Imprenditori

“Andate avanti voi, forse vi raggiungo”

22 Settembre 2022

Mettiamoci un sottotitolo, a ciò che leggerete qui sotto.
Ovvero: l’umanissima tentazione di procrastinare i cambiamenti necessari alla Specie. 

Sul crinale del cambiamento, non si è mai del tutto pronti, eppure la nostra Specie di trasformazioni abbastanza radicali ne ha affrontate parecchie. Da una parte chi dice “diamoci una mossa”, a costo di modificare tutto radicalmente, dall’altra chi prende tempo: “andate voi, forse vi raggiungo” come deve aver detto anche qualche Neanderthal al proprio gruppo in migrazione.

La “transizione” alla quale ci chiama questo tempo ha una caratteristica molto significativa e profonda, nella successione di eventi che l’hanno smossa. Pandemia, guerra, crisi energetica, seppure siano fenomeni non certo privi di relazioni tra loro a livello di macro-sistemi, sono apparsi come un’escalation di “immeritate disgrazie” che, senza troppe mediazioni, ci parlavano di un futuro decisamente incerto per tutto ciò che consideravamo come acquisito. Di fronte all’immeritato ci si paralizza.

Non stupisce quindi che la reazione sia stata anche, in molti casi, conservativa.
Se avevamo imparato che lo smart working poteva essere una risposta, per esempio, l’abbiamo rapidamente re-integrato spostandolo dalla capacità di elaborare modelli nuovi, che coinvolgono le organizzazioni e i gruppi umani, a una sorta di “concessione” per chi volesse ancora farvi ricorso. Dall’organizzazione al singolo, insomma. Perché se il gruppo può scegliere il proprio destino e ri-costruire le relazioni, modificando la realtà e facendola progredire per differenza, alla fine la persona che merita/non merita in base a parametri generalmente collegati alla performance o alla biografia è decisamente più controllabile.
Quindi, invece di pensare a costruire il lavoro agile per tutti, con processi, pratiche, visioni, il post-pandemia ha creato il concetto di “chi ne ha necessità per ragioni famigliari può accedere allo smart-working”, esattamente come un tempo si ricorreva al part-time (una sorta di Purgatorio professionale nel quale finivano spesso le donne).

Gli stessi richiami al rientro in ufficio, lungi dall’essere frutto di elaborazioni, hanno raccontato un mondo che in quei palazzi vuoti vedeva probabilmente la fine di uno status, anche da parte di manager noti per essere stati grandi innovatori. Ridargli di nuovo vita diventava una missione da condire con punte di retorica, lanciandosi nell’umanissima operazione di dedicarsi alla difesa dei simboli fisici più che alla creazione di nuovi sistemi di azione.

Partire dal loro conflitto, dalla loro apparente incoerenza nel comportarsi come dei reazionari, aiuta a capire dove sta la leva che ci porterà in avanti. Se questo conflitto lo ha un innovatore che ha cambiato il mondo, la produzione e i consumi, allora forse, dentro di noi, lo abbiamo un po’ tutti. E lo evitiamo, lo camuffiamo, lo spostiamo.
Il principale nemico di ogni trasformazione è quando non ci diciamo apertamente che ci dispiace perdere qualcosa che consideravamo acquisita, ci fa anche molto arrabbiare, ma che ciò che stiamo perdendo non ha alcun nesso con la nostra capacità di immaginare qualcosa di più adeguato al tempo.

Il terremoto può buttare giù la tua casa del 1900 con un meraviglioso bovindo in vetro piombato ma quella che ricostruirai nel 2022 sarà sicuramente antisismica e magari a 0 emissioni. Sì, spiace per il bovindo ma aveva gli spifferi.

La “resistenza al Cambiamento” è un concetto facile, senza troppi pertugi, che ci aiuta a osservare dove sono le fragilità, per dar loro voce, ascoltarle e farne tesoro. E ci aiuta a fare il passo successivo.
Se fatichiamo a immaginare che una transizione sia necessaria è spesso perché abbiamo poca conoscenza delle strade alternative. Una di queste è proprio la semplificazione per arrivare alla quale serve una sorta di “inventario del superfluo”.
Nella fragilità, ti alleggerisci: questo dovrebbe essere un principio fondante.
Ma ti alleggerisci anche per essere più veloce, più agile e garantirti una buona manutenzione.

Il Self Management da tempo ha offerto questa possibilità alle organizzazioni. Se è stato raccontato come anarchia, autogestione, difficoltà di processo, all’interno dei quali la persona perdeva i riferimenti, è sempre per la solita ragione: sposta qualcosa di realmente incisivo dall’organizzazione alla persona e controllerai il cambiamento.
La cronaca di questi anni di lavoro con Kopernicana al fianco di tante aziende “in cambiamento” racconta, al contrario, che tutte le volte che ci si avvicina a organizzazioni molto strutturate, molto gerarchiche e con una cultura visibilmente orientata su una forma piramidale dei flussi e delle relazioni, il primo elemento che si riscontra è  sempre una perdita di riferimento e di senso per il singolo. Le cartografie organizzative hanno rivelato centinaia di persone “incastrate nella piramide”, con una scarsissima capacità di movimento e una conseguente paralisi della circolazione delle idee.
La piramide era perfetta ma, appunto, immobile.
E il business dove va, se deve spostare una piramide?

Se in una crisi non circolano le idee, è altamente probabile che le poche idee sul piatto siano inadatte a superarla.
Ci raccontiamo da sempre che siamo nel punto giusto della Storia, poi il punto si sposta e noi siamo già la nostra generazione successiva.
Oggi abbiamo avuto più che un invito a spostare in avanti quel punto facendo in modo di restarci dentro. Chi ha dialogato con il cambiamento per tempo, può già agilmente girare il timone perché per cambiare ha avuto la necessità  di studiare le mappe.

Conosce il valore di una strategia che si “incarna” in ogni persona dell’organizzazione, autonoma nell’applicarla all’interno di una visione piena e assolutamente rotonda, nei suoi punti di riferimento.

Ma siamo ancora in tempo?
La risposta è SÌ e contiene però una piccola postilla antropologica piena di speranza per la nostra Specie: c’è ancora tempo perché qualcuno ha iniziato prima, ha tracciato la strada, ha capito dove si annidavano i pericoli, ha corretto gli errori, ha parlato con altre “tribù”, ha stretto alleanze, si è confrontato, ha rielaborato modelli.
Modelli, non Divinità, quindi sì, c’è ancora tempo per cambiare, per accettare la sfida di questa Transizione (la terza, dopo la Rivoluzione industriale e quella digitale) sapendo che no, non sarà come comprare un cappello e metterselo in testa perché nessun venditore di cappelli può garantirci di avere la nostra misura né che il cappello che vogliamo ci doni. Il cappello che indosseremo all’appuntamento con il prossimo futuro sarà frutto della sapienza di un artigiano e della straordinaria capacità di sapere chi siamo.

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