Grandi imprese

L’Università di Pavia, il nuovo tribunale speciale delle nostre reputazioni

12 Novembre 2019

Che cos’è la reputazione? «È tutto un complesso di cose che fa sì che io mi fermi qui». Si parte dai biscottini della mattina, per finire al prete che ti confessa. In mezzo tutto il resto, Bartali compreso. È tutta e sempre una questione di reputazione, nella vita. Fino a un certo punto siamo andati benissimo, il sentito dire faceva premio su tutto. Ci si informava da persone di fiducia, qualcosa si leggeva, e quel che mancava ce lo mettevi tu, col tuo fiuto. Buona reputazione, cattiva
reputazione. Bianco, nero.

Per abbandonarsi tra le braccia di qualcuno, la reputazione è tutto. Persino nell’idea mercenaria del sesso, la reputazione è tutto. Leggi critiche e commenti, fai la tara agli esagerati, poi scegli. Lo stesso in politica. Fai la tara agli esagerati, poi scegli.
L’altra sera Report ci ha stupiti. Si dibatteva l’annoso tema delle fake, si rifletteva sugli avvelenatori dei pozzi, e i ragazzi di RaiTre si sono rivolti a un certo professore universitario. Giovane, occhiali rossi, barbetta. Un professore a contratto dell’Università di Pavia che ha esaminato tweet, lanci e rilanci di otto dei nostri politici, per capire da quale pozzo (giornalistico o altro) attingessero e a quale pozzo facessero arrivare. Un flusso vorticoso che avrebbe dovuto portare a delle conclusioni ovviamente. E le conclusioni sono state, ve la facciamo breve, che Meloni e Salvini sparano e risparano un sacco di cazzate. Nel dibattito, non una grande novità. Certo qualcosa faceva anche un po’ ridere.
Tipo che una delle centrali atomiche dell’avvelenamento sarebbe tal sito «ImolaOggi.it», dove scorrerebbe un impetuoso flusso sovranista di fake, malignità, falsità, sputtanamenti. Ora, non vorremmo fare la parte dell’anima bella alla Elsa Fornero, quando il poco elegante Nuzzi chiese se conosceva il signor CiccioGamer, con la prof ovviamente di sasso, ma anche noi al pari della signora Fornero con CiccioGamer, vi confessiamo che di questo cazzo di «Imola Oggi» abbiamo sentito parlare la prima volta proprio l’altra sera durante la trasmissione. Ora, saremo anche dei distrattoni, leggeremo poco, passeremo troppo tempo tra le gallerie d’arte, ma insomma sembra anche un po’ ridicolo che alla ribalta della politica italiana assurgano masnadieri totalmente sconosciuti.

Al punto che sopravviene persino il sospetto che questi signori, alla fine, non contino per quanto in realtà vengono sovrastimati.
Repubblica online ha ripreso l’analisi di Matteo Flora, questo il nome del prof a contratto. Anche in questo caso siamo rimasti piuttosto sorpresi. Riccardo Luna, che firmava il pezzo, lo ha definito “docente di reputazione online”. Quando, con lo sconforto del caso, gliel’abbiamo fatto osservare su twitter, puntuto ci ha risposto: “Non lo definisco, lo è, professore a contratto”. Peraltro, lo stesso Flora si mette al riparo da eventuali strali accademici, sottolineando che insomma, sì, è un prof ma a contratto e le sue analisi non possono avere una definizione, diciamo così, scientifica, anche se elaborate con la massima serietà. Ma su Twitter oppone il seguente titolo: “Professor in Corporate Reputation & Storytelling” dell’Università di Pavia. Ammappete.

Dunque l’Università di Pavia ha un corso di “reputazione online” e ne affida la didattica a un imprenditore che privatamente fa esattamente questo di mestiere: definisce le reputazioni altrui, che siano aziende, brand, pannolini, caramelle, biscottini, ma anche e soprattutto persone. Ecco, persone. È probabilmente la deriva finale, la nostra condizione sociale e politica, in vulgaris la nostra reputazione, quella che ci saremmo guadagnata in tanti anni di onorato servizio, che passa al vaglio di un giudizio parallelo, di un tribunaletto della storia moderna impiantato sul momento, e che si trasferisce magicamente da una società privata, che, per carità, del tutto legittimamente opera sul mercato, a una celebrata università com’è Pavia. Lo scandalo è evidentemente Pavia, non Matteo Flora.

Da quale avamposto etico, cara Università di Pavia, scaturisce la necessità di valutare le reputazioni altrui, attraverso quale diritto primario ne fate partire un processo, quale fondamento scientifico avreste dato a tutto questo, e soprattutto come vi siete protetti dal sospetto che le reputazioni siano un composto chimico troppo sofisticato e complesso per essere ridotto a banale applicazione accademica, non comprendendoci i sentimenti, le sfumature, il rispetto, la parola data, insomma quell’incedere fiero della persona rispettabile all’interno della comunità, che viene guardato dagli altri anche con un pizzico di ammirazione? C’è un secondo sospetto, e qui hanno imboccato anche i valorosi di Report: che ormai si voglia ridurre tutto alla bagarre politica, che sia quello l’obiettivo, prima ancora della serenità di giudizio, prima ancora di fermarsi a pensare chE nessuno può dare (o togliere) patenti di reputazione, che è cosa troppo seria per essere definita da uno sciagurato algoritmo.

Ps. E poi, gentile prof a contratto Matteo Flora. Ma definirsi “Professor in Corporate Reputation & Storytelling” le sembra una roba reputazionale?

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