Imprenditori

Il caso GKN e il gioco dell’imprenditore buono e quello cattivo

24 Dicembre 2021

Mentre aspettiamo la liturgia di “Una poltrona per due” che lega la speculazione finanziaria alla notte di Natale ed al lieto fine, sembra irrompere la notizia di un lieto fine a un’operazione di speculazione che ha stritolato una fabbrica, GKN della piana fiorentina, con i suoi lavoratori dentro. Purtroppo la realtà prosegue oltre Natale, e i termini del lieto fine del caso GKN non sono chiari. E anche i meccanismi del lieto fine sono molto più complessi di quelli del film, anche per uno che insegna i meccanismi della finanza (e della speculazione) come il sottoscritto. Cerco di spiegare qui i miei dubbi, senza pretesa di conoscere i dati di dettaglio del caso, ma ipotizzando due possibili scenari.

Cominciamo dallo scenario da libro di testo, o da lezione. Un’impresa è in difficoltà finanziaria e chiude, perché lasciare operare l’impresa produrrebbe perdite. In questo caso intervengono fondi di private equity (che in questa accezione chiamiamo anche “fondi avvoltoio”) che rilevano l’impresa a prezzi di saldo, e appaltano la ristrutturazione a dei “servicer”. Questi ultimi impiegano dei manager, ristrutturano l’impresa, tagliano i rami che generano le perdite. Alla fine l’impresa riparte, e i fondi si prendono un lauto guadagno. Dentro tutto questo ci sono uomini e vite che possono attraversare questo processo, che in gergo è chiamato il “turn-around”, o che ne  possono essere espulse. Fuori dal processo produttivo ci dovrebbe essere un sistema di riqualificazione della forza lavoro e ricollocamento.

Ma il caso GKN non è da libro di testo, o forse si trova in un capitolo diverso. I lavoratori sostengono che l’azienda è profittevole, e sembra sostenerlo anche il “cavaliere bianco” che è comparso alla vigilia di Natale. Un cavaliere bianco di provincia, in un mercato fatto di grandi nomi internazionali, che non si capisce se sia un “avvoltoio” o un “servicer”, tutt’e due o nessuno dei due. La logica ci induce a ritenere che non sia un fondo avvoltoio perché non risulta che abbia comprato a prezzi di saldo GKN. Anzi, secondo quanto scrive Il Sole 24 Ore avrebbe addirittura avuto l’incarico di advisor da Melrose, proprietaria di GKN.

Non è neppure un “servicer” perché non pare voler mettere le mani nella ristrutturazione dell’impresa. E’ solo sicuro che la nuova fabbrica non proseguirà l’attività nello stesso settore industriale (“automotive”) e che si lancerà “in settori che volano, come la farmaceutica e le energie alternative”. E garantisce che verrà mantenuta la stessa forza lavoro, che passerà da un settore all’altro come se fosse una “commodity”. Come se domani io trovassi un nuovo direttore di dipartimento che mi dicesse che da ora in poi non mi devo occupare più di finanza (che è cattiva), ma di filologia romanza, ed io senza problemi cominciassi a pubblicare saggi e articoli nelle migliori riviste della nuova disciplina.

Siamo senz’altro in un altro capitolo di un libro di finanza, quello del problema dello “short-termism”. Per ora la nuova mossa certifica che i lavoratori hanno ragione, e i proprietari di GKN l’hanno acquisita e dismessa per un fine speculativo di breve periodo. Se invece hanno perso dei soldi, ci facciano sapere a quale sconto l’hanno rivenduta al nuovo proprietario. Nel caso che abbiano estratto valore dall’azienda, il nuovo proprietario ci spieghi perché deve essere riconvertita verso settori così diversi, sebbene à la page. Senza queste informazioni, ci viene da pensare che siamo di fronte a un caso inedito di imprenditore buono e imprenditore cattivo, che però perseguono lo stesso fine. Insomma, il cavaliere bianco agirebbe per conto del cavaliere nero.

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. E ci viene da pensar peggio leggendo la morale che il cavaliere bianco dichiara di voler trarre dalla vicenda, quando afferma che: “non è bloccando le multinazioniali che si possono affrontare le delocalizzazioni. Gli atteggiamenti punitivi non servono: queste imprese sono equiparabili agli Stati per forza e dimensione, se prendono una decisione non tornano indietro.” Dichiarazione non richiesta e incauta, anche perché nel caso in questione abbiamo un fondo speculativo. E allora invitiamo tutti, i cavalieri bianchi e neri, gli operai e soprattutto chi debba scrivere norme (o attuare politiche anche al di là delle norme) su delocalizzazioni speculative a guardare ancora “Una poltrona per due”. Esattamente la scena in cui Ballantine dice: “la cosa peggiore che puoi fare a un ricco è renderlo povero”.

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