Ambiente
A Berlino passa il referendum per l’esproprio di 240.000 appartamenti
Il 26 settembre a Berlino non si votava solo per il parlamento.
Un referendum dal titolo battagliero, “Deutsche Wohnen und Co. enteignen, Spekulation bekämpfen!”, “Espropriare Deutsche Wohnen e company, combattere la speculazione!”, era atteso con entusiasmo dagli abitanti della capitale e con un certo scetticismo da parte della sindaca Franziska Giffey dell’Spd.
La proposta è di espropriare, con un indennizzo al ribasso rispetto al valore di mercato, i colossi dell’immobiliare, ossia le aziende che detengono più di 3000 immobili e che perseguono “l’intenzione di realizzare un profitto”, con l’esclusione quindi di cooperative ed enti senza scopo di lucro. Gli appartamenti verrebbero trasferiti a un istituto di diritto pubblico per una gestione fondata su principi di uguaglianza e solidarietà.
La prima testa da tagliare è quella di Deutsche Wohnen (citata con nome e cognome), che detiene da sola circa 115.000 appartamenti, ma in totale si arriverebbe a 240.000, il 15% del patrimonio immobiliare degli affitti a Berlino.
Il risultato è stato netto e inaspettato. Su quasi due milioni di votanti (in totale gli abitanti sono circa 3 milioni e mezzo) il sì ha superato il 56%, contro un 39% di no.
Un risultato che racconta molto del rincaro degli affitti dell’ultimo decennio, per nulla seguito da un aumento dei salari e che ricorda molto la situazione di Milano, se non fosse che lì sono molti di più i cittadini che non vivono in case di proprietà (intorno all’80%). E infatti i festeggiamenti domenica sera sono stati carichi di entusiasmo, fra cortei e striscioni, al grido di “Riprendiamoci la città”.
La proposta poggia sulla base dell’articolo 15 della costituzione tedesca, secondo cui è possibile espropriare “terreni, risorse naturali e mezzi di produzione” se questo avviene per il bene della società, mentre la legge approvata dal sindaco Michael Muller nel 2020 per porre un tetto massimo agli affitti era stata dichiarata incostituzionale.
In ogni caso secondo lo Spiegel i festeggiamenti sono arrivati troppo presto: il risultato del referendum non è vincolante e l’avvocato costituzionalista Ulrich Battis avrebbe suggerito che gli espropri violino il principio di uguaglianza perché si riferiscono solo a chi detiene un patrimonio abitativo di più di 3000 appartamenti. Inoltre, l’articolo 15 non è mai stato usato nella storia della Repubblica Federale e l’attuazione dovrebbe essere possibile solo in assenza di altre possibili soluzioni. Per esempio, suggerisce lo Spiegel, si potrebbero aumentare le costruzioni residenziali.
Eppure la sindaca Giffey si è dichiarata disposta a rispettare l’esito del referendum, anche a fronte del fatto che l’area giovanile del suo partito si era schierata a favore.
Forse, inoltre, in seguito al grande successo dei Verdi alle elezioni parlamentari, la proposta di “costruire di più”, potrebbe apparire problematica: in queste settimane di proteste globali per la questione ambientale, quello del consumo di suolo è un tema urgente e sempre all’ordine del giorno. Questo referendum mette in luce l’esistenza di due schieramenti e due visioni del mondo. Scegliere di mettere a disposizione della cittadinanza quello che già c’è o preferire invece continuare a “costruire le case”, inglobando nelle città tutte le vie Gluck rimaste, vuol dire scegliere da che parte stare nella lotta al cambiamento climatico e sempre più questa si rivela una lotta generazionale e di classe.
La parola esproprio sembra venire da un’altra epoca ma non è detto che quest’iniziativa, se andrà a buon fine, non risvegli un po’ di sete di diritti anche fuori dalla Germania. Soprattutto a Milano, dove il tema abitativo, a cavallo delle amministrative, è particolarmente caldo.
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