Grandi imprese
Poste, con il crollo da pandemia il dividendo non è una buona idea
Un solo mese di lockdown, quello di marzo, è stato sufficiente a piegare la capacità reddituale di Poste Italiane. I dati sul primo trimestre evidenziano ricavi in calo del 3% a 2,7 miliardi di euro e utili netti precipitati del 30% a 306 milioni (erano 439 nello stesso periodo 2019). A guardare meglio, però, le cose sono andate persino peggio: escludendo le plusvalenze sulle azioni Visa, l’utile trimestrale del gruppo guidato dall’amministratore delegato Matteo Del Fante è precipitato a 143 milioni (-42,2%). Il crollo è attribuibile principalmente ai servizi di corrispondenza, fortemente impattato dal lockdown, e a quelli finanziari, mentre la business unit Pagamenti e mobile e quella assicurativa hanno registrato un’eccellente performance (per entrambe superiore al 20%).
Prospettive per il futuro? «L’emergenza sanitaria in corso, legata alla diffusione del Covid-19, influirà in maniera decisa sull’evoluzione del contesto economico e sociale dei prossimi mesi e ad oggi non è possibile delineare con precisione quella che sarà la “nuova normalità”», si legge nel comunicato di Poste Italiane, e «ciò rende impossibile effettuare realistiche previsioni sull’evoluzione economica e finanziaria del gruppo nel corso del 2020». Parlando con gli analisti, Del Fante ha poi ammesso che nel 2020 «gli obiettivi non sono raggiungibili» lanciando un profit warning sull’intero esercizio.
Il dispiegamento di una tale fragilità ha lasciato di stucco gli osservatori. E probabilmente anche lo stesso consiglio di amministrazione di Poste, Del Fante incluso. All’inizio dell’emergenza, anche se prima che venisse annunciato il confinamento di tutto il Paese, proprio Del Fante aveva sfoggiato molta tranquillità: «Grazie alla trasformazione industriale, portata avanti negli ultimi anni, Poste Italiane è un’azienda solida e grazie a un modello di business diversificato è ben posizionata per affrontare scenari di stress, come la situazione generata dalla diffusione del Covid-19», aveva detto il manager lo scorso 6 marzo. Una sicumera che deve aver confortato non poco le forze di maggioranza e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, quando il 21 aprile hanno deciso di confermare il manager, rinnovandogli il mandato (è il secondo) alla guida delle Poste.
Dopo questa doccia fredda, perciò, il ministro Gualtieri – a cui competono direttamente e indirettamente diritti di voto per circa il 65% del capitale di Poste – dovrebbe fare una riflessione in più sul voto che domani 15 maggio esprimerà nell’assemblea chiamata a rinnovare il cda e approvare bilancio e dividendo. La proposta della società è di confermare l’acconto già pagato a novembre (0,154 per azione, per complessivi 200,3 milioni ) e di distribuire ulteriori 551,9 milioni di euro (0,309 per azione) a titolo di saldo.
Forse varrebbe la pena di ripensarci. Del Fante, e anche gli analisti, hanno fin qui considerato le Poste immuni all’impatto economico del Coronavirus, e di conseguenze alle indicazioni prudenziali delle autorità di vigilanza bancarie e assicurative sul rinvio dei dividendi. I dati della trimestrale mostrano chiaramente che questa immunità è un’illusione. Prudenza vorrebbe che questo mezzo miliardo rimanesse in cassa, rinviando la distribuzione a quando, per usare le parole di Del Fante, si potranno «effettuare realistiche previsioni sull’evoluzione economica e finanziaria del gruppo». Anche se i coefficienti patrimoniali di Poste sono buoni, col risparmio postale – che è debito della Cdp, e quindi dello Stato – la prudenza non è mai troppa.
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