Economia e Lavoro
il Jobs Act: un flop prevedibile e annunciato
Chiediamolo adesso a Marta e Giovanni come stanno e se il Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro prescritta dalla UE bagnata nella retorica e nella propaganda antisindacale, ha cambiato in meglio le loro vite.
Era fine settembre del 2014 e Matteo Renzi sferzava con un video messaggio ( https://youtu.be/39M8HnGAfOc ), un attacco frontale ai “sindacati” in primo luogo alla Cgil, responsabili pressoché unici a suo dire, di un mercato del lavoro diviso fra Sommersi e Salvati, per effetto dell’articolo 18, ridotto a rottame feticistico dannoso e inattuale.
Sono passati due anni ma le magnifiche sorti e progressive, con tanta foga annunciate, non si sono avverate.
Nel paese in cui il celebratissimo Marchionne e con lui gli Agnelli fanno fagotto con la pancia piena di decenni di sovvenzioni statali, può succedere che il Ministero del Lavoro ( non il centro studi della Cgil), crei un diversivo alla soap opera degli assessori di Virginia Raggi, che tanto appassiona i vertici del PD, dando qualche numero rispetto agli effetti del Jobs Act; basta poco insomma, a far crollare un castello di carte bugiarde, che ora tutti provano a nascondere velocemente sotto lo zerbino dell’ingresso di Palazzo Chigi.
Secondo Sacconi, Presidente della Commissione Lavoro del Senato, il Ministero ha fatto confusione (sic!).
Per Poletti (che in fatto di inadeguatezza deve essere stato il relatore della tesi di laurea della sindaca della capitale), il fatto che il mercato del lavoro appaia ingessato si deve al successo delle misure a contrasto delle cosiddette dimissioni in bianco.
Le dimissioni in bianco venivano precipuamente fatte firmare alle lavoratrici e usate al momento in cui queste annunciavano una gravidanza.
Quindi, seguendo lo strampalato ragionamento del Ministro, dovremmo avere un esplosione dei casi di maternità e di altrettanti congedi di maternità INPS pagati.
Esistono dati a sostegno di questa tesi? Ma soprattutto se così fosse, a che servirebbe un Fertility Day?
Torniamo seri.
Una riforma del mercato del lavoro prodotta in una fase di profonda crisi economica non può avere effetti sull’occupazione se non quello di renderla più precaria.
Le riforme si attuano nelle fasi di crescita per consentire alle imprese di coglierne tutte le opportunità.
Nel nostro caso si è curata una gamba con unguenti e bendaggi a un paziente cardiopatico. Il paziente ora sta morendo di infarto e non potrà utilizzare la gamba rimessa a lucido.
Nel secondo trimestre del 2016 sono state registrate 2,19 milioni di cessazioni, la maggioranza di queste dovute alla fine del contratto a termine. Tra le espulsioni sono aumentate quelle volute dal datore di lavoro (in larghissima parte licenziamenti) di un pesante 8,1 %. Crollano le dimissioni volontarie e ovviamente le uscite per pensionamento.
In molti, inascoltati, andavano affermando, di fronte ai primi dati positivi sulle assunzioni e le stabilizzazioni strombazzati (questi si) dal Premier, che si trattava di numeri poco credibili, perché viziati dagli sgravi fiscali offerti alle aziende che appunto, in cambio, si impegnavano ad assumere.
Drasticamente ridotti gli incentivi, le imprese, non solo hanno smesso di assumere, ma hanno iniziato a licenziare con estrema disinvoltura forti della abolizione dell’articolo 18, misura questa che davvero sta creando condizioni di equità ma purtroppo al contrario, estendendo la platea di lavoratori instabili, insicuri, e in balia di imprese senza prospettive e neppure progettualità, che invece di investire in innovazione, aspettano sovvenzioni statali a pioggia e se proprio va male, abbattono il costo del lavoro anche e soprattutto con la complicità di leggi sempre più smaccatamente a loro favore.
In un contesto così fosco è palese che chi ha un lavoro sicuro, ante riforma, fa di tutto per tenerselo come dimostra il crollo del turn over nelle grandi aziende che vedono alzarsi l’età media dei loro dipendenti. Del resto come dare torto a questa nuova schiera di privilegiati?
Il futuro potrebbe essere un voucher o se si è fortunati un contratto a tempo determinato prorogabile per 5 volte che, senza più il viagra degli incentivi statali, è destinato a far sparire anche il ricordo del contratto a tutele crescenti; un contratto questo che, a sua volta, come ebbe a sottolineare Susanna Camusso, di crescente ha ben poco, se non i pochi soldi di indennizzo maturati per ogni anno di lavoro a fronte di probabile licenziamento senza possibilità di reintregra.
Che farà il Governo di fronte a questa debacle? Come al solito poco o nulla.
Il prossimo mantra è quello della produttività ed è stato già annunciato dal Premier nella terza inabolibile camera del parlamento, al cospetto di Bruno Vespa.
Sul recupero della produttività si spenderanno le poche risorse disponibili in legge finanziaria.
Sulla produttività come la intende lui e come l’ha intesa Marchionne ( lavorare di più pagati meno), sarà forse però più complicato fare propaganda fornendone una narrazione disneyana e surreale.
Sarebbe insomma un buon inizio se, almeno stavolta, Marta e Giovanni fossero lasciati in pace, perché di problemi ne hanno e continueranno ad averne purtroppo tanti, a partire dal loro essere lavoratori in questo paese, dove il lavoro è sempre meno qualità, ma nemmeno, alla luce degli ultimi impietosi numeri, quantità.
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