Grandi imprese
Parenzo: “Alla Zanzara anticipiamo le grandi questioni del Paese”
David Parenzo è giornalista, conduttore radiotelevisivo, co-conduttore con Giuseppe Cruciani del famoso programma radiofonico “La Zanzara” su Radio24. È stato facile contattarlo grazie ad un comune amico, meno facile incontrarlo visti i suoi impegni e perché sta di base a Roma.
Ci siamo accordati per un’intervista telefonica che mette in luce tutta la sua carriera, molto nutrita vista la sua giovane età e con un percorso mi viene da dire di tipo “tradizionale” con una partenza dal basso propria di firme anagraficamente meno giovani.
Qual è stata la molla che non le ha fatto seguire le orme di famiglia per una carriera da avvocato e l’ha portata invece a scegliere la strada del giornalismo?
Non danneggiare la mia famiglia che da anni è impegnata nello studio del diritto e del lavoro forense, scherzi a parte, a casa mia sono sempre stati molto liberal, c’erano alcune cose sulle quali non si poteva discutere una di queste era fare il liceo classico. In seguito, capendo il talento e la capacità, hanno sempre assecondato le mie passioni capendo che il giornalismo avrebbe potuto essere il mio futuro. Oggi ho quattro figli e spero di essere un padre capace, come lo sono stati i miei genitori nel capire quale fosse il mio talento, le mie capacità, ma anche i miei limiti, dandomi sempre il coraggio per affrontarli. Sono stati genitori fantastici, vorrei veramente avere uno 0,5% di quella capacità che mi consenta di aiutare i miei figli così come hanno fatto loro con me. Lo sbocco naturale dopo il liceo classico era naturalmente la facoltà di giurisprudenza, loro hanno accettato le mie volontà per un percorso diverso.
Una domanda che abbiamo rivolto a quasi tutti i giornalisti intervistati: come è stata la sua gavetta e in cosa si differenzia dalla gavetta che fanno i giornalisti oggi?
Io ho fatto un percorso molto tradizionale, ho iniziato nei giornali locali, già al liceo scribacchiavo qualcosa, poi ho avuto la fortuna di fare la gavetta in una piccola televisione locale, ancora prima di Telenuovo, che si chiama Triveneta. Successivamente facevo da assistente per la rassegna stampa al direttore dell’epoca di Telenuovo, che si chiamava Mario Zwirner, mi alzavo alle cinque della mattina per leggere i giornali e fare la rassegna stampa con lui che andava poi in diretta alle sette. Posso dire di aver fatto la gavetta classica, nella televisione ho visto tutti i passaggi, le piccole televisioni non avevano molto budget per cui dovevi occuparti un po’ di tutti i ruoli, facevi il producer, trovavi gli ospiti, mettevi insieme le notizie, questo a differenza invece di molti colleghi che hanno fatto la scuola di giornalismo e sono poi arrivati all’esame di Stato con il praticantato. Io ho fatto il praticantato a TeleLombardia. Dal punto di vista della gavetta rivendico ogni metro fatto con sacrificio, dalle mie levatacce alle cinque per portare i giornali al direttore e fare con lui la rassegna prima che andasse in onda, non sono arrivato a La7 così per caso, anche lì ho fatto prima il redattore, chiamavo gli ospiti, scrivevo i pezzi, poi l’inviato, ma solo dopo il conduttore, i passaggi posso rivendicare di averli fatti tutti.
In uno dei tuoi interventi di formazione in tema di comunicazione televisiva, affermi che l’analisi dei talk show non può prescindere dal contesto socio-politico. Ci fai qualche esempio per l’Italia?
I talk show, soprattutto quelli di maggior successo, sono naturalmente figli del loro contesto politico, basta pensare all’invenzione delle piazze raccontate da Michele Santoro oppure a Milano, Italia di Gad Lerner, che hanno fatto la storia della televisione italiana, trasmissioni nate da intuizioni giornalistiche che raccontavano un momento di passaggio. Quando Gad Lerner faceva una trasmissione su Rai 3, diretta dal mitico Angelo Guglielmi, che si chiamava Profondo Nord, fu uno dei primi ad intuire che la questione settentrionale sarebbe di lì a poco diventata la questione della Lega del 1992-1993, aveva individuato che c’era una trasformazione in atto della società, un fenomeno sociale da raccontare. Allo stesso modo Michele Santoro che si inventa le sue trasmissioni e comincia con le parole provenienti dalle piazze collegate, cosa che oggi fanno tutti, lui intuisce che la piazza è davvero un soggetto politico che torna ad essere protagonista e ne da una rappresentazione televisiva.
Quando viceversa Bruno Vespa inventa Porta a Porta, ribattezzata poi la terza camera del Paese, anche nel suo racconto giornalistico inventa a suo modo un format, che vuole rappresentare una forma di “istituzione” con le poltrone bianche, comode, dove si siede l’ospite o il potente di turno che stanno lì a spiegare e a raccontare il Paese. Anche questo un programma che sapeva parlare ad un contesto, era molto chiaro il messaggio che emergeva. In questo senso affermo che i programmi televisivi sono figli del loro tempo. Ogni programma ha una sua narrativa che spesso, se in sintonia con il Paese, ne decreta il proprio successo, ad esempio “Piazza Pulita” di Corrado Formigli è un programma straordinario in cui lui mette al centro le inchieste che diventano centrali, il dibattito viene dopo, gli ospiti vengono chiamati a discutere delle inchieste giornalistiche fatte con una modalità molto intensa di racconto.
In molti ritengono che il porre attenzione all’utilizzo di alcuni termini, il fare cultura per abbattere le diversità, asterischi, schwa stia diventando esagerato. Qual è il suo parere?
Esiste un tema legato ad alcune discriminazioni, la società è più avanti della politica, questo è stato ben messo in luce anche dal Festival di Sanremo. Non esiste nessuno scandalo, i fluidi esistono, quanti di noi hanno figli con un’amica o un amico cosiddetti fluidi, è un fenomeno sociale che esiste, non vedo il problema. Il problema è della politica che trasforma questo in “caso”, il tema andrebbe raccontato in modo molto laico e molto preciso. La polemica la fa chi non vuol vedere questi fenomeni e li critica pensando che ci sia la distruzione della famiglia, del genere, stupidaggini che non hanno niente a che vedere con quella che è l’evoluzione della società. È ovvio che la televisione ha il dovere di raccontare tutti i fenomeni sociali e in particolare modo questo che è un fenomeno che riguarda molte famiglie, molti ragazzi che scelgono magari di essere bisessuali, o altro…
In una sua intervista, fatta in seguito all’articolo denigratorio di Mascheroni su Il Giornale, afferma che il contatto umano è ancora un deterrente alla violenza. La verità dove sta allora, nei rapporti in presenza o nella violenza del leone da tastiera o da telefonata?
Ho tanti difetti, ma sono molto auto ironico, per cui difficilmente mi offendo, ho trovato però quell’articolo veramente stupido e sono andato per vie legali. È chiaro che se conosci una persona, a meno che tu non abbia un odio o un astio evidente, ti astieni dal mandarla a fare in culo banalmente. I social e le telefonate in diretta hanno aumentato quella distanza, lì non vedi la persona che hai davanti e puoi permetterti quindi di insultarlo o di offenderlo o di denigrarlo, quando si crea un rapporto umano è molto più difficile usare un linguaggio violento. I social sono dei generatori di aggressività, a volte non sai nemmeno chi sta offendendo dall’altra parte e tu rispondi in modo aggressivo, con una persona di fronte, pur con idee completamente opposte, il tipo di litigio è diverso.
Fra carta stampata, Radio e Tv cosa le piace fare di più?
Sono tre generi straordinari che cerco di tenere sempre insieme, aggiungerei anche il teatro che ultimamente mi appassiona. Dal prossimo 7 marzo al Parioli di Roma farò uno spettacolo che si chiama “Ebreo” un mio monologo scritto con Valdo Gamberutti. I generi stanno insieme, oggi devi essere multitasking, il giornalista non deve essere solo quello della carta stampata, deve saper battere i diversi media, deve saper suonare diverse corde, la comunicazione è tutta collegata. Tutte le mattine uso lo stesso metodo, leggo tutti i giornali, guardo le notizie e osservo i social e alla fine nei diversi media utilizzo quello che ho studiato la mattina.
Quale consiglio da a chi vuole intraprendere questa professione?
Non sono un grande dispensatore di consigli, ma la tenacia nel voler fare una cosa penso che sia importante, poi essere eclettici. Studiare bene i media, capire come si evolvono, comprendere come cambia il mercato dell’informazione, diventa fondamentale. Oggi esiste una possibilità in più rispetto a quando ho iniziato io, ci sono più strumenti, ci sono i social, c’è internet, esiste la possibilità di fare inchieste e buttarle in rete, l’importante e la qualità e la chiarezza delle cose che fai, devi avere un patto con il pubblico molto chiaro, la gente deve sapere chi si trova davanti. Oggi esistono molti strumenti per partire dal basso, ai miei tempi acquistare anche una piccola telecamera era costoso, oggi teoricamente con un telefono puoi fare il reporter, dico teoricamente perché in realtà ci vogliono le competenze, le fonti, la conoscenza.
La Zanzara è un luogo di casino organizzato, che spesso dà spazio a voci confuse e borderline. In che modo può essere ancora considerato un prodotto giornalistico?
È un prodotto giornalistico che comunque ti offre uno spaccato dei fenomeni esistenti, tutta la questione sui no vax, che noi abbiamo raccontato in modo anche grottesco, goliardico e talvolta violento, in realtà esisteva, era una fotografia drammatica dell’Italia, poi altri fenomeni, come quello del veganesimo militante, insomma argomenti che abbiamo anticipato e raccontato. Non si tratta dell’inchiesta giornalistica tradizionale, ma aver messo sul tavolo figure che poi sono diventate casi nazionali e saperle individuare, certo che si tratta di giornalismo. Grande merito va dato a Cruciani che ha una grande capacità di trovare e di scovare i temi del Paese, declinati con la modalità del programma “La Zanzara” che ha anticipato tutte le grandi questioni. Ripeto, il tema dei no vax siamo stati tra i primi a trattarlo in quel modo, con un dibattito che poi si è trasferito in televisione e sui giornali.
Quali sono stati i suoi maestri?
Sicuramente Angelo Guglielmi, che è stato il direttore di Rai3frequentato a lungo nella mia giovinezza e nel mio periodo milanese dai 25 anni fino ai 33, poi mi ha aiutato molto veder lavorare Enrico Mentana.
Il futuro del giornalismo, meno carta stampata, più on-line, più social e oggi i podcast, qual è il suo pensiero?
Stanno nascendo infatti dei nuovi media straordinari, il podcast è un altro grande strumento che dal basso permette, con poche risorse, di creare un prodotto editoriale, apre l’accesso ad una professione che diventa multi tasking. Il podcast è uno strumento straordinario, negli Stati Uniti viene usato come numero zero a basso costo per testare la validità di una storia per poi trasformarla magari addirittura in una serie TV. Anche in questo caso ci troviamo oggi in una fase di bolla in cui molti fanno podcast, poi il mercato farà la naturale selezione e si creeranno delle cose più stabili. Il mercato come vedi non uccide o elimina solo posti di lavoro, ma genera nuove opportunità. Per tornare al consiglio… Bisogna saper cogliere le cose che accadono e saperle cavalcare e utilizzare, non è che uno si improvvisa a fare un podcast, è necessario studiare, osservare i migliori prodotti, avere una bella idea e metterla in pratica, se oggi hai una buona idea e gli strumenti per farlo, con pochi soldi puoi finanziare un grande progetto.
Progetti futuri?
Questo spettacolo teatrale che partirà il 7 marzo al teatro Parioli di Roma un monologo scritto con il mio amico e sceneggiatore Valdo Gamberutti, vorrei anche mettermi a produrre documentari, in verità uno l’ho già prodotto, si tratta della storia del 9 ottobre del 1982 e riguarda l’attentato alla sinagoga di Roma, scritto da Giancarlo De Cataldo con le musiche di Nicola Piovani, in questo caso ho fatto solo il produttore.
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