Grandi imprese
Tutte quelle imprese ferme a 14 dipendenti…
Nelle ultime settimane anche i non esperti di diritto del lavoro come me sono stati coinvolti in molte conversazioni, più o meno erudite, sull’articolo 18. L’articolo dello Statuto dei Lavoratori che prevede che il lavoratore licenziato senza giusta causa possa essere reintegrato sul posto di lavoro. Ne ho parlato con un’amica che fa l’avvocato del lavoro in un grosso studio legale e tra le varie cose che mi ha detto ce n’era una che mi ha colpito: “l’articolo 18, per quanto ormai i reintegri siano marginali, spaventa i piccoli imprenditori che non lo hanno mai applicato” (visto che vale solo per aziende con più di 15 dipendenti ndr). Sempre nelle stesse conversazioni (probabilmente quelle meno erudite) la stessa affermazione veniva liquidata come fantascienza. Incuriosita ho deciso di vedere se qualche economista si fosse preoccupato di studiare se in effetti l’applicazione asimmetrica dello Statuto dei Lavoratori ostacolasse la crescita delle imprese, visto che ormai è opinione abbastanza diffusa che la dimensione limitata delle nostre imprese sia un problema. Lo è per svariate ragioni tra cui la scarsa innovazione o la difficoltà di accesso al credito, ma queste potrebbero essere argomento di un altro post. Tra i vari articoli ho trovato interessante quello di Pietro Garibaldi e altri che studia l’effetto che una legislazione di protezione del lavoro (EPL in inglese) diversa per imprese con diverso numero di dipendenti possa avere sulla dimensione stesse. L’articolo si basa su un campione di imprese italiane con dati INPS dal 1987 al 1996 e mostra come in effetti il limite dei 15 dipendenti sia rilevante, e lo fa in due modi. Il primo, che loro chiamano “effetto di persistenza” mostra che, se si studia la dinamica del numero dei dipendenti di un’impresa, le imprese rimangono ferme a 14 dipendenti più a lungo di quanto dovrebbero. Il secondo effetto, che loro chiamano “effetto asimmetrico“, dimostra come per le imprese che siano vicine al limite dei 15 dipendenti la reazione a shock positivi o negativi sia diversa. In altre parole è più facile che un’impresa di 14 dipendenti licenzi in periodi di crisi piuttosto che assuma in periodi di boom, perché assumere vorrebbe dire oltrepassare quel limite che prevede l’applicazione dello Statuto dei Lavoratori. Gli autori riescono anche a mostrare come le imprese vicine al limite cerchino di aggirarlo con utilizzo maggiore dei contratti atipici e, molto probabilmente, lavoro sommerso. Emerge quindi che il fatto che imprese di diverse dimensioni debbano applicare una legislazione diversa ha un effetto sulla “capacità ” di crescere delle imprese. Il lavoro dell’economista qui si conclude, e decidere come rimediare, se necessario, a tutto questo spetta al politico. Un politico potrebbe decidere che in realtà il costo sociale in termini di mancato PIL per una dimensione subottimale delle imprese sia un piccolo prezzo da pagare per una maggiore tutela dei lavoratori di certe imprese. Un altro politico potrebbe decidere di uniformare la legislazione togliendo a tutti la protezione dello Statuto, oppure potrebbe decidere di estenderla a tutti perché da questo studio, e da molti altri non basati su imprese italiane, emerge chiaramente che è l’asimmetria a creare i disincentivi alla crescita. Di sicuro però eliminare forme di contratto atipico (ad esempio con il contratto di lavoro unico) limiterebbe le capacità delle imprese di aggirare il limite dei quindici dipendenti e quindi potrebbe rendere meno rilevante l’asimmetria legislativa.
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