Grandi imprese

Perché un sindaco condannato in primo grado viene sospeso, e Moretti no?

1 Febbraio 2017

Leggere i giornali oggi è particolarmente istruttivo. La sentenza che “trasuda” populismo – parole testuali dei legali, evidentemente assonanti al carattere dell’assistito – e ha visto la condanna di Mauro Moretti, ex ad di Ferrovie dello Stato e Rete Ferroviaria Italiana, è più commentata che descritta. Tanto che si fatica a capire per quale quale dei capi di imputazione sia stato effettivamente condannato. Ma sappiamo che i capi di imputazione erano disastro ferroviario e omicidio plurimo colposo. L’accusa chiedeva 16 anni per Moretti, il tribunale ha stabilito una pena di 7 anni. La difesa grida allo scandalo e prepara ovviamente il ricorso.

La partita giudiziaria fa il suo corso, Giulia Buongiorno, sentita da un Corriere particolarmente attento alle ragioni del condannato, invita tutti ad aspettare i prossimi gradi di giudizio, e ha ben ragione, perché è vero che spesso riesame giudiziario ed estinzione per prescrizione cambiano destini che in prima istanza sembravano ben più netti.

Quel che invece appare anche adesso assai confuso è il destino di Leonardo, fino a pochi anni fa nota nel mondo come Finmeccanica, grande azienda italiana controllata dallo stato ed eccellenza italiana nell’industria della guerra, e del suo capo: appunto Mauro Moretti. Ci hanno informato, sempre oggi, che Moretti può ben stare al suo posto, che la legge non ritiene siano lesi i requisiti di onorabilità per una sentenza men che definitiva: quale evidentemente non è quella di ieri. Ci hanno anche spiegato, su La Repubblica, che la via d’uscita, di fronte alla prevedibile resistenza di Moretti, sarebbe politica, e l’occasione si presenterebbe in realtà molto presto, visto che ad aprile scade l’intero cda che ieri, peraltro, ha confermato fiducia a Moretti.

La scadenza imminente si intreccia, ed è evidente, con il confuso scenario politico italiano, con una serie di decisioni delicatissime che devono essere prese (o rinviate?) da un governo permanentemente tenuto sotto scacco dalle lotte intestine del pd. Tuttavia, pare lecita una domanda di ordine generale. Come si può considerare serio un sistema legislativo che obbliga un sindaco condannato in primo grado per abuso d’ufficio (legge Severino) ad essere sospeso dalle funzioni per cui è stato eletto, mentre consente a un manager di stato condannato per disastro ferroviario di rimanere pienamente in sella, magari esercitando ogni suo potere per essere addirittura riconfermato? Perché la politica ha imposto un certo rigore alle cariche elettive, e non ne ha chiesto altrettanto a chi, dopotutto, sempre al servizio del bene comune è, seppure nella forma della guida di una società di diritto privato a controllo societario e azionario pubblico? La risposta che non è stata data dalla politica in funzione legislativa, all’epoca del governo Monti che volle la legge Severino, potrà essere fornita dalla politica nel suo ruolo esecutivo, cioè dal governo di Paolo Gentiloni. Forse anche da qui passa il prossimo futuro della credibilità di quel che resta di una classe dirigente. La credibilità, si sa, si fonda anche sul coraggio. Si dirà: ai cittadini questa roba importa poco, interessano di più la disoccupazione e i vitalizi. Può darsi, ma chiudiamo con un ultima domanda: ai cittadini di “questa roba” importa di piú o di meno della legge elettorale?

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