Cibo
Made in Italy e Nutri score. Cosa rischia il nostro settore agroalimentare?
Lo abbiamo chiesto a Lamberto Colla, esperto di sicurezza alimentare e consulente dell’ “Associazione Nazionale Dalla Parte Del Consumatore”
La tanto discussa questione riguardante il cosiddetto Nutri score, ovvero un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari ideato in Francia, quale strumento di esemplificazione del processo di identificazione dei valori nutrizionali contenuti da un singolo prodotto, sta generando non poche perplessità e malumori, tra i vertici Istituzionali italiani, alla luce della possibilità che questo sistema di catalogazione venga approvato ed adottato in ogni Stato membro della UE, con delle potenziali e gravi ripercussioni per il made in Italy e l’economia nostrana. Ma, cosa si intende concretamente con il termine Nutri score e quali sono i rischi connessi alla sua entrata in vigore in Italia e in altri Paesi europei? Lo abbiamo chiesto al dottor Lamberto Colla, laureato in Scienze Agrarie ad indirizzo Bio Tecnologico, esperto di gestione economica d’impresa e marketing e giornalista. Negli anni, ha ricoperto ruoli dirigenziali apicali in varie organizzazioni ed imprese agroalimentari nonché in ambito editoriale, fondando “Qui Parma”, il primo settimanale di attualità parmense nel 1993, e l’Agenzia Stampa Elettronica Agroalimentare “cibusonline.net” nel 2001 e nel 2013 “La Gazzetta dell’Emilia”, dove vengono pubblicate notizie ed approfondimenti del settore ambientale, agroalimentare ed approfondimenti d’attualità a vario titolo. E da ultimo, la sua attività di consulenza all’interno dell’ “Associazione Nazionale Dalla Parte Del Consumatore”.
Dottor Colla, cosa si intende propriamente con il termine Nutri score e da dove nasce l’idea ed il suo utilizzo?
“Il “Nutri score”, molto semplicemente, vorrebbe essere una modalità rapida per comprendere quali siano gli alimenti più sani.
Secondo l’ideologia anglosassone, il tutto, dovrebbe riassumersi in tre classi, ognuna identificata con un colore, proprio come un semaforo stradale, tant’è che, il nutri score è noto anche come “semaforo”. Con il “rosso” ovviamente, sono indicati gli alimenti “più grassi” e col “verde” i meno grassi, quelli più light, per intendersi. Una classificazione che soppesa la “quantità” e non la “qualità” dei prodotti e dei valori nutrizionali. Per fare un esempio: il nostro “Parmigiano Reggiano” avrebbe il rosso. Vuol dire che, per un pubblico poco informato, il “Parmigiano” sarebbe un prodotto assai nocivo. Una contraddizione estrema posto che, il Re dei formaggi, è l’unico prodotto caseario adatto all’infanzia e alla senilità, proprio per i valori nutrizionali e di alta digeribilità che possiede, adatto a celiaci e via di seguito. Alle due fasce d’età agli antipodi, invece, il cugino “Grana” non potrebbe essere somministrato in quanto contiene il “Lisozima”, una molecola così grande che potrebbe provocare uno shock anafilattico“.
Ci aiuti a comprendere meglio.
“Parlando di “grassi”, un altro esempio che spesso riporto è connesso al burro, ottenuto da affioramento delle panne del latte destinato al Parmigiano Reggiano, che addirittura contrasta l’accumulo del colesterolo “cattivo” grazie all’ equilibrio tra colesterolo e lecitina. “Elogio del Burro” , redatto dal prof. Giovanni Ballarini, è uno scritto con il quale sin dall’inizio di questo secondo millennio, abbiamo cercato di smentire le bestialità raccontate sull’argomento. Poi, un paio di anni fa, anche i ricercatori americani ci sono arrivati e allora anche il burro è stato sdoganato. “Butter is Better”. “Parlare di burro significa evocare il fantasma di un’altra parola ben più temuta: colesterolo. Scriveva il prof. Ballarini – Oggi le nuove conoscenze hanno stabilito che non è tanto importante la quantità: ma il rapporto tra colesterolo e lecitina. Se infatti al colesterolo viene affiancata una discreta quantità di lecitina, esso si trasforma in “colesterolo buono”. Nel burro ci sono 10-15 parti di lecitina per una sola parte di colesterolo.
Mi passi una battuta: dal maiale i tedeschi estraggono un solo eccellente wurstel, noi otteniamo oltre 200 diversi prodotti: dal salame, alla coppa, dal prosciutto al culatello, dai ciccioli al capocollo ecc… Sarà la semplificazione semaforica a intercettare le migliaia di qualità intrinseche frutto di tradizioni sperimentate millenarie?”.
Sembrava ormai una decisione in via di approvazione, quella di adottare il Nutri score, con una etichetta valida in tutti i Paesi UE ma, la questione, pare sia stata posticipata al 2024. L’Italia festeggia la notizia. Come mai?
“Dovrebbe festeggiare tutto il mondo, non solo l’Italia. L’omologazione è quanto di più aberrante ci possa essere,soprattutto nella alimentazione. Passi per l’abbigliamento, anche se non lo condivido, per gusto, eleganza e identificazione di appartenenza, ma per l’alimentazione assolutamente no! Ambiente, biodiversità, distintività, nutrizione e gusto del piacere di vivere, sono fattori connessi alla buona salute“.
Quali sono le perplessità dei nostri produttori circa lo strumento del semaforo alimentare?
“Il problema dei produttori è legato alle limitazioni inerenti alla produzione. Certamente i costi si assottiglierebbero di molto, ma la qualità sarebbe bassissima e un determinato alimento, potrebbe essere prodotto da chiunque.
Si pensi al Prosciutto di Parma, che scomparirebbe, resterebbe forse il marchio, ma se il suo valore oltre alla tipologia di carne, alla maestria degli operatori, in primis i macellini, non avesse quel tocco magico di salsesine che a Langhirano (PR) arriva dagli appennini, che separano le nostre terre dal mar ligure e tirreno, niente e nessuno sarebbe in grado di salvarlo. E il Culatello di Zibello, come si potrebbe produrre in assenza dell’umidità tipica delle zone rivierasche del Po, e delle cantine con il fondo di sabbia? Il genius loci, è il creatore dei prodotti tipici italiani e mediterranei. Una trentina di anni fa, il direttore della stazione sperimentale casearia della Svizzera, in un convegno parmense, ci informava di come l’emmental stesse scomparendo, in quanto aveva perso i tradizionali buchi e il mercato lo rifiutava. Scoprirono che la causa fosse dovuta alla sterilizzazione dei locali. Quella pulizia eccessiva che aveva abbattuto anche i batteri che durante la stagionatura, provocavano le fermentazioni utili a creare i “tipici” buchi. Una scoperta che è stata difficile da digerire per gli inquadrati svizzeri, ma alla quale furono costretti ad arrendersi introducendo i batteri come parte della composizione. Qualità, sicurezza alimentare e nutrizione possono andare molto ben d’accordo!”.
Quali i rischi connessi in termini di salute del consumatore?
“Partiamo dalla sterilizzazione. Un prodotto sterilizzato termicamente, vedi il latte ad esempio, consente una elevata conservazione, in quanto, sterilizzandolo, gli si consente di inibire anche le spore. La pastorizzazione, invece, non abbatte le spore, quindi la conservazione non può prolungarsi oltre i tre giorni e deve avvenire in frigo anche a confezione sigillata. Ma, attenzione, una volta aperta la confezione, le protezioni delle tecnologie adottate si annullano. Ecco quindi che, risulta indispensabile, come il consumatore debba essere informato e no (dis)informato da uno sciocco e riduttivo semaforo, tanto inutile quanto potenzialmente dannoso”.
Quali potrebbero essere, secondo Lei, le alternative valide al nutri-score?
“Da quanti anni si parla di “Consumatore Consapevole”? Bene, l’unica risposta valida è arrivare ad avere un consumatore consapevole ed una Associazione Consumatori che lo difenda dalle aggressioni delle fake news. Infine l’etichetta. Ogni prodotto deve avere una etichetta analitica, come possiamo riscontrare negli alimenti per animali. Per tale ragione, presto la mia esperienza all’interno dell’ “Associazione Nazionale Dalla Parte Del Consumatore”, per offrire una consulenza ed un informazione mirate ai cittadini che vogliono orientarsi in questo mondo così cavilloso e complicato. Se in Italia siamo riusciti a contrastare la BSE o le varie Influenze Aviarie, lo dobbiamo proprio al nostro straordinario sistema veterinario. I confini sono protetti e i nostri animali pure, proprio dalle etichette analitiche. Queste ultime, vennero introdotte nel primo terzo del secolo scorso, proprio per salvaguardare la salute degli animali che sarebbero poi stati consumati dall’ uomo.
Ecco perché, dobbiamo opporci al “semaforo”.
Che tipo di pecche palesa, oggi, il settore agroalimentare?
“Ve ne sono diverse. Ritengo che la più grave, appartenga alla imitazione dei marchi. Un ammontare di oltre 50 miliardi di euro di prodotti imitati all’Estero, una cifra che corrisponde al valore di tutta la nostra esportazione agroalimentare. Ma avete mai assaggiato un “Parmesan” a stelle e strisce o un Chianti fatto con le polverine canadesi?”.
Come tutelare il made in Italy, in prossimità delle festività natalizie?
“Siamo legati alle nostre tradizioni, a quelle dei nostri nonni. Ogni campanile ha una tradizione diversa ma altrettanto consolidata. Invece di omologarci, occorrerebbe espandere le nostre idee accogliendo tutte le diversità culinarie e comportamentali. Unire, quindi, piacere, socialità e alimentazione sicura e consapevole… in una parola “Tradizione”.
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