Imprenditori

Corruzione italiana: non solo i politici, anche l’impresa è infetta

16 Aprile 2015

Un amico questa mattina ha postato su Facebook una mail ricevuta da un partner di lavoro armeno: “We are familiar with the corruption of the italian companies, it is well known all over the world but we had no idea of such an attitude to us”. Ipse dixit, l’armeno….

È il momento di uscire dalla ipocrisia, la corruzione è anche privata. In tutte le classifiche mondiali l’Italia figura ai primi posti per diffusione della corruzione e quotidianamente ne esorcizziamo la esistenza grazie ai giornali che riportano innumerevoli notizie di corruttele, disastri, crolli arresti e dimissioni che riguardano i rapporti tra imprese, tecnici della Pubblica Amministrazione, esponenti politici di ogni livello, associazioni e cooperative; cioè tutto il grande mondo abituato a muoversi on the border in considerazione del fatto che più della metà della ricchezza distribuita viene intermediata dal bilancio pubblico e un altro buon 30% deriva da settori regolamentati. Ma sia chiaro che cosí facendo solo esorcizziamo il problema perché non vogliamo ammettere, in primo luogo con noi stessi, che la corruzione è un fenomeno che riguarda anche, e largamente, il settore privato. I rapporti che si instaurano tra imprese e imprese, elegantemente B to B, e cioè il rimanente 25% di mondo degli affari che, essendo in concorrenza dovrebbe essere esente da quelle pratiche si comporta esattamente come il resto della società “politica” alla quale non risparmia feroci critiche.

È bene che pur con sofferenza noi imprenditori si accetti che non esiste un confine e che anche nelle aziende private, nelle nostre aziende, da sempre ma negli ultimi tempi con progressione impressionante, la corruzione è un elemento radicato con conseguenze sempre sottovalutate ma che, uccidendo il merito e la competizione uccidono l’innovazione e alla lunga l’azienda. Non dipende dalle dimensioni aziendali giacchè, pur maggiormente diffuso nelle grandi aziende, è ben presente anche nelle medie e nelle piccole; non dipende nemmeno dai settori merceologici perché vale nella edilizia quanto nelle forniture ad alto tasso di silicio; e non varia nemmeno tra settore distributivo, credito o manifatturiero. È invece quella particolare forma di guicciardiniano particulare nella sua eterna lotta con la strategia machiavellica che prevale, anche senza voler fare qui del travaglismo una bandiera.

Legioni di prepensionati bancari mantengono saldi e a loro utili rapporti con ex colleghi, pratiche rifiutate allo sportello e ripresentate pari pari tramite l’intermediario trovano benevolo sguardo; ovviamente il servizio si paga e, anzi, il vantare questi rapporti particolari è elemento qualificante per raccogliere clienti. Procedure amministrative elementari offrono grandi “opportunità”: la registrazione o meno di una fattura o le disposizioni di pagamento all’interno di una grande azienda in favore di un fornitore richiedono rapporti e orecchio allenato a percepire le suggestioni dell’interlocutore. Buyer non italiani si fanno paracadutare per qualche tempo nella filiale italiana dove sono possibili “procedure” che nella azienda madre verrebbero duramente sanzionate. Le occhiuta analisi sui fornitori sottoposti alla 231 (che meriterebbe un capitolo a se stante) favoriscono la interposizione nella relazione di fornitura di “aziende già da noi qualificate”.

Il merito, la capacità di innovazione, la possibilità di entrare e uscire da catene industriali diverse portando nuove energie da cluster più avanzati è scoraggiata dalle logiche di protezione territoriali, familiari, tribali tenute insieme da collusioni non gratuite. E anche grandi operazioni industriali e finanziarie, al di là dei lauti compensi delle società di servizio, offrono occasioni dalle quali i vertici aziendali non sanno sottrarsi. Non si creda che queste siano cose senza ricadute su ognuno di noi, singoli cittadini: capita che la stecca favorisca fornitori e collaboratori non all’altezza, che il guaio si trasferisca sul prodotto, che poi sul mercato il prodotto si inchiodi e l’azienda rischi, come è giusto, di finire a gambe all’aria. Ma capita anche che questa azienda abbia magari forza e dimensione per presentarsi al sindaco, al sindacato e tutti insieme al governo additando come ragione della sua scelta di abbandonare l’Italia il costo del lavoro o altre magagne (pur vere e credibili ma non ragione della disfatta commerciale) e possa ottenere con soddisfazione di tutti tranne che della nostra irpef le opportune condizioni di favore per garantire la permanenza e la occupazione.

Vi sono reazioni a questi comportamenti? È difficile perché la corruzione anche tra privati funziona dannatamente bene e se a volte serve per ottenere posizioni fuori mercato altrimenti impossibili essa diventa umiliante, certo, ma efficace nel momento in cui devi accedere a cose che se non definibili come “diritto” sarebbero comunque dovute, sia per meriti che per normale relazione, come può essere un pagamento.

Ma manager e imprenditori non dicono nulla? Ecco due categorie che tali non sono perché non riportano a valori collettivamente condivisi ma a profili individuali e sí, alcuni ci provano. Come in finanza moneta cattiva scaccia moneta buona, manager e imprenditori hanno spesso altro da fare che inseguire singoli casi, magari considerati fisiologici, e qualche volta ritengono che punirne uno sia un esempio valido poi per tutti.

Ma non funziona così. La corruzione si batte solo se una cultura aziendale positiva diventa pervasiva ad ogni livello, se lo spirito interno sanziona i comportamenti senza  omertà. L’errore di molta parte del gruppo dirigente è chiudere un occhio, tutti e due, vedere e non fare o essere inefficaci nel fare. Lo storico “familismo amorale” del Paese è la cosa con la quale dobbiamo rapidamente rassegnarci a fare i conti: se non riusciamo ad reintrodurre elementi virtuosi nei comportamenti aziendali, se vediamo la 231, pessima legge, come un adempimento formale come gli altri noi saremo sempre a posto con la documentazione e questa finzione farà sentire a posto anche la coscienza individuale. Ma distruggerà il tessuto connettivo del Paese, le sue speranze, l’idea che il merito conti e sia metodo e obbiettivo e, in ultima analisi, l’idea che lo stare insieme sia uno straordinario strumento di solidarietà, opportunità e giustizia sociale. Grande è la nostra responsabilità giacché la politica non sembra in grado di farsi carico della propria ma capacità di reazione se ne vede poca. Anzi, zero.

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