Immobiliare
Usura e aste giudiziarie: perché Di Maio non se ne occupa?
Le banche sono obbligate all’esecuzione immobiliare o è una loro scelta? Risposta diretta ed esplicita: sì, le banche sono obbligate. Le banche prestano soldi dei risparmiatori e debbono garantire ai risparmiatori che ne tuteleranno gli interessi. Se un debitore non paga, la banca deve fare di tutto per recuperare il più possibile, nel più breve tempo possibile ed al costo più basso possibile. È un punto fermo.
Questo modo di ragionare è corretto ed indiscutibile in una situazione di normalità dell’economia. Ma da molti anni la situazione è anormale. È anormale perché la crisi ha prodotto crediti difficili in misura esorbitante: 350 miliardi contro i 1000 miliardi dell’intera Europa.
Questo fenomeno ha messo in crisi il nostro sistema bancario. La reazione e le cure prescritte sono state di natura regolamentare , non politica, cioè sono state frutto delle disposizioni della Vigilanza, europea, BCE , e nazionale, Banca d‘Italia. Il compito della Vigilanza è assicurare la stabilità del sistema bancario e, per quanto possibile, la sua efficienza. Qualunque economia moderna ha bisogno di un sistema bancario stabile ed efficiente perché altrimenti non può funzionare.
Quali provvedimenti regolamentari ha preso la Vigilanza? Centinaia, tutti con lo scopo principale di evitare che le banche non abbiano ancora smaltito le conseguenze della crisi 2007/2015 quando arriverà fatalmente la prossima crisi.
L’indicazione principale della vigilanza è stata: trasferire il problema dei crediti non performing fuori dalle banche; gli unici con cui si può attuare quest’operazione sono i fondi di investimento, liquidi e aggressivi.
Quando si dice che le banche in questi ultimi due anni hanno migliorato il loro Texas ratio, cioè il rapporto tra crediti deteriorati e patrimonio tangibile, stiamo dicendo il vero, ma non tutta la verità. È solo una mezza verità.
Il vero problema che deve essere ancora affrontato è quello dei debitori. Circa 10 milioni di cittadini hanno problemi creditizi con le banche e man mano che passa il tempo vengono massicciamente trasferiti dalle banche ai fondi, i loro nuovi creditori. Gran parte del fenomeno denunciato dall’ISTAT sugli impoveriti, nasce da qui.
Ma se la Vigilanza ha fatto il suo lavoro, chi si è occupato dell’altra metà del problema, i debitori? Francamente nessuno o quasi. Mettiamo allora un altro punto fermo.
Le banche non sono né buone né cattive. Anche i debitori non sono né buoni né cattivi. Diffido di queste categorie qualitative che portano solo a guerre di religione. Inutili quanto sanguinose. Gli operatori economici (banche e clienti ) sono onesti o disonesti. Rispettano o no la legge.
A questo punto la domanda da farsi è sulla qualità della legge. Le leggi si che possono essere buone o cattive e questo dipende da quanto siano eque e utili al benessere della collettività. E qui entra in campo la politica. Se la politica, allineandosi alle esigenze del sistema bancario espresse dai suoi vigilanti, interviene con provvedimenti che sono sbilanciati verso gli interessi della finanza, certo non fa buone leggi perché non tiene conto di tutti gli interessi in gioco: quelli delle banche e quelli dei debitori.
Le varie norme promulgate in questi anni che stanno favorendo il trasferimento degli npls ai fondi speculativi, non sono norme che rispettano gli interessi socialmente rilevanti dei tanti debitori che sono stati vittime del banco – centrismo italiano (troppo credito bancario a famiglie e imprese) e delle conseguenti ricadute negative della crisi più grave che il nostro Paese abbia vissuto negli ultimi 100 anni.
La politica deve impegnarsi subito e correggere questi squilibri per evitare di trovarsi ad aver salvato le banche facendone pagare il costo a tutta la collettività e sacrificando centinaia di migliaia di famiglie ed imprese, ma, cosa ancor più grave, facendo guadagnare solo gli speculatori.
Ci sono proposte concrete cui su cui è corretto e necessario chiedere un confronto con la politica. Eccone alcune.
Il giubileo bancario
Quattro progetti di legge presentati nella scorsa legislatura , fortemente appoggiati allora anche dai partiti attualmente al governo , che però non lo hanno più ricordato nel famoso contratto. Un provvedimento facile da applicare che risolverebbe il problema di migliaia di debitori senza ledere gli interessi delle banche che otterrebbero anzi risultati migliori dall’accordo con i debitori rispetto ai prezzi capestro cui i fondi speculativi sono disposti a comprare le sofferenze, ma, tra non molto, anche gli incagli (UTP).
Rivedere il patto marciano e il pegno possessorio
Questi istituti, introdotti dal Decreto Banche 59/2016, prevedono che le banche possano impossessarsi del bene del debitore inadempiente. Sono norme praticamente inattuate perché le banche hanno problemi gestionali e giuridici che non riescono a risolvere. Nonostante lo strappo violento dato ad un principio che io ritengo sano, il divieto del patto commissorio sancito agli articoli 1263 e 2744 del codice civile, potrebbe essere uno strumento che va a risolvere alcuni casi, forse non tantissimi, nei quali il debitore ,pur di liberarsi del debito, rinuncia all’immobile ipotecato o al bene mobile oggetto di pegno. Una discreta legge, ma nata zoppa. Non prevede infatti che il debitore sia liberato dal debito residuo eventualmente non soddisfatto dal valore del cespite che passa nelle mani del creditore. Non si ha cioè esdebitazione. Questa impostazione è invece presente in una norma molto simile che riguarda però solo i consumatori , prevista nella legge 72 del 2016. Se la politica volesse far funzionare il patto marciano, non dovrebbe fare molta fatica, basterebbe emendarla copiando dalla legge 72. È un problema di equilibrio di interessi.
Rivitalizzare l’anticresi (art.1960 Codice civile)
Quando la situazione è meno grave di quella regolabile con il patto marciano, una soluzione intelligente potrebbe essere stipulare tra creditore e debitore un contratto di anticresi. È un istituto desueto che forse ormai nessuno più pratica e solo pochi conoscono. Ma ha il suo perché: il debitore consegna l’immobile al creditore perché ne utilizzi i frutti per ripagarsi in tutto o in parte il credito. Esempio tipico: ho un mutuo con ipoteca su casa e garage ma non riesco a pagare tutta la rata. Trasferisco il possesso del garage al creditore che incasserà l’affitto a scomputo del mio debito. Ancora più evidente se il mutuo riguarda la casa al mare. È un contratto che anche fiscalmente ha dei costi più bassi di quelli dell’ipoteca e non fa perdere la proprietà del bene. Perché nessuno lo usa? Forse perché nessuno lo conosce più? Quando mi occupavo di banca, avevo ipotizzato di adottarlo. Anche qui forse non c’è altro da fare che usarlo. Perché gli avvocati che difendono i debitori non lo consigliano ai propri clienti? Ma anche in questo caso la politica potrebbe svolgere un ruolo propulsore precisando ,in un emendamento alla norma , che il contratto di anticresi si possa utilizzare, non solo per gli immobili, ma anche per i complessi aziendali. Probabilmente si potrebbero in tanti casi evitare le procedure concorsuali o para-concorsuali che non hanno dato gran prova di sé nel salvare le aziende in difficoltà.
Repossesso parziale
Questa è una soluzione che invece ho praticato concretamente. Molti debitori per mutui ipotecari a causa della crisi hanno visto ridursi il loro reddito complessivo perché uno dei coniugi, ad esempio, ha perso il lavoro. Se quando avevano comprato casa il loro reddito era in grado di sopportare una rata di € 1000, adesso non possono pagare più di € 500. Cosa fa la banca in questi casi? Risolve il contratto di mutuo e procede con l’esecuzione immobiliare vendendo all’asta, a prezzi molto bassi, l’immobile. Risultato: la banca non vede soddisfatto il suo credito, il debitore perde la casa e nella stragrande maggioranza dei casi continua ad essere esposto per il residuo debito non soddisfatto. Praticamente una catastrofe. Un calvario.
La mia banca a suo tempo propose un’altra soluzione. Comprare la metà della nuda proprietà dell’immobile estinguendo la metà del mutuo e mettendo il debitore in condizione di pagare solo il 50% della rata (nell’esempio € 500 ), continuando ad essere proprietario al 50% dell’immobile e goderne. Il patto era che, trascorsi cinque anni, il creditore avrebbe potuto ricomprarsi dalla banca il 50% della nuda proprietà. La scommessa era che, nell’arco dei cinque anni, grazie al cambiamento di segno della congiuntura, il debitore avrebbe potuto ricomprarsi il resto della casa eventualmente facendo un nuovo mutuo per riacquistare il 50% della nuda proprietà. Logica equilibrata che metteva insieme interessi contrapposti. Le associazioni dei consumatori approvarono l’idea, ma i casi concreti furono pochi per il semplice motivo che questa soluzione, di palmare utilità, può essere adottata solo se il numero di rate impagate è molto ridotto. Altrimenti i conti non tornano.
Quindi il debitore deve sollevare la bandierina della difficoltà sin da subito. Cosa che di norma non fa per vergogna o per fatalismo. Ma se la politica avesse imposto alla banca per legge di proporre questa soluzione al debitore in difficoltà che non ha pagato due rate, forse tante esecuzioni immobiliari si sarebbero evitate e tante famiglie non avrebbero perso le loro case. Ma dov’è la politica? dove sono le associazioni dei consumatori? Ne parlai anche con la Caritas. Insomma tutti sono pronti ad indignarsi, ma poi in concreto nessuno prende l iniziativa
Gestione collettiva dei debitori
Con alcuni colleghi esperti in questo settore stiamo tentando una strada molto innovativa: trattare con le banche , non a tutela di un singolo debitore, bensì di una collettività di debitori. Se io, debitore, mi presento da solo a cercare di ottenere una transazione con la banca mi sarà molto difficile ottenere un risultato utile, intanto perché non conosco i criteri di valutazione della banca, ma ancor più perché non riuscirò a convincere tecnicamente la banca che il prezzo che gli offro per avere la sua quietanza è quello giusto. Se invece la banca si trovasse di fronte una collettività di debitori, per ognuno dei quali professionisti competenti abbiano analizzato nel dettaglio la situazione individuando la specifica capacità di ripagamento, è ben difficile che si rifiuti di negoziare una ” quietanza collettiva”, purché la cifra complessiva offerta sia superiore a quanto saranno disposti a pagare i fondi speculativi per la stessa massa di crediti , cioè sia superiore al cosiddetto prezzo di mercato delle sofferenze.
È evidente: se la banca può trattare su un solo tavolo un portafoglio di crediti sufficientemente grande avendo la sicurezza che dall’altra parte , non solo ci sono professionisti capaci ed affidabili, ma anche i fondi preventivamente depositati dai vari debitori coinvolti in un conto riservato all’operazione, avrà tutto l’interesse a negoziare una soluzione transattiva collettiva. Anche qui la politica potrebbe svolgere il suo ruolo emanando norme per facilitare i negoziati per transazioni collettive.
Usura
Che la legge sull’usura del 1996 non abbia funzionato è dimostrato da tre evidenze: 1. I tassi soglia sono da allora costantemente cresciuti nonostante il costo del denaro per le banche nel frattempo sia diventato addirittura inferiore a zero. Oggi ci sono tassi soglia che superano il 20%. Se il costo del denaro risalirà, come probabile, dove arriveremo? 2. Migliaia di debitori hanno portato avanti denunce per usura ottenendo come unico risultato il prolungarsi dei tempi processuali e l’erogazione di lauti compensi per periti e avvocati. 3. I casi di banchieri puniti per aver applicato tassi usurai , in oltre vent’anni di applicazione della legge, si contano sulle dita di una mano. Troppo lungo analizzare l’argomento, ma la prima domanda è: perché la politica non ha voluto inserire il reato di usura tra i reati presupposto della legge 231 del 2001? Come si sa i reati presupposto sono alcune decine e comprendono anche reati di natura sessuale. Ma perché non l’usura? Non lo so. Non me lo sono mai spiegato. Di sicuro però nella banca che dirigevo avevamo volontariamente inserito nei famosi modelli organizzativi 231 anche il reato di usura. Per quel che ne so la mia è stata l’unica banca che lo ha fatto. La politica potrebbe decidere di farlo senza troppe difficoltà.
Ma visto che questa legge è inefficiente, la politica dovrebbe occuparsene modificandola in maniera sostanziale nel presupposto che un tasso del 10% è usuraio se sto facendo credito a un’impresa manifatturiera con un margine industriale del 15%, mentre il tasso del 40% può non essere usuraio se sto facendo credito ad un’impresa speculativa che ha un margine dell’80 per ento. Insomma, est modus in rebus.
Con i criteri adottati nel 1996 abbiamo solo legittimato le banche ad aumentare i tassi ai clienti più in difficoltà, aggravandone le condizioni.
Altro punto non minore: riuscire a dimostrare l’elemento soggettivo del reato a carico del banchiere, si è rivelato quasi impossibile, anche perché il banchiere gode già di tassi soglia sufficientemente alti tal che sarebbe sciocco per lui rischiare di compiere un reato. Nella maggior parte dei casi, se usura c’è stata, è dovuta a meri errori operativi che non producono mai cifre usurarie particolarmente elevate.
In compenso, se il cliente denuncia l’usura, la banca è indotta a resistere (anche perché rischia la nullità del contratto di credito) e quindi a non negoziare accordi, ma a coltivare la procedura giudiziaria con costi a volte inutilmente esorbitanti per sé e per il cliente , anche in termini di tempo.
Sarebbe molto più saggio prevedere un caso di non punibilità se la banca volontariamente, non solo restituisce al cliente gli interessi usurai, ma versa la stessa cifra ai fondi antiusura a mo’ di ammenda.
Anche qui un provvedimento a costo zero ma di grande utilità.
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