Imprenditori
L’esercito della giustizia e il qe
Ho fatto questo mestiere (senza offesa per i super-pro che declinano il termine come un minus quam rispetto alla parola “professione”) per più di venticinque anni, e mi permetto – dunque – di trarre qualche conclusione. Innanzitutto chiarisco di cosa si tratta, che a volte sfugge anche a me la definizione e forse un modo esatto per descriverlo non c’è.
Semplicemente, ho orientato i miei studi di giurisprudenza e ho lavorato nel mondo dell’impresa e dell’economia per tutta la mia ordinaria carriera seguente, negli ultimi 29 anni.
In un paese unico e lontano da quelli del “common law” che conduce la trasformazione del diritto in questo campo e dal quale il nostro tradizionale mondo romanistico ha acquisito, con effetti discutibili a mio avviso, la sua progressiva mutazione linguistica e lessicale. E anche alcuni schemi.
Per anni ho osservato e condiviso dinamiche d’impresa varie e singolari, come le ricette delle mille tradizioni culinarie di questa bellissima terra. Ho visto all’opera talento e creatività e mi sono meravigliato di fronte a risultati e successi voluti con caparbietà da persone straordinarie, in condizioni che li avrebbero dovuti rendere pressochè impossibili.
Insomma, ho avuto il privilegio di condividere con molte persone speciali, imprese altrettanto uniche e ho imparato a dire “si può fare”.
Lo stesso è accaduto – ovviamente – con gli insuccessi, gli incidenti, le crisi.
E oggi le crisi sono diventate tantissime, forse troppe, di sicuro un nuovo mondo al quale altrettanti professionisti guardano con interesse (nell’accezione nobile del termine, intendo).
L’impresa in Italia è la materia di cui si compone la formidabile trama della ricchezza e della prosperità, ma le sue debolezze hanno generato un tessuto tanto prezioso, quanto fragile.
Non è – però – di fisco, burocrazia, banche e politica che voglio scrivere, anche se mi piacerebbe farlo a modo mio. Ma di uomini.
Dell’esercito di uomini e specialisti che ha assunto una funzione essenziale nei processi che separano la malattia delle imprese italiane dal suo possibile epilogo: che decidono se esse debbano sopravvivere e generare ancora ricchezza, o morire e distruggere per sempre il valore del paese.
Non parlo di Tribunali e Giudici.
Ma dei professionisti a cui Tribunali e Giudici affidano una parte essenziale delle loro decisioni. Gli uomini e le donne a cui rimettono la percezione dei problemi, la conoscenza delle cause e l’idea stessa della “seconda occasione”.
Un seconda occasione, infatti, servirà al Paese per trasformare l’anatema impietoso del Covid e dei suoi plurimi e consecutivi lock-down in un’opportunità.
Senza fiducia nessun Piano avrà successo e le molte risorse che si sono predisposte non potranno un granchè.
Le imprese italiane sono state l’avventura di imprenditori unici.
Concedere ad esse ed a Questi una seconda occasione è un imperativo morale, una necessità etica e forse anche una scelta spirituale. Di certo è questione di umanità.
Moltissimi di loro hanno resistito dove nessun altro lo avrebbe fatto, altri hanno già affidato ai Tribunali gli effetti di questo evento planetario, tradotti in crisi commerciale, produttiva, finanziaria ed economica.
Adesso è il momento dell’esercito della Giustizia.
Il tempo dei capitani a cui Giudici di ogni luogo chiedono di comprendere, riferire e presagire.
Molti ne conosco e molti ne ho conosciuti e, non me ne vogliano, ho un suggerimento per loro.
Non si trasformino, come è possibile che accada, nel braccio implacabile del potere, mutuato da chi lo detiene per ruolo e lo condivide per equità.
Ricordino sempre di essere stati e di essere ancora uomini e donne che hanno fatto e fanno il mio stesso “mestiere” e – dunque – hanno visto idee originali realizzarsi contro ogni avversità, imprese riuscire dove non era scontato che accadesse, hanno condiviso e sostenuto idee nuove, contribuendo a trasformarle in realtà e successi.
Non si tratta di un invito ad essere superficiali e tantomeno irresponsabili; sappiamo (tutti noi) che ad ogni “seconda occasione” corrispondono sacrifici e rinunce per altri uomini ed altre imprese.
Al contrario, è l’auspicio che sappiano davvero onorare la fiducia e la responsabilità che è attribuita loro in questo momento così delicato e importante.
Ricorrendo a tutta la loro competenza, alla conoscenza, all’intelligenza di cui hanno certamente dato prova per essere in quelle vesti, consegnatari di quel ruolo.
E per questo non si sentano diversi e separati, maggiori tra gli altri e unici depositari del rigore e dell’imparzialità, ma ricordino a sé stessi di guardare solo un po’ più in là, alle persone.
I Giudici e i Tribunali hanno già dimostrato maturità e al contempo libertà di giudizio.
Al loro esercito chiedo di ricordare quando, anche di fronte ad un’impresa mai tentata prima, hanno pensato “si può fare”. Anche questa, in fondo, è un’impresa difficile e possibile.
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