Imprenditori
Ferrero pagava le tasse a Montecarlo ma non ci indigna come Marchionne
Se populismi diversi convergono a tenaglia sulla stessa persona, che così diventa oggetto di contumelie sia dall’alto sia dal basso, significa che siamo in presenza di un soggetto, in questo caso Sergio Marchionne, particolarmente “attrattivo”per le diverse classi sociali. In questi anni, dediche affettuose gli sono arrivate un po’ dappertutto, sebbene le più significative siano ascrivibili a Diego Della Valle, patron di Tod’s, e a Maurizio Landini, il leader della Fiom. Oggetto, come sempre, le tasse, che l’amministratore delegato della Fiat paga in Svizzera, dove risiede da un certo numero di anni. Questa polemica è ben precedente allo spostamento della sede legale dell’azienda torinese in Olanda, questione di spessore decisamente più significativo. Dichiara Della Valle l’8 settembre del 2014: «Marchionne che vuole dare lezioni a noi italiani su cosa e come dobbiamo fare per sottolineare il suo ‘orgoglio italiano’ è una cosa vergognosa ed offensiva. Se si sente orgoglioso di essere italiano, cominci a pagare le sue tasse personali in Italia dove le pagano i lavoratori Fiat».
In morte di Sergio Marchionne, che gli auguriamo comunque una cinquantina d’anni più in là di quanto Della Valle e Landini abbiano in animo, questa storia delle tasse non pagate in Italia verrà sicuramente ricordata dai giornalini italiani sia liberali che non, a differenza di quanto è accaduto per il cavalier Michele Ferrero, al quale non una riga è stata (maliziosamente) dedicata al fatto che da anni risiedesse tranquillamente in quel di Montecarlo. E lo spunto me lo fornisce Achille Saletti, presidente della comunità Saman, il quale in un attimo di relax posta su Facebook la sua gentile provocazione: «Che buffo paese il nostro: Marchionne (Fiat) inviso ai più a causa del fatto che ha la residenza in Svizzera e ha portato il quartier generale dell’azienda all’estero. Ferrero, compianto e amato, pur avendo fatto le stesse scelte molti anni prima di Marchionne. Il primo descritto come rappresentante del capitalismo dal volto feroce e il secondo dal volto umano. Eppure ambedue (forse ancora di più il secondo) appartengono a quell’1% contrapposto al 99% di sfigati che tirano la carretta per arrivare a fine mese. La Nutella, evidentemente, rappresenta un prodotto pre-idiologico che, magicamente, cancella i peccati originali rispetto a chi, al contrario, costruisce solo macchine».
Queste parole, che mi trovano sostanzialmente d’accordo, mi hanno fatto pensare. Laddove il prodotto – in questo caso la Nutella, l’Ovetto Kinder, insomma una storia, una narrazione dell’Italia attraverso i simboli – travalica l’uomo e lo pone sullo sfondo rispetto al protagonismo del manager che pone se stesso molto prima della macchine che produce (dopo ci occuperemo della qualità del prodotto Fiat, ma con quel filo di serenità necessaria si può già concludere che sono anni che l’azienda torinese fa delle macchine che sono dei pacchi, quando proprio non le fa).
Cerchiamo allora di capire il perché di due “trattamenti” diversi, perché Marchionne ci sia così “ostile” al punto da spingere persone molto differenti tra loro, come Della Valle e Landini, a insultarlo senza la minima pietà e perché invece la storia di Michele Ferrero sia portata in palmo di mano da tutte le gazzette del pianeta. Entrambi, ripetiamo, pagatori all’estero delle loro tasse.
Il primo aspetto è che uno dei due, in questo caso Ferrero, sia “un fondatore”, la persona cioè che un giorno di moltissimi anni fa, in un’Italia completamente diversa, da costruire e ricostruire, abbia avuto a cuore innanzitutto i desideri delle persone, di tutti coloro i quali un giorno sarebbero stati clienti del suo prodotto. Ferrero aveva questo fuoco dentro, lo ha avuto per tutta la sua carriera. Lasciando stare la Nutella, consegnata ormai ai pascoli di Manitù, non si può immaginare l’Ovetto Kinder se non hai a cuore i destini della tua gente (e dei bambini ovviamente). C’è ancora una parte di cuore, grande parte di cuore, in questa operazione commerciale, aspetto che non siamo per niente disposti a concedere alla storia di Sergio Marchionne, dove il prodotto incredibilmente sembra non esistere. E quando in questi anni è esistito, quando ha dato valore, si è inevitabilmente richiamato alla grande storia passata: ecco appunto la nuova 500, declinata ormai in mille gusti, persino con Viagra incorporato. E per tornare a chi ha costruito: tutti gli sconti possibili li abbiamo fatti all’Avvocato, nipote del Fondatore, ma Fondatore a sua volta per la generazione dei sessantenni di oggi che hanno visto in Gianni Agnelli il vero simbolo della Fiat. Ecco, anche quando la storia della Fiat non è stata nobilissima, negli anni – molti – in cui ha scaricato i suoi debiti sulla collettività, noi siamo stati disposti a tenere fuori l’Avvocato dalle nostre contumelie. Il perché è presto detto: aveva stile, era un uomo estremamente charmant, di cui difficilmente un suo operaio avrebbe desiderato un decesso anche traumatico, e poi c’era la Juve di mezzo, la squadra che coagulava intere schiere di tifosi sparsi su tutto il territorio nazionale. Altri due particolari non trascurabili: sapeva guidare le macchine veloci (quel pippone di Marchionne si è schiantato appena ha preso una Ferrari in mano) ed era abitualmente circondato dalle più belle gnocche del pianeta.
Un secondo decisivo aspetto che porta Sergio Marchionne e Michele Ferrero ad appartenere a due mondi totalmente diversi non è solo la differenza di età che pure era ragguardevole. Ma soprattutto il modo di intendere la vita, la necessità da parte del fondatore della Ferrero di rimanere sempre sullo sfondo, di non apparire mai (il direttore della Stampa, Mario Calabresi, solo a morte avvenuta si è sentito nella tranquillità necessaria di raccontare l’ultimo loro colloquio), di rifiutare alla radice l’idea di poter imporre il suo punto di vista, di determinare gli altrui comportamenti, di assestare lezioni di vita, etiche e comportamentali. L’esatto contrario di Sergio Marchionne, a cui spesso l’asfissiante risvolto pedagogico ha fatto premio sulla ragionevolezza del silenzio.
Ecco perché gli italiani, che tutto sommato restano dei gran sentimentali, sono molto più disposti a perdonare una residenza all’estero come quella del papà della Nutella che non la placida dimora svizzera di quell’arrogantone di Sergio Marchionne.
Foto di copertina di PG.NETO tratta Flickr, Creative Commons
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