Imprenditori

Cifarelli: una vita fra Confindustria, impresa e radio, sulle note di The Boss

20 Luglio 2021

Seguo Renato Cifarelli dai tempi de I conti della belva, programma radiofonico con Oscar Giannino, Carlo Alberto Carnevale Maffè e Mario Seminerio. Gli ho proposto un’intervista per fargli raccontare tutto quello che fa, dai suoi tanti ruoli professionali sino alle sue passioni. CEO di Cifarelli SpA, founder di FoolFarm, impegnato in Confindustria e oggi co-conduttore del podcast Don Chischiotte sempre con Oscar Giannino e Carlo Alberto Carnevale Maffè. Tre passioni in particolare: l’Harley Davidson, il rock e la fotografia.

Segui molte attività e ha tante passioni, ci sono però dei punti fermi che accomunano tutto: la famiglia, l’innovazione e il senso di libertà. Come fai a far conciliare tutto?

Molto spesso non ci si riesce, fortunatamente anche la famiglia è appassionata di innovazione, probabilmente somigliamo a mio padre, che ha fondato l’azienda. Lui è sempre stato un grande appassionato di prodotto, all’inizio smise di produrre gli atomizzatori per i trattori, una macchina grande, posizionata sopra il trattore, perché considerata poco tecnologica, non si divertiva più ad assemblare componenti prodotti da altri. L’innovazione è sempre stata il cuore pulsante della nostra azienda, essendo una piccola realtà (ci sono aziende, leader di mercato che sono 300 volte più grandi) abbiamo sempre cercato di fare qualcosa di diverso, qualcosa che risolvesse il problema. La libertà invece è rappresentata dalle nuove sfide, uscire dalla zona di comfort. Se una persona vuole stimolarmi a fare qualcosa di nuovo, deve propormi qualcosa che non ho mai fatto, in questo caso accetto volentieri, è un modo per crescere, molto spesso faccio cose nuove per una finalità. L’avventura in radio, ad esempio, nasceva per migliorare l’uso della mia voce e per acquisire una maggiore capacità di parlare in pubblico. Al telefono ho una voce che non rende, ha spesso un tono non gradito al mio interlocutore, quasi mi stesse disturbando, questo anche quando parlo con mia figlia. La possibilità di migliorare l’uso della mia voce, per imparare a controllarla meglio, è stato uno dei motivi che mi ha convinto ad accettare l’avventura in radio.

Partiamo dall’attività che ti rende un personaggio pubblico. Per anni insieme a Oscar Giannino, Carlo Alberto Carnevale Maffè e Mario Seminerio hai condotto, prima su Radio24 e poi su Radio Capital il programma I Conti della Belva. Da quest’anno invece avete lanciato un nuovo progetto podcast Don Chisciotte. Come nasce la collaborazione e l’amicizia con Oscar Giannino e con Carlo Alberto Carnevale Maffè?

Carlo Alberto è stato la prima persona che ho conosciuto, in quanto entrambi appassionati di innovazione, in tempi passati succedeva che le persone che si incontravano virtualmente nell’agorà pubblica dei social network, poi decidessero di conoscersi di persona in forza di interessi comuni. Oscar lo conobbi più tardi, ai tempi della sua avventura “Fare, per fermare il declino” iniziativa a cui partecipai, in quanto chiamato dal cosiddetto gruppo degli americani, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Morro… amici di vecchia data. Allora Oscar mi chiamò chiedendomi di fare un intervento un sabato, in radio, in compagnia di Carlo Alberto, come ospite della nuova trasmissione. Accettai con entusiasmo e venni chiamato anche durante le trasmissioni dei sabati successivi. Dopo alcune puntate pensavo di aver esaurito la mia parte, il punto di vista di un imprenditore che interveniva sui temi legati alla burocrazia, al mondo delle imprese, telefonai quindi a Oscar per informarlo del fatto che la mia presenza potesse oramai essere considerata non più necessaria. Oscar invece mi confidò esattamente l’opposto, aveva intenzione di propormi di far parte, in pianta stabile, della trasmissione, compatibilmente ai miei impegni. Ci pensai su, come detto mi piacciono le sfide e soprattutto le novità, decisi così di accettare.

Quanto c’è de I Conti della Belva in questo nuovo progetto e quali sono le novità?

Noi da Radio24 siamo stati allontanati per una serie di motivi di linea editoriale. Voglio essere politicamente corretto: la nostra linea editoriale impattava con quella di Radio24. Abbiamo poi trovato ospitalità a Radio Capital, fino al cambio di proprietà che ha portato Linus a essere responsabile della programmazione radiofonica e a fare scelte diverse, comprensibili dal suo punto di vista. Una programmazione in gran parte differente, che ha sacrificato, non solo noi, ma anche altre trasmissioni e altri giornalisti. I Podcast rappresentavano un mercato in forte crescita e decidemmo così, investendo direttamente, di iniziare questa avventura per dare continuità alla trasmissione. Consideriamo la formula podcast come una piattaforma per iniziative future, abbiamo idee, portiamo con noi l’esperienza dei Conti della Belva e parte del vecchio team. Mario Seminerio ha fatto scelte diverse, in totale serenità, aveva aspettative differenti e ha creato un podcast personale, che pare stia andando molto bene. Abbiamo cercato di cambiare un po’ il linguaggio, la radio ha un linguaggio diverso, stiamo cercando di imparare quello del podcast. Rimane lo spirito di fare approfondimento, a noi non piacciono le cose troppo urlate, una delle regole tra noi è stata quella di urlare meno e fare meno polemiche, anche se a volte qualcosa scappa. Fare un approfondimento con persone, ospiti che possano dare un contributo alto e che soprattutto possano avere la possibilità e la libertà di parlare, di esprimere totalmente i loro concetti, a differenza dei tempi televisivi e radiofonici, dove invece i tempi sono contingentati. L’obbiettivo è quello di offrire agli ospiti uno spazio per approfondire argomenti di attualità, in modo competente. Questo non vuol dire necessariamente che l’ospite debba essere d’accordo con la nostra linea, con le nostre idee. Il nostro scopo è divulgare quella che può essere una posizione, che può essere contestata e contestabile. Il professor Barbero, nostro ospite in passato, ad esempio ha posizioni completamente opposte alle nostre, si definiva un Comunista vero che con i Liberisti, come noi, ha poco a che fare. Questo non toglie la sua competenza e il piacere di starlo e di farlo ascoltare al nostro pubblico.

All’interno del progetto, hai anche un podcast tutto tuo, Sancho Panza, dedicato alle realtà imprenditoriali. Un viaggio nella piccola industria del nostro Paese. Qual è lo scenario che ti si è presentato davanti in questi mesi di pandemia?

Guardando i dati, l’industria è quella che ha tenuto meglio, in molti casi si è cercato anche di proteggere le persone, facendole lavorare i ambienti protetti. Noi non abbiamo mai chiuso, anche perché una delle macchine da noi prodotte serviva per la sanificazione, con richieste di mercato naturalmente superiori alla media.  Abbiamo fatto lavorare i nostri collaboratori, attenendoci scrupolosamente a tutte le norme di sicurezza previste. Penso che molte delle aziende, che sono andate in difficoltà durante la pandemia, spesso erano già sofferenti anche precedentemente. Non dimentichiamoci che molte aziende erano già in crisi, gli aiuti come il ricorso alla casa integrazione e la sospensione di alcune uscite finanziarie, in seguito alle moratorie ottenute, hanno concesso una boccata di ossigeno. Purtroppo alcune di queste entreranno in difficoltà, una volta cessato il blocco dei licenziamenti. Molte aziende non sono state in grado di adeguarsi al cambiamento iniziato dodici anni fa, chi è stato virtuoso dal punto di vista digitale, ha subito meno il passaggio al lavoro agile resosi necessario in questi ultimi periodi. Il mio podcast nasce con l’obbiettivo di diffondere una maggiore cultura aziendale. Esistono molte persone che non si rendono conto delle problematiche che quotidianamente un imprenditore deve affrontare, per gestire la propria impresa, Nasce così l’idea di raccogliere qualche testimonianza di colleghi che possano fornire nuove idee, spiegare le sfide da affrontare per mantenere la propria azienda sul mercato.

Da Imprenditore e soprattutto da Business Angel qual è la tua esperienza personale di questo ultimo anno e quale consiglio ti senti di condividere con  “i tuoi colleghi”?

In genere cerco di non dare consigli, la cosa più diffusa nel nostro Paese è dispensare consigli agli altri su cosa debbano fare, sono più propenso a dare il buon esempio, soprattutto su cose che faccio e che conosco. Il consiglio che posso dare ai colleghi è quello di studiare, la contaminazione ci può portare a lavorare meglio e da qui nasce la mia esperienza di Business Angel, che vuol dire aiutare i giovani in nuove iniziative le cosiddette start up. I Business Angel investono nella parte seed, nel seme dell’azienda. L’iniziativa è appena partita, ha bisogno di risorse finanziarie per finanziare la propria crescita, ed è qui che intervengono i Business Angel. Molte aziende famose sono nate in questo modo: idea, autofinanziamento, prime risorse esterne di sostegno (Business Angel), interesse di grandi fondi. È importante aiutare i giovani a portare avanti la propria idea, da un lato può poi diventare remunerativo, pensiamo ad esempio a chi ha investito nella parte seed di Amazon. Non è questo però l’interesse che mi muove. Posso dire che ho la fortuna di verificare e di scoprire molte nuove idee imprenditoriali. Eticamente un Business Angel non può appropriarsi di un’idea di una start up, ma da idea nasce idea, che può diventare poi utile come spunto per la propria impresa.

La storia della vostra azienda è anche una storia di famiglia, la Cifarelli SpA, fondata dai tuoi genitori, ora è guidata da te e da tuo fratello e proprio l’anno scorso, avete riacquistato le quote, che ora vi permettono di riavere la proprietà al 100%. Una bella soddisfazione immagino. Cosa ne pensi del cambio generazionale in un’azienda familiare? Anche le tue figlie lavorano con voi?

Sono entrato in azienda da quando l’azienda aveva dieci anni e ci lavoro da quaranta, posso quindi definirmi di una generazione e mezza. Mio padre aveva come grande pregio quello di responsabilizzare le persone e di non essere affatto geloso delle loro scoperte e delle loro attività. Lo definisco un imprenditore per caso, era un artista fondamentalmente, era un pittore e da lì che nasce la mia passione per l’arte e quella di mio fratello per la fotografia, che poi diventa per lui una professione. Mio padre non ha mai avuto l’ambizione di fare una grande azienda, mentre io ero convinto che una piccola impresa avesse difficoltà poi a rimanere con successo sul mercato, lui, per questo, a volte, contestava la mia volontà di farla crescere velocemente. Il proliferare di normative, leggi e regolamenti ci costringono oggi ad una risorsa dedicata, cosa che venti anni fa non era necessaria, ecco perché a volte si è costretti a crescere. Mio padre preferiva occuparsi del prodotto, era orgoglioso che il prodotto da lui ideato potesse trovare spazio nel mercato e funzionare, magari meglio, di quello dei suoi concorrenti. Non era affatto geloso della parte gestionale dell’azienda, per cui ha lasciato a me e a mio fratello ampi spazi. Abbiamo sempre chiesto il suo parere, errori ce ne sono stati e lui ce li ha, volutamente, lasciati commettere, per fortuna non tali da compromettere il futuro dell’azienda. Abbiamo cercato un partner per crescere. La cosa poi non è proseguita, un po’ per l’avverarsi della pandemia, che ha reso le aziende quotate, come il nostro partner, maggiormente attente e prudenti e un po’ per una questione culturale differente tra i due attori, molte cose funzionavano e altre meno. Abbiamo così riacquistato la quota inizialmente venduta. Da qui nuovi investimenti e potenziamento manageriale. Per la prima volta entra in azienda una delle mie figlie. Ho sempre consigliato loro un’esperienza all’esterno prima di entrare, ho cercato di fargli capire l’importanza del ruolo poi da ricoprire, che non doveva limitarsi a lavori impiegatizi, ma aspirare ad un ruolo di leader, per vincere i pregiudizi dell’essere la figlia di uno dei titolari. Da imprenditore e da genitore, riconosco la necessità di lavorare maggiormente sulla nostra parte culturale, ci dobbiamo domandare in primo luogo se i nostri figli hanno veramente la voglia di prendere in mano le redini dell’azienda e fare l’imprenditore, un ruolo complesso che richiede attenzione sette giorni su sette, 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno, perché chi fa questo lavoro non smette mai di pensare, ripercorre la giornata passata e analizza le strategie di domani. Richiede una dedizione continua e bisogna esserci portati. È un ruolo di responsabilità, quello di sostenere i collaboratori e le proprie famiglie, con il lavoro offerto. Ci sono imprenditori che finanziano la propria impresa e si indebitano per sostenerla, anche quando non c’è più nulla da fare. Anche le aziende possono avere un ciclo ed è poco consigliabile tenerle in vita quando questo finisce. Nelle nostre trasmissioni le chiamiamo aziende zombie, strutture che perseverano nell’attività, sacrificando enormi risorse per prolungare una fine già scritta. Tornando al passaggio generazionale, non sta scritto da nessuna parte che un figlio voglia proseguire nella gestione dell’impresa generata dal genitore, uno dei motivi che mi avevano spinto a cercare un partner, era il dubbio che le mie figlie non avessero voluto entrare in azienda. Quindi è importante un’evoluzione culturale del genitore: farlo entrare in azienda se ne ha voglia, lasciarlo lavorare, anche sbagliare, investire sulla sua formazione e misurarne le capacità, con l’onestà di ammettere che la cosa potrebbe anche non funzionare.

Sei socio fondatore dell’Associazione Copernicani, vuoi raccontarci cosa fate? A livello di innovazione e digitale, secondo te, quale sarà la prossima grande rivoluzione?

L’Associazione nasce come output di un gruppo di parlamentari, fondatori di un gruppo interparlamentare sul tema dell’innovazione, soprattutto digitale. Gli stessi aggregano un gruppo di amici interessati allo stesso tema. Obbiettivo fare lobby e indirizzare, ove possibile, la legislazione alla questione, oltre a diffondere la cultura della trasparenza e dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione. Un esempio è la realizzazione del sito in cui ognuno può andarsi a vedere  il budget dello Stato in modo interattivo, si tratta di un software che ha origine da un programma realizzato a Taiwan, riapplicato a nostra misura, per permettere di navigare nel bilancio dello Stato. Abbiamo trovato favorevole e collaborativo il Ministero delle Finanze, che ci fornisce i dati in modo open, noi poi realizziamo tutto il software di interrogazione. Disponiamo poi le richieste di accesso alle informazioni, con la collaborazione di un team di avvocati, che ci permette di fruire ad esempio dei dati Agicom, che sono pubblici e finalmente fruibili, dopo la nostra richiesta di accesso. Cerchiamo di diffondere la cultura dell’open innovation. Siamo anche appassionati dei sistemi di voto, ci piacerebbe preparare dei pacchetti per i partiti e le organizzazioni politiche, che consentano di avere minori cordate. Noi abbiamo un processo di elezione del vertice che è abbastanza complicato e difficile da comprendere, deriva dal processo di elezione del Doge di Venezia. È un sistema che alterna elezioni ed estrazione a sorte. Una prima scrematura viene fatta attraverso la votazione, per avere una base candidati meritocratica mentre nel secondo passaggio metà dei componenti è eletta e metà estratta a sorte.

Le votazioni avvengono con il metodo del Majority Judgement che premi i candidati meno divisivi rispetto a quelli più votati. L’attuale votazione del nostro sistema politico, premia chi ha una maggiore visibilità, fornita spesso da televisione, radio ecc. Non abbiamo oggi un sistema che premia colui che è meno divisivo, alla fine votiamo chi urla di più le cose a noi gradite.

Vorrei chiudere l’intervista, citando un tuo grande idolo, Bruce Springsteen. “Quando mi dissero siediti, io mi alzai” (da Growin’ Up) C’è stato nella tua vita un momento in cui qualcuno ti voleva seduto e invece tu ti sei alzato?

Più di uno, direi moltissimi, perché quello che ho sempre cercato di fare è stato portare avanti le mie idee, pur nel rispetto degli altri. Ho sempre cercato di fare cose nuove per uscire dalla cosiddetta comfort zone, il che vuol dire avere il coraggio delle proprie idee, anche quando questo è scomodo. Mi è capitato, a volte, alzandomi, di trovarmi poi da solo, i Conti della Belva a Radio24 ne è un esempio: “stai seduto” e invece noi ci alziamo, posti davanti alla scelta di non dire certe cose, abbiamo disatteso la richiesta, affrontandone le conseguenze, come quella di essere disallineati dalla linea editoriale della radio, con la conseguenza di abbandonare la trasmissione. Bruce Springsteen con la canzone Growin’ Up racconta la crescita, come una persona cresce, se ha il coraggio delle proprie idee, non nel senso della ribellione, ma semplicemente dichiarando, coraggiosamente, le proprie idee. E’ una citazione alla quale sono molto legato.  Ricollegandomi al podcast, noi sappiamo benissimo che le nostre idee sono minoritarie, però cerchiamo di presentarle in modo strutturato, senza avere la pretesa che gli ascoltatori le accettino, ecco, anche questo, è un po’ alzarsi in piedi. Per Oscar Giannino sarebbe stato molto più facile, come hanno fatto molti giornalisti nella loro carriera, sposare la linea editoriale, seduto su una poltrona ben retribuita, invece di esprimere liberamente le proprie idee. Questo significa alzarsi e non accettare l’invito a stare seduti.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.