Grandi imprese
Volkswagen ci ricasca e cerca di “truccare” il tavolo con i consumatori
Durante la conferenza stampa annuale sul bilancio di Volkswagen, l’amministratore delegato dell’azienda tedesca, Matthias Mueller, ha dispensato frasi rassicuranti agli azionisti, ai dipendenti e ai clienti ancora scossi dal rosso di 1,6 miliardi di euro sul bilancio 2015 causato dallo scandalo “Dieselgate”. L’azienda tedesca ha dovuto registrare il primo passivo dal 1993, un disastro non solo economico ma anche di immagine che ha costretto Mueller a scusarsi personalmente con il presidente Usa, Barack Obama, per quello che è stato definito “il più grande scandalo di motori truccati della storia dell’industria automobilistica”.
Il numero uno dell’azienda di Wolfsburg, cospargendosi metaforicamente il capo di cenere, ha ribadito la sua ferma volontà di voler fare tutto il possibile per “trovare delle soluzioni per i clienti coinvolti nella vicenda e recuperare la loro fiducia” e ha aggiunto: «Siamo sinceramente dispiaciuti per quanto successo. Con la manipolazione dei motori diesel è stato superato il confine dell’etica».
Tuttavia, le buone intenzioni di Mueller non sembrano essere state recepite dall’amministratore delegato e direttore generale di Volkswagen Group Italia, Massimo Nordio, che oggi avrebbe dovuto incontrare pubblicamente le associazioni dei consumatori per valutare la possibilità di un accordo quadro transattivo a favore di tutti gli automobilisti italiani vittime del Dieselgate, dopo un primo incontro già avvenuto nella sede del CNCU lo scorso 21 gennaio.
A rendere impossibile un incontro pubblico, come riferisce un comunicato congiunto di Unione Nazionale Consumatori, Altroconsumo, Cittadinanzattiva, Codacons e Movimento Consumatori, sono state le singolari condizioni imposte dall’azienda per il suo svolgimento. VWGI avrebbe infatti chiesto ai partecipanti di sottoscrivere un documento di tre pagine come “precondizione per la partecipazione” al tavolo. Il documento conteneva “un impegno di confidenzialità e riservatezza” che vincolava al silenzio le associazioni dei consumatori per ben 3 anni, indipendentemente dall’eventuale cessazione per qualsiasi ragione del dialogo con l’azienda. Ai soggetti che avrebbero dovuto prendere parte all’incontro, sarebbe inoltre stato imposto di non utilizzare le informazioni anche “in relazione ad azioni giudiziali o per comunicazioni in qualunque modo espresse ad Autorità di regolamentazione o della concorrenza nazionali, estere o sovranazionali o aventi a qualunque titolo competenza per i profili connessi alla tematica delle c.d. presunte alterazioni dei dati sulle emissioni inquinanti”.
In parole povere, tutte le informazioni che sarebbero emerse dal tavolo con Volkswagen Group Italia, non solo dovevano essere “top secret”, ma non potevano neanche essere impugnate future azioni legali a tutela dei consumatori. Verrebbe quindi da chiedersi a cosa doveva servire l’incontro, se non per arricchire la cultura personale dei delegati delle associazioni partecipanti.
Ma nelle tre pagine che hanno lasciato basiti la maggior parte dei rappresentanti delle associazioni dei consumatori, c’era un’ulteriore richiesta forse ancor più surreale delle precedenti: una clausola che imponeva alle associazioni di informare per iscritto Volkswagen su richieste di informazioni da parte della pubblica autorità “in modo tale da consentire a VWGI di adottare appropriate misure precauzionali”. Una specie di richiesta di “soffiate” rispetto ad eventuali indagini degli organi competenti.
Le parole cariche di scuse e di buoni propositi di Matthias Mueller, pronunciate di fronte ai giornalisti accorsi a Wolfsburg da tutto il pianeta in una fredda e ventosa giornata di fine aprile, sono dunque, almeno per ora, “parole al vento”, almeno nel vecchio continente. Parole che volano via lasciando intatte pratiche tutt’altro che trasparenti di un’azienda che malgrado viva nel terrore (il rischio di dover cedere pezzi pregiati resta forte) non sembra aver imparato la lezione.
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