Grandi imprese

Vivendi, Mediaset, Telecom: la guerra sotto casa e l’affare dietro l’angolo

15 Dicembre 2016

A Silvio Berlusconi tre cose non erano ancora capitate in una vita spesa fra tv, calcio e politica. Primo, finire sotto scalata ad opera di un cattivissimo finanziere francese, Vincent Bolloré, che fino a poco tempo fa passava per essere nella sua fitta trama di amicizie. Secondo, essere difeso da un governo di centrosinistra nella difesa della più berlusconiana delle sue imprese – cioè la televisione, cioè quella che una volta a sinistra era l’odiata Mediaset, assurta adesso a improbabile interesse strategico nazionale. Terzo, vedere una sua società sotto i riflettori della Procura di Milano, che indaga per aggiotaggio, senza essere lui l’indagato.

Tutto è accaduto nel giro di pochi giorni, a una settimana dal referendum del 4 dicembre. House of Media può dunque andare in onda, intanto che a Londra Rupert Murdoch gioca le sue carte con l’Opa su Sky. Nella prima puntata, fra lunedì 12 e mercoledì 14 dicembre, Vivendi, il colosso mondiale dei media di cui Bolloré ha il 14,35%, ha raggiunto il 20% di Mediaset. La Fininvest ha risposto arrotondando la sua quota di Mediaset poco sotto il 40%, che non sarà ancora il controllo di diritto (50% + 1 azione) ma da qui ad avere i barbari ai piani alti di Cologno Monzese ne passa. E comunque gli strumenti per difendersi non mancano certo.

L’antefatto della schermaglia risale alla scorsa primavera, quando i due colossi dell’industria dei media avevano negoziato uno scambio azionario reciproco del 3,5%, più il passaggio della boccheggiante Mediaset Premium a Vivendi. Non si capisce cosa sia successo poi. I francesi hanno disconosciuto l’accordo, e fino all’altro ieri gli spettatori si sono dovuti accontentare di qualche colpo sparato in aria avvocati. Gli amanti dei retroscena suggeriscono che l’infìdo francese abbia tentato di approfittare degli acciacchi di cuore del Cavaliere agitando pretestuosamente i (già noti) problemi di salute di Mediaset Premium, una spiegazione fin troppo scontata quando si parla di Bolloré, un “distruttore di dinastie” secondo la stampa francese.

Ora Vivendi dice di voler fare il secondo azionista industriale di Mediaset, nell’ambito di una strategia di sviluppo nel Sul Europa. È il progetto di un grande player internazionale dei media di matrice latina, perfetto contraltare al polo anglosassone NewsCorp/Sky di Murdoch. Dal rifugio di Arcore, il Cavalier rinvigorito lancia proclami di guerra: «Non abbiamo alcuna intenzione di lasciare che qualcuno provi a ridimensionare il nostro ruolo di imprenditori. Per questo abbiamo aumentato la nostra partecipazione e continueremo a farlo nei limiti consentiti dalle leggi». Che botta di gioventù, a 80 anni, per un uomo i cui ricordi di battaglie finanziarie risalgono alla fine degli anni ’80, ai tempi della guerra di Segrate. La legge, per la verità, consentirebbe anche di salire al 100%: ma occorrerebbe lanciare un’Opa, ed è improbabile che il Berlusca abbia davvero voglia di dilapidare un patrimonio. Di Mediaset Premium s’è detto, ma nemmeno Mediaset ha un futuro radioso davanti, non da sola per lo meno. Forse nel proclama di Berlusconi c’è già uno spiraglio di possibile pace?

Gli spettatori dovranno attendere le prossime puntate, e intanto possono polemizzare sulla vexata quaestio “italianità vs contendibilità”. Il Governo Gentiloni dà invece lezione di bon ton: «Non sembra il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia», ha dichiarato ieri il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Il neo presidente del Consiglio aveva già ammonito che la patria economia «non è aperta a scorribande». Manca solo la discesa in campo della Cdp, e il copione drammatico è completo.

Senza scorribande e sciabolate, però, sceneggiare House of Media diventa una noia, al gran finale bisogna arrivare tenendo alta la suspense. La fusione fra mondo telecom e mondo media è inevitabile, dicono gli esperti. Reti, canali e contenuti vanno integrati, sentenziano gli analisti. Vivendi ha già il 25% di Telecom Italia, ora ha il 20% di Mediaset. Pochi giorni fa s’è saputo di un mezzo abbocco di Bolloré col gruppo tlc francese Orange. La soluzione è dietro l’angolo, e forse è già scritta. Non comporta un ridimensionamento per i Berlusconi. Semmai un salto.

Ad Arcore, del resto, già oggi hanno di che esser contenti. Con le quotazioni salite di oltre il 30%, Mediaset è stata svegliata da un lungo, per alcuni inesorabile, sonno borsistico. È la pre-condizione perfetta per procedere a uno scambio azionario (e/o con cash) in grande stile. Mediaset rivalutata in pancia a Vivendi, e Fininvest azionista rilevante di Vivendi – e quindi indirettamente di Telecom Italia. Non sono forse anni che si fantastica proprio su Mediaset-Telecom? Ciò che prima era politicamente impossibile, un conflitto di interesse al quadrato, potrebbe diventare auspicabile con Gentiloni a Palazzo Chigi, che ai tempi di Prodi fu ministro delle Comunicazioni incapace di scalfire la legge Gasparri voluta da Berlusconi premier. Il Caimano che incitava alla rivolta popolare nel finale del film di Nanni Moretti e che per vent’anni è stato un pericolo per Repubblica e per la Repubblica è adesso elevato in vita alla gloria dell’interesse strategico nazionale – nel 1998 Massimo D’Alema s’era limitato a parlare di «patrimonio produttivo del Paese», ma erano altri tempi.

Per House of Media sarebbe una conclusione perfetta: il dilemma fra italianità e contendibilità delle imprese strategiche risolto affidando l’italianité di Mediaset e di Telecom alla Fininvest dei Berlusconi via Vivendi; i contrasti sulla transizione generazionale nella famiglia Berlusconi appianati prendendo casa a Parigi. La politica, antitrust permettendo, potrà vantare un grande matrimonio europeo con la nascita di un gruppo multimedia-tlc dominante in Francia, Italia e Spagna.

Ci sarebbe comunque da sciogliere un nodo complicato in fatto di concentrazione. In serata l’Agcom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha comunicato che «operazioni volte a concentrare il controllo delle due società potrebbero essere vietate». In base alla normativa italiana, le imprese tlc che detengono una superiore al 40% del mercato tlc non possono acquisire ricavi superiori al 10% del Sistema integrato delle comunicazioni (Sic) formato da tv, radio ed editoria. Ora Telecom detiene il 44,7% del suo mercato di riferimento, mentre Mediaset ha una quota del 13,3% del mercato Sic. Come se ne esce? A parte la classica via delle cessioni post-acquisizione, Bolloré potrebbe cambiare percorso e coinvolgere Orange, girando a quest’ultima il pacchetto Telecom. Un approdo che – secondo alcuni osservatori – è in realtà già deciso sin da quando il capo di Vivendi ha messo piede nella compagnia telefonica italiana.

Nella drammatizzazione del grande assedio mancano ancora i pacieri. Gli autori non hanno che l’imbarazzo della scelta. L’attore perfetto nel ruolo di grande mediatore sarebbe il franco-tunisino Tarak Ben Ammar, amico di lunga data e socio in affari di Bolloré e di Berlusconi. È nel cda di Vivendi e in quello di Mediobanca, della quale sono soci Fininvest, Bolloré e Unicredit. Proprio ieri il gran capo (francese) di Unicredit, intervistato dal Sole 24 Ore, suggeriva di «ragionare in ottica europea», ricordando che «Mediaset è un cliente molto importante». Nella partita Unicredit è advisor di Fininvest, Intesa Sanpaolo e Jp Morgan sono consulenti di Mediaset. Al momento la Mediobanca di Alberto Nagel non ha invece un ruolo formale.

«Chissà se il prossimo anno brinderemo con lo champagne al posto del prosecco», ha scherzato ieri coi dipendenti il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Chissà, davvero. Forse è una cupa profezia, forse scaramanzia, forse un’intuizione. O forse sarà solo, col plauso di tutti, la prima puntata della prossima stagione.

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(Ultimo aggiornamento alle 20:00)

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