Imprenditori

Artisan Valley nel Nordest, alleanza vincente tra New e Old Economy

7 Novembre 2015

Michele Barbera è il CEO di SpazioDati, startup dietro Atoka. Questo post è sponsorizzato da:

spaziodati

 

C’è una frase di T. S. Eliot che mi garba molto: “Non ci daremo tregua finché non avremo esplorato tutto, e la fine delle nostre ricerche ci riporterà nel luogo della nostra origine, e lo vedremo per la prima volta”. Talvolta ho la sensazione che noi italiani vediamo l’Italia con occhi stanchi, o peggio ancora prevenuti, quasi volessimo confermare la rappresentazione un po’ stereotipata dell’Italia da noi stessi creata. Da terra di emigranti quale siamo, tendiamo a focalizzarci un po’ troppo su ciò che fanno all’estero, a prendere come modello altri paesi e altre realtà (qualche anno fa andava di moda la Spagna di Zapatero, ieri la stella era la Germania della Merkel, oggi è in auge la Londra del duo Cameron- Johnson). Sia chiaro: viaggiare, allargare gli orizzonti, conoscere altre culture è fondamentale, specie in un mondo globalizzato come il nostro. Tuttavia troppo spesso non valorizziamo nel modo giusto il tesoro (immenso) che abbiamo intorno a noi, magari sotto casa.

Le persone, per prima cosa. Non lo ripeterò mai abbastanza: il livello della formazione superiore in Italia è di primissimo livello, non solo in ambito umanistico ma anche in quello tecnologico, e soprattutto nelle cd “scienze dure”. Senza dimenticare la competenza dei nostri panettieri, calzolai, sarti, piastrellisti, ristoratori e così via. A questo bisogna poi aggiungere il patrimonio di tradizioni, saperi, abilità e sensibilità che nei decenni (e spesso nei secoli) si è stratificato in ogni angolo d’Italia. Non c’è bisogno di leggere gli splendidi saggi di Carlo  Cippola, o “Ascesa e declino” di Emanuele Felice, per capire che l’Italia è un’economia di trasformazione, poverissima di materie prime (marmo escluso), che deve il suo successo al lavoro e al talento di generazioni di italiani.

Vengo al punto. Pochi giorni fa uno dei più importanti quotidiani tedeschi, Die Tageszeitung di Berlino, ha raccontato ai suoi lettori la storia della “Artisan Valley” che sta nascendo fra Venezia, Verona e Trento. In poche parole, ciò che sta emergendo tra le Dolomiti e l’Adriatico è forse una sorta di nuovo (piccolo) triangolo industriale 2.0, in grado di contaminare il meglio delle nuove tecnologie dell’informazione con il design, con l’artigianato, con la tradizione e con le specificità di territori e culture locali. D’altra parte è proprio la contaminazione una dei grandi motori dell’innovazione: la Silicon Valley è diventata quello che è ora anche grazie al melting pot di tecnologi, creativi, scienziati, artisti ed esperti che converge lì da ogni parte del mondo.

Sia chiaro: se nel Nordest c’è l’Artisan Valley, nel resto d’Italia non si sta certo con le mani in mano. Penso alla provincia di Varese, vera cittadella della rivoluzione del 3D printing, a Roma e alla Maker Faire, alla mia Pisa. Insomma, di segnali positivi ce ne sono dalle Alpi alla Sicilia. Personalmente, sono convinto che solo un’alleanza tra “old economy” e “new economy” (per usare termini che andavano in voga alla fine del XX secolo) potrà rilanciare sul serio l’economia italiana. Perché se è vero che una startup italiana puramente digitale deve fare l’impossibile per competere con i colossi della Silicon Valley o del Far Easy, è altrettanto vero che da soli gli artigiani, le PMI e i professionisti nostrani devono sudare non sette ma settantasette camicie per operare in un mondo sempre più digitalizzato e interconnesso. Se però si uniscono le forze, possono accadere cose straordinarie.

A SpazioDati, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare la nostra parte: aiutando PMI, artigiani e liberi professionisti a vendere in modo nuovo, attraverso strumenti di sales intelligence (e infatti tra le aziende e startup citate nell’articolo del Tageszeitung ci siamo pure noi). È necessario tuttavia che gli sforzi si moltiplichino in tutta Italia, e che questa alleanza tra old e new economy diventi una priorità per tutti gli attori economici. Chi lo sta già facendo da tempo macina successi. Un esempio è YOOX, lo store online di moda e design che ha saputo coniugare un’idea innovativa con uno dei cavalli di battaglia del Made in Italy, appunto la moda e il design.

D’altra parte non abbiamo grandi alternative. L’economia globale, è quasi un’ovvietà dirlo, sta cambiando pelle, e a un ritmo spaventoso. Lo dimostra bene il saggio “L’era dell’accesso” (Mondadori) di Jeremy Rifkin, che a mio parere è ricchissimo di intuizioni formidabili. Nel “lontanissimo” 2000, con la crisi della new economy ancora in atto, Rifkin preconizzava il declino del capitalismo tradizionale: quello, per intenderci, dove conta il capitale materiale, le fabbriche, insomma ciò che Karl Marx chiamava “i mezzi di produzione”. Parallelamente, stava nascendo un nuovo capitalismo della conoscenza basato sui pilastri dell’informazione e delle reti. Un capitalismo dove la proprietà privata sarebbe stata sostituita dall’accesso, e dove sarebbero nati nuovi tipi di comunità e gate-keeper.

Oggi quanto descritto da Rifkin oltre 15 anni fa sta accadendo. Il digital divide è una sfida di rilevanza globale, l’accesso ai dati è cruciale (sarà il petrolio del XXI secolo), i social media hanno un’influenza enorme, la sharing economy è ormai una realtà che genera lauti profitti, e i paesi più competitivi del mondo sono quelli più innovativi e connessi, come la Svizzera, Israele, la Svezia, la Corea del Sud. In poche parole, in 15 anni è cambiato tutto, per noi e per l’intero tessuto produttivo italiano. Nell’Artisan Valley lo si è capito. E ci si sta attrezzando.

Michele Barbera, autore di quest’articolo, è il CEO di SpazioDati

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