegna Mintzberg – il concetto di controllo è transitato nella responsabilità e incardinato nella persona rendendo il lavoro-capacità anche meno rischioso e perimetrato nella “fabbrica-comunità” enfatizzandone la funzione sociale e formativa. Ancor più rilevante in una fabbrica più orizzontale e meno gerarchica, più partecipata e inclusiva non solo nel dialogo con i sindacati ma rendendo i lavoratori anche partecipi dei risultati economici e nella Governance dell’OdL con modelli di auto-organizzazione, cioè responsabilizzando le persone ai diversi livelli dall’Amministratore Delegato al tecnico di linea verso CSR e investimenti ESG con modelli più resilienti e adattativi al cambiamento.
Crediamo dunque che questa rappresentazione della centralità della fabbrica manifatturiera e delle sue componenti sociali e comunitarie sia un valore che il Presidente Pasini potrà portare in Europa e nel mondo con quel tratto identitario di radici innervate in un “umanesimo universalistico di brescianità valsabbina” che certo è un valore aggiunto inestimabile con una visione inclusiva e una potente capacità di ascolto e dialogo per rilanciare la crescita trasformativa della “Fabbrica Lombarda” con le sue specificità sociali, tecnologiche, di competenza e di cultura del lavoro in una Europa unita e aperta al mondo. Una Europa che va integrata e rinnovata anche con una appropriata politica industriale e di mercato dei capitali, con le riforme più adatte oltre che necessarie (per es. superando il voto all’unanimità e sburocratizzando) per una nuova e più avanzata cultura d’impresa europea (che è inestricabilmente familiare e manageriale, reticolare e comunitaria) tra distretti e campioni continentali per fronteggiare con la ricchezza e varietà dei suoi territori le sfide tecnologiche, commerciali e umane (e ora purtroppo anche dei dazi trumpiani) i pachidermi di USA, Cina e India nella competitività post-globale che non potrà che essere multilaterale e multiculturale verso una nuova prosperità condivisa.
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