Grandi imprese
Luxottica e la resa finale del modello Del Vecchio
Con la vendita del pacchetto di controllo di Luxottica alla francese Essilor, in contropartita del 31% di quest’ultima, Leonardo Del Vecchio porta a casa due risultati positivi e, nello stesso tempo, una sconfitta.
Il primo trofeo sta all’interno della logica di crescita industriale. È ciò che lo stesso Del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica, ha definito «un sogno che si concretizza»: creare un campione mondiale totalmente integrato, che per molti anni dominerà il mercato. Essilor è leader mondiale nella produzione di lenti, Luxottica lo è nella produzione di montature, soprattutto grandi marchi (Ray-Ban, Oakley, Armani, Chanel e molti altri). L’operazione annunciata lunedì valorizza il 100% di Luxottica quasi 23 miliardi di euro e rappresenta la più grande acquisizione di un’impresa italiana da parte di gruppo straniero. La combinazione EssilorLuxottica avrà un fatturato di partenza di 15 miliardi di euro e una quota mondiale del 10% nelle montature, del 40% nelle lenti e dell’11% nella distribuzione al dettaglio.
È stato poi sottolineato che la decisione di Del Vecchio, 82 anni a maggio, è la soluzione definitiva alla questione della successione. Si risolvono in questo modo le problematiche dinastiche di una famiglia numerosa di prole e ambizioni e senza un erede a tutto tondo della figura del fondatore. La holding di famiglia Delfin cesserà di essere insieme azionista di controllo e imprenditore-gestore (fin qui nella persona dello stesso fondatore) e diventerà investitore stabile e primo azionista del gruppo francese, che è una public company a tutti gli effetti, senza un azionista di controllo, e dunque con una governance radicalmente diversa da quella di Luxottica, specialmente della Luxottica dell’ultimo triennio.
Arriviamo così al terzo punto, quello più amaro per Del Vecchio. L’approdo della multinazionale italiana a stretto controllo personale fra le braccia di una società ad azionariato diffuso è la bandiera bianca alzata da Del Vecchio sopra un modello di governo societario del quale è stato un alfiere e dentro al quale si era un po’ avvitato negli ultimi tempi. Se, oltre che un grande imprenditore, Del Vecchio è stato anche un pioniere nell’internazionalizzazione e nella managerializzazione dell’impresa, inclusa la quotazione a Wall Street, è altrettanto vero che negli ultimi tre anni la governance di Luxottica ha accusato un’involuzione in senso padronale, culminata nell’uscita di Andrea Guerra e nei repentini cambi di altri due amministratori delegati (Enrico Cavatorta, Adil Mehboob Khan).
Un pasticcio di governance attutito dalla solidità del gruppo ma comunque sufficiente a provocare un’emorragia di manager della prima e seconda linea, fuggiti verso contesti meno volubili e non meno prestigiosi. Per fortuna dell’azienda e dei suoi dipendenti, la soluzione individuata alla fine da Del Vecchio mette una lapide su un modello di governance non più sostenibile e avvia un nuovo inizio sotto le insegne di un sistema di governo societario più adeguato alla natura e alle sfide competitive di una multinazionale quotata in Borsa.
Sarà vera gloria? Amalgamare due culture di governance e manageriali così diverse non sarà una passeggiata. E, dopo i palu andrà testata anche la logica industriale di un’aggregazione fra un business che produce soprattutto prodotti-commodity come le lenti con uno tutto focalizzato sui marchi, i gusti dei consumatori, le suggestioni della moda.
A margine andrebbe, infine, annotato anche che nella scelta di fissare la sede della holding capogruppo in Francia, anziché in Italia, non sarà stato indifferente il rating del paese ospitante: doppia A per la Francia e tripla B per l’Italia. Un tema questo su cui dovrebbero riflettere i nostri governanti e chi si illude che la difesa dell’italianità delle imprese sia un’equazione di facile soluzione.
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