Enti locali
Rogo in ditta cavatori modenese, basta voltare spalle davanti a metodi mafiosi
E’ solo l’ultimo di una lunga serie di incendi dolosi divampati nel modenese. Dopo negozi (si pensi ad esempio al ‘Sole del sud’ di Nonantola meno di un anno fa), distributori (nel mirino il Q8 di via Emilia est), innumerevoli aziende agricole e svariate autovetture, sabato notte sono stati dati alle fiamme tre camion davanti alla nota azienda di cavatori Donnini di San Cesario. Dopo il clamore iniziale e le unanimi condanne questi episodi finiscono quasi sempre nel dimenticatoio (eccezione positiva è rappresentata dagli arresti di qualche mese fa per l’estorsione di Pavullo). Eppure una verità andrebbe sempre cercata per le vittime degli incendi e per l’intera comunità modenese. Per non arrendersi a una realtà sempre più spaventosa. Per non alzare le mani o voltare le spalle o – ancor più ipocritamente – per non limitarsi a sterili condanne fatte di cerimonie in date comandate, di spille, di totem e di tranquillizzanti anticorpi dietro i quali nascondersi.
Starà alle forze dell’ordine ovviamente indagare sul rogo (già una delle vittime ha evocato apertamente la criminalità organizzata), ma il caso di domenica mattina è particolarmente emblematico perchè colpisce un settore – quello dell’autotrasporto e del movimento terra – vulnerabile alle infiltrazioni mafiose e, quando non si tratta di criminalità organizzata in senso stretto, ad azioni intimidatorie messe in atto con metodi tipicamente mafiosi. L’economia che ruota intorno alle tanto contestate attività estrattive di San Cesario vale diversi milioni di euro ogni anno e – al di là delle proteste dei Comitati locali – il mondo dei cavatori ha oggettivamente una forte capacità di lobby sul mondo della politica modenese e regionale e – quindi – delle istituzioni.
E allora viene da chiedersi se – in questo settore e in quello dell’autotrasporto più che in altri – non vi sia un sistema economico che volutamente finga di non conoscere il problema, accettando quasi come fisiologica la presenza di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata o di personaggi che ne adottano i metodi. Con le associazioni di categoria silenti e occupate a mantenere le proprie strutture e addirittura isolando o denigrando coloro che sollevano apertamente il problema. Il processo Aemilia in questi mesi ha dimostrato quanto il tema sia concreto, ma – paradossalmente – la figura di Bianchini sembra essere stata presa a capro espiatorio di un intero sistema. Quasi che Bianchini debba pagare per tutti, affinchè tutto possa continuare così come è.
Cinzia Franchini
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