Imprenditori
Expo non è solo lavoro gratuito: un “modello Milano” di cui non parla nessuno
Verso la fine della puntata, di solito, Report apre la rubrica “come sono bravi gli altri e come siamo scarsi noi”, e va a fare un giro nei paesi nordici e socialdemocratici, dove usualmente tutto rintocca come un orologio. Inevitabilmente tu spettatore italiano della domenica sera post-Littizzetto fai il confronto col caos non creativo che ci contraddistingue e ancor più depresso affronti la settimana a testa bassa; anzi, a capo chino.
A volte pure qui succede qualcosa di sorprendente; chi fosse entrato nella sala commissioni del comune di Milano, l’altro giorno, si sarebbe trovato di fronte a sindacati, azienda, enti locali, che si complimentavano vicendevolmente. Naturalmente, avrebbe cercato la magagna nascosta: e, questa volta, non l’avrebbe trovata.
Dopo un lungo processo di gestazione, presa di misure reciproche, tentativi di forzature varie, pure provenienti dalla politica, Comune, società Expo spa e parti sociali, sembrano avere al momento trovato una quadra, sotto forma di accordi, che permetta di gestire i prossimi mesi con soddisfazione reciproca e, soprattutto, degli aspiranti lavoratori nel bacino dell’Esposizione universale.
Le statistiche sullo stato dell’occupazione sono in parte bugiarde, perché la crisi pare assorbire le occasioni che si vanno creando, ma è un fatto che, al di là di previsioni forse troppo ottimistiche circolate in precedenza, i posti di lavoro che si attiveranno, da indotto diretto solo sul sito, al 1 maggio 2015 saranno oltre 32.000. Niente di che lamentarsi, di questi tempi.
Ovviamente il problema è complesso; per questo la collaborazione di tutte le parti è apparsa fin da subito centrale: Expo sarà un avvenimento, per sua natura, episodico, e quindi il lavoro, oltreché flessibile, sarà limitato nel tempo. Saranno coinvolte imprese di Paesi diversi, con diritti del lavoro differenti sia in ambito europeo sia, a maggior ragione, extraeuropeo. Le stesse imprese dovranno uniformarsi a criteri omogenei e per garantire che questo avvenga è stato necessario approntare un sistema di controlli appropriato.
Inoltre, si sperimenterà un accordo favorito dal Comune di Milano con le parti sociali, che consentirà ad Expo di assumere persone in cassa integrazione, provenienti da alcune crisi aziendali conclamate del territorio. Questo permetterebbe a chi viene assunto di sospendere l’ammortizzatore sociale per poi recuperarlo in seguito, alle aziende in crisi di “alleggerire” la gestione degli esuberi e di non rendere obsolescenti le competenze, allo Stato di risparmiare risorse sugli ammortizzatori. Tutto ciò prosegue un lungo lavoro di condivisione di protocolli tra le parti che contemplano, tra l’altro, la cosiddetta “clausola sociale”, ossia l’impegno da parte dell’azienda (in questo caso Expo spa, altrimenti le imprese coinvolte in gare pubbliche) di “pescare” dalle liste di cassa e mobilità il 10 per cento delle persone da assumere.
Naturalmente, questo è solo l’antipasto; al momento il tema della sicurezza sul lavoro è, fortunatamente, sotto controllo; nonostante quanto si legge, le infiltrazioni negli appalti diretti (diversamente da quelli già esistenti per opere indirette agganciate al traino dell’Esposizione), non sono tali da non essere gestibili. Certamente, poi, occorre lavorare perché i posti che si creeranno non si disperdano una volta conclusi i sei mesi dell’evento. E, tuttavia, l’esito di questa collaborazione incuriosisce. In particolare in questo momento.
Nel frattempo, da Bergamo, arriva la notizia che la Cgil trasporti, in accordo con le altre sigle, ha avanzato la proposta, ben accolta dalle controparti, di un “”patto per expo” che prevedrebbe la sospensione degli scioperi nel frenetico periodo dell’Esposizione, in cambio di un tavolo di negoziazione che metta qualcosa in tasca ai lavoratori dei trasporti.
Gli enti pubblici sono accusati di incapacità nel gestire ogni processo, i corpi intermedi sembrano impenetrabili all’innovazione e nulla più che un inutile ingombro, le grandi aziende (pubbliche e private) appaiono – e a volte sono – luogo di corruzione e malaffare, così come ogni opera pubblica più grande della ristrutturazione di un solaio. Alcune questioni, però, sono complicate e non si risolvono con affermazioni brevi, decise e assertive, ma con la collaborazione di tutti.
Una volta tanto, un buon esempio si verifica pure da noi, e vale la pena registrarlo; forse la riscoperta di un sano pragmatismo ambrosiano chiuderebbe le puntate con la “buona notizia”, diciamo, alla scandinava.
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